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Pedofilia e colonialismo: il lato oscuro di Paul Gauguin. La National Gallery fa luce su Tahiti

Paul Gauguin, Manaò tupapaú (Spirit of the Dead Watching) Paul Gauguin, Manaò tupapaú (Spirit of the Dead Watching)
Paul Gauguin, Manaò tupapaú (Spirit of the Dead Watching)
Paul Gauguin, Manaò tupapaú (Spirit of the Dead Watching)

La mostra Gauguin Portraits alla National Gallery di Londra raccoglie la produzione ritrattistica che l’artista realizzò a Tahiti, lasciando emergere sinistre sfumature: Paul Gauguin fu un pedofilo? Un colonialista? Cosa pensare dunque delle sue opere?

“Gauguin era una persona molto complicata, impulsiva e insensibile”

 

Christopher Riopelle, curatore della mostra Gauguin Portaits, National Gallery, Londra

Paul Gauguin ha resistito per molto tempo nella narrativa artistica come un pittore puro, votato ad una continua ricerca delle condizioni migliori per esprimere la propria creatività, anche a costo di abbandonare gli agi parigini per raggiungere la lontana Tahiti. Proprio grazie a questi anni trascorsi sull’isola esotica è riuscito a diffondere intorno a sé l’aura di chi è disposto a tutto per inseguire l’Arte: anche a rinunciare alla ricchezza, anche a ribaltare completamente la propria vita fino a costringersi all’isolamento. E a Tahiti ha in effetti realizzato le sue opere migliori, riflettendo sulla tela l’atmosfera polinesiana e il fascino quasi surreale dei sui abitanti. Il soggiorno isolano è stato quindi creativamente fecondo – proprio come la storia ci racconta – ma forse, in realtà, non così tanto segnato da privazioni, isolamento e purezza.

Paul Gauguin, Tehamana Has Many Parents (1893)
Paul Gauguin, Tehamana Has Many Parents (1893)

La mostra Gauguin Portraits, alla National Gallery di Londra fino al 26 gennaio, si concentra sui volti – degli amici, dei colleghi, dei figli e soprattutto delle ragazze con cui Gauguin si intrattenne – con lo scopo di indagare la persona (oltre che l’artista) che li ha raffigurati. Se infatti l’approccio simbolista e originale della sua espressione lo colloca tra i più grandi autori della storia dell’arte, le sfumature sinistre che gli studi stanno facendo emergere ai bordi della sua umanità minacciano di ridimensionare la storia del suo personaggio. In particolare, le ricerche attorno alla sua relazione con ragazze molto giovani – con cui si intrattenne sessualmente, arrivando anche a sposarne due – hanno calato l’ombra della pedofilia sulla figura spesso considerata alternativa e anti-occidentale di Gauguin. Se di fatti dall’occidente si è allontanato – riavvicinandosi ad un territorio più esotico come fu il Perù della sua infanzia – è anche vero che “Gauguin ha senza dubbio sfruttato la sua posizione di occidentale privilegiato per ottenere quante più libertà sessuali poteva garantirsi”, come recitano i pannelli didascalici della National Gallery.

Il riferimento principale, sotto questo punto di vista, è a Teha’amana, una delle ragazze che Gauguin prese in moglie – soggetto di molti suoi dipinti, a cominciare da Merahi metua no Teha’amana (“Gli antenati di Teha’amana”), presente in mostra. Le opere rimangono infatti il principale strumento di conoscenza a nostra disposizione e, seguendole, le deduzioni non sono confortanti: “se i suoi dipinti fossero fotografie sarebbero lavori molto più scandalosi e oggi non li avremmo accettati” sostiene Ashley Remer, fondatrice di un museo online (girlmuseum.org) dedicato alla rappresentazione delle ragazze nella storia e nella cultura. E in effetti le rappresentazioni tradiscono, oltre ad una misurata nudità, un certo approccio paternalista da parte di Gauguin, per cui non pare più impossibile sospettare un soggiorno dove ha raccolto indisturbato i frutti della (presupposta) supremazia occidentale. I titoli delle opere – dove raramente nomina i soggetti, quasi spersonalizzandoli – riportano indicazioni oggi ritenute improprie e offensive come “selvaggi” o “barbari”, le quali segnalano ulteriormente il distacco e lo snobismo con cui guardava ai soggetti artistici, nonché supposti amici e compagni di vita.

Paul Gauguin, Contes barberes (1902)
Paul Gauguin, Contes barberes (1902)

L’esposizione riapre così l’eterna ma sempre valida diatriba sui metodi di valutazione artistici (ma non solo), i quali dovrebbero, a seconda delle opinioni, limitarsi al contributo estetico dell’opera oppure considerarla nel complesso dell’artista che la crea. Riducendo all’osso la questione: è giusto continuare a considerare Paul Gauguin un grande artista alla luce delle sua personalità controversa? Per Vicente Todolí – oggi direttore artistico di Pirelli HangarBicocca a Milano, ma che nel 2010 curò una mostra su Gauguin per la Tate Modern – la risposta è affermativa:

“Si può totalmente aborrire e detestare la persona, ma la sua opera è la sua opera: una volta che un artista crea qualcosa, non appartiene più all’artista, appartiene al mondo”

Paul Gauguin, The royal end (1892)
Paul Gauguin, The royal end (1892)

D’altra parte sembra però limitante considerare un’opera nello stretto recinto del suo vuoto estetismo, mentre questa si esalta – in positivo o in negativo – nel momento in cui accoglie la vicenda che le orbita intorno. Ma seguendo questa linea, la condotta esistenziale di artisti come Gauguin non dovrebbe che aberrarci. Però per quanto l’arte può essere vita, lo è di certo su un livello ulteriore: con questa dialoga solo da una certa distanza. Attraverso l’opera si giunge ad una verità scissa dalla contingenza, essa si serve della vita per superarla vita. È un’occasione che la pratica artistica porti alla luce zone d’ombra, parli di ciò che alcune persone non vogliono ascoltare. Per quanto scomodo, il messaggio artistico rivela spesso l’indicibile e aiuta, se non a comprenderlo, quantomeno a evidenziarne sfumature e meccanismi. Dunque studiare e apprezzare l’opera di questi artisti controversi – come lo sono stati, per esempio, anche Egon Schiele e Baltazar Balthus – non significa condividerne o giustificarne le inclinazioni:

“non dico però di tirare giù le opere dalle pareti, dico semplicemente che bisogna spiegare e rivelare tutto, ma proprio tutto, sulla persona”

Ashley Remer

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