Il Museo Santa Caterina di Treviso propone un interessante percorso sul tema della Natura morta. Partendo dalle opere cinquecentesche del Kunsthistorisches Museum di Vienna, i curatori Francesca Del Torre e Denis Curti portano la discussione fino alle più recenti ricerche fotografiche. Dal 30 novembre 2019 al 31 maggio 2020.
Nell’incipit de Alla ricerca del tempo perduto Marcel ricorda di quando da piccolo, nella tenuta di Combray, si svegliava confuso nella notte e impiegava un certo tempo per realizzare dove fosse. Le varie camere da letto in cui aveva dormito si succedevano mano a mano nella sua testa, presentandosi più o meno vicine agli ultimi stralci di momenti che aveva vissuto prima di addormentarsi. Il protagonista del romanzo di Proust provava allora a chiamare a sé gli elementi della sua quotidianità, ad elevarli a protagonisti dei suoi ragionamenti, in modo che questi lo riconducessero al luogo a cui, in quella particolare notte, era destinato ad appartenere.
Le luci basse e l’atmosfera cavernosa del Museo Santa Caterina di Treviso sembrano condurre anche il visitatore in un sonno così improvviso da destabilizzarlo. Sorpreso poi nello svegliarsi agitato, come Marcel cerca di mettere in ordine l’orbita della sua esistenza, in modo da capire dove si trovi. Ecco quindi l’uomo, sedato nella coscienza ed eccitato nei sensi, imbattersi in una serie di Nature morte disposte ad aiutarlo.
La Natura morta, del resto, è un genere che ben si presta ad essere a collocato nel soffuso spazio tra sonno e veglia. La precarietà e l’incertezza ne caratterizzano l’essenza, ma i rimandi che sono in grado di tessere le rendono tragiche e poetiche. Come i dipinti che compongono la mostra Natura in Posa – provenienti dal Kunsthistorisches Museum di Vienna -, il genere presenta un elevato grado di artificialità, che attinge a piene mani dalla realtà per poi superarla.
Come immagini che affollano i confusi momenti che precedono o seguono il sonno, le Nature morte prendono le sembianze di un’illusione casualmente calcolata, precisamente disposta in armonia dalla sorte. Allo stesso modo di Marcel, aggirandosi per la mostra chiamiamo così a raccolta gli elementi della nostra quotidianità: dagli animali alla frutta, dai fiori alle stagioni (opera di un Francesco Bassano di ispirazione biblica), dai teschi alle stoviglie. In questa serrata passeggiata spirituale gli accessori della vita si prendono la scena: non servono più da arredamento, diventano i protagonisti. Si manifestano nella loro surreale immanenza come le opere di Johannes Leemans , ma si mantengono flebili, suscettibili a decadenza, simili ai fiori di Jan Brueghel – sensibili a sfuggire nel momento prima di prendere consistenza reale. Come quei momenti in cui indugia Marcel, come la vita stessa.
La poetica della Natura morta si rinnova di epoca in epoca come un eterno memento mori, manifesto della caducità della nostra esistenza. Un diversificato e svariato esercizio di ripetizione e variazione pittorica – di elementi che tornano e di altri del tutto unici – di dettagli che contribuiscono a ricordarci che tutto il reale, nella sua sterminata varietà, è destinato a perire ineluttabilmente.
Non importa che ora il visitatore abbia lasciato il buio della caverna, che abbia salito le scale e si sia immerso nella luce bianca della sezione fotografica, che il linguaggio si sia fatto di colpo contemporaneo. Nelle esplosioni di LaChapelle, plastica e cibo spazzatura si insinuano tra fiori splendenti e morenti; da simili boccioli schiusi Araki estrae il tormento della sensualità e dell’erotismo instillato nella natura. L’elemento erotico-tragico è dominante anche nelle fotografie in bianco e nero di Mapplethorpe, specchio della sua tormentata esperienza. Giunti all’ultima opera, a noi come a Marcel, sembra di esserci orientati nel nebbioso labirinto del risveglio. Osservando Vanitas di Hans Op De Beeck, ci sembra di ritrovare tutti gli elementi che abbiamo incontrato. In una luce cinerea e cremosa sono disposti un salottino, le nostre solitudini, un teschio, delle noci, candele, l’ombra smarrita del meriggio, dei rami e tanto altro della nostra esistenza . C’è proprio tutto quello che abbiamo guardato con gli occhi e sfiorato con il pensiero.