Debutta a Milano, con la sua prima personale Dust in the Shadows da Vistamarestudio, l’artista portoghese Joana Escoval (Lisbona, 1982). L’abbiamo incontrata per parlare della sua raffinata e insieme prodigiosa ricerca artistica, indissolubilmente connessa alla natura e all’energia della materia e del cosmo.
Da dove deriva la tua fascinazione per l’alchimia, l’idea di circuito, l’energia cosmica e la fisica quantistica?
Sono più attratta dalla Filosofia orientale che da quella Occidentale. Il concetto essenziale nel mio lavoro è che niente è statico: tutto è in trasformazione, transizione o in movimento. L’alchimia parla anche di questo. Uso i metalli perché, da quando li ho scoperti, ho capito che avrei potuto trasformarli eternamente. Come tutte le sculture di questa mostra, trasformabili in nuovi lavori. I metalli si modificano proprio mentre la materia passa attraverso i differenti stati. È molto importante per me vedere l’alterazione reversibile delle molecole che si muovono in direzioni diverse e poi si aggiustano. Questo modo di lavorare mi permette di essere in contatto permanente con una singola “questione” e, allo stesso modo, avanzare nel tempo, nel movimento, per sempre. In India, si crede che i gioielli in metallo contengano il proprio karma e, se vengono donati ad una figlia, dovrebbero essere fusi perché il karma non venga trasferito. Il fuoco distrugge l’energia che il materiale ha assorbito dal precedente proprietario e lo trasforma in un nuovo oggetto. Lo rinnova. Ho letto molto riguardo a queste tematiche. In realtà ho studiato pittura (all’Università di Lisbona e poi all’Accademia di Belle Arti di Firenze), ma non ero interessata a lavorare solo sulla superficie, a mantenermi solo su quel livello. Ho scoperto pian piano cose sulle culture antiche e comunità native. Soprattutto nel periodo in cui ho vissuto a New York: visitando i musei come “The Met” e incontrando i ricercatori delle collezioni o le comunità specifiche che vi sono rappresentate.
Hai una tua particolare convinzione rispetto al rapporto tra realtà e vita spirituale?
Penso che non ci sia separazione tra queste dimensioni. Tutto è interconnesso. Credo che sia un errore quando si dice, a proposito del mio lavoro, che sono interessata ai fenomeni naturali. Io credo di essere parte integrante della natura. Ci sono modi per farlo in termini antropologici, ma per me parlarne è molto dannoso. È estenuante, trattandosi di un’evidenza. È più facile usare il linguaggio della scultura e dei materiali, come i metalli o le pietre, perché già trasportano storie, veicolano un messaggio.
infatti tu pensi che i metalli siano vivi..
Sì, trasportano energia. Spesso impiego metalli che ho usato o installato mentre camminavo in una foresta o in montagna, perché penso che abbiano assorbito l’energia di quel posto o di quell’esperienza, l’energia delle persone o delle piante. Sono azioni nella natura che stanno a cavallo tra una performance senza gerarchie e un happening. Al pubblico che partecipa dono delle sculture che possono essere “usate” e poi le consegno agli alberi, alle rocce e ad altri esseri intorno. È un’idea ovviamente simbolica, legata al fatto che i metalli sono trasformati dal nostro pH della pelle, che è diverso tra tutti gli esseri umani e che lascerà un segno attraverso gli anni.
A proposito di materia che ha assorbito energia, le rocce vulcaniche delle sculture Living Metal I-II (2019) che vedo qui in galleria provengono dalle Isole Azzorre?
Ho fatto parte di un progetto nel 2018, la collettiva WALK&TALK Azores. Quando sono stata invitata da Luis Silva e João Mourão, avevo già l’idea di lavorare sulle rocce originarie delle Isole Azzorre. Con l’aiuto di un paio di amici, ho trovato e raccolto delle pietre in cui si potesse vedere ancora la materia scorrere, la materia che inizia a solidificarsi. Ad un’attenta osservazione, si intravede il movimento della lava dei vulcani delle Azzorre.
Parliamo della mostra “Dust in the Shadows”.
La mostra non riguarda il romanzo di fantascienza Nei giorni della cometa di H.G. Wells. Lo tocca o ha quel tipo di aura, ma non ne parla. Riguarda tutte le cose di cui abbiamo parlato prima (la trasformazione ecc.), anche se la storia del libro è senza dubbio in relazione con la mostra, perché è un libro sci-Fi. Parla di una cometa che si sta per avvicinare alla terra e, di conseguenza, i suoi abitanti iniziano a reagire e a cambiare. L’energia della cometa crea modificazioni. Parla di come tutto è connesso e tutto si influenzi. Riguarda l’energia e come, per me, fondamentalmente tutto lo sia.
Devo dirti che ho scelto questo titolo per la mostra perché è il primo capitolo del libro e mi piace anche preso singolarmente. Se osservi “la polvere nelle ombre” non puoi vedere la polvere. Ti serve una luce artificiale o la luce del sole.
È un concetto fragile..
e soprattutto oscuro. Hai sempre entrambi gli aspetti.
Nel tuo caso la delicatezza e la forza, il visibile e l’impercettibile, l’oscurità e la superficie scintillante del materiale (per esempio l’argento delle “gocce” sottili e acuminate dell’installazione Rain che apre la personale in galleria Ndr).
Tutto è in un gioco di tensioni ed equilibrio. Nel lavoro sulla grande parete The physical world merges with the larger cosmos III-IV-V e Moon Rise (2019) – realizzato in ottone, rame, acciaio inossidabile e un anello in argento – gli elementi contribuiscono a creare l’idea di una forma circolare perché ci sono opposizioni nel gioco della tensione. Alla fine della mostra, i fili metallici possono essere prelevati dalla parete e contenuti in un piccolo tubo. È un lavoro estremamente “portatile”, flessibile, che si curva e che reagisce a certe tensioni in base al suo posizionamento, ma poi può tornare alla sua forma originaria ed essere trasportato. Quest’aspetto è determinante per me.
Le tue sculture rispondono all’ambiente, stimolano e contemporaneamente sono stimolate dalla presenza del pubblico.
Alcune addirittura reagiscono al respiro. Le sculture sono libere di muoversi – cadono da un singolo punto della parete e si curvano sotto il loro peso specifico – così, quando ci si avvicina, possono vibrare. Per le microvibrazioni delle pareti, dello spazio ma anche per le piccole correnti d’aria provocate dal respiro e dal corpo. Perché non siamo statici. Tutto è in costante interazione. Io cerco di rendere visibile, attraverso il mio lavoro, il fenomeno della vibrazione. Le sculture sono anche molto sottili, sospese e leggere. Questo rende possibile la meccanica e il movimento.
In una tua recente collaborazione con l’artista Nuno da Luz, hai esplorato i fenomeni naturali pubblicando un doppio LP in vinile, Beasts of Gravity (The Vinyl Factory). Me ne puoi parlare?
Si tratta di due tracce remixate da Alva Noto e dj Marfox e di due tracce che sono state registrate sull’isola di Stromboli e in Islanda, dove ho realizzato in precedenza dei progetti. I Will Go Where I Don’t Belong(Stromboli, 2016) per “Volcano Extravaganza” – curato da Milovan Farronato e Camille Henrot – e il progetto con la Kunsthalle Lissabon, I forgot to go to school yesterday (Islanda, 2016). In Islanda ho presentato una mostra “outdoor”, non visitabile dal pubblico perché di difficile accesso. In mezzo al nulla, all’interno di un’istituzione che in realtà non esiste fisicamente, ma che si presenta sotto forma di coordinate spaziali: la Kunsthalle Tropical, nel deserto roccioso. Le sculture erano esposte e reagivano alle condizioni meteo. “Ieri mi sono dimenticata di andare a scuola” nasce dall’idea che sola, con due curatori in un luogo sperduto, ho imparato dalla natura e da qualsiasi cosa il clima offrisse. Dimenticando il modo di lavorare strutturato della società. L’album è il risultato di questi due progetti e presenta registrazioni di suoni all’unisono di geyser, onde sismiche e marine, un vulcano estinto, uccelli e chitarre elettriche percosse dal vento.
Qui a Milano, invece, hai presentato alla Fondazione Feltrinelli il libro d’artista Autumn. The Wind in the Tree. The Wind in the water realizzato con la visual artist e fumettista manga Hetamoé. Racconta di un sogno che hai fatto..
Nella foresta vive un gruppo di donne molto tradizionalista. Una di loro, la leader, ha qualcosa che assomiglia ad un’antenna, un animale che le fuoriesce dal petto che guida tutto il gruppo. Ma ad un certo punto la donna, emarginata per la sua diversità, deve trovare la sua strada nella foresta. E mentre medita sul suo problema, vede una foglia che, cadendo da un albero, la distrae. Inizia a seguirne ossessivamente i movimenti. Finché il vento non spinge la foglia nell’acqua, trasportandola via nel flusso della corrente. La donna dimentica cosa stava facendo prima e inizia a seguire la corrente.
Intenso e complesso.
È un poema visivo, un po’ psicologico, alla fine anche autobiografico. È il primo libro manga in collaborazione con Ana Matilde Sousa (aka Hetamoé), la disegnatrice. L’ho contattata perché volevo realizzare 4 libri, uno a stagione. Abbiamo iniziato con l’autunno. I libri avranno storie diverse, basate su sogni, tutti con personaggi femminili.
Perché sono così importanti per te queste collaborazioni?
Mi piace avere filtri diversi per vedere le cose. Non c’è mai una sola dimensione.