Solo la natia Livorno salva Modigliani dall’oblio sceso sul centenario della morte. Con un’ottima mostra ed un ricco e pregnante convegno internazionale
Ora il delitto è compiuto. Con un articolo uscito a luglio del 2019 ci domandavamo, paradossalmente: Perché l’Italia sta “uccidendo” Amedeo Modigliani? Notavamo come, pur avvicinandosi a grandi passi il centenario della morte del grande artista, non si avesse notizia di iniziative ufficiali prese per celebrare l’evento nella maniera che meriterebbe: nulla dal Ministero per i Beni Culturali, nulla dai grandi musei italiani focalizzati su arte moderna e contemporanea – Galleria Nazionale, Mart, Castello di Rivoli, Museo del Novecento, per citarne qualcuno -, nulla dai centri d’arte normalmente sedi di grandi mostre, da Palazzo Reale a Milano alle Scuderie del Quirinale a Roma. Eccezione a confermare la regola, Livorno, attiva nell’omaggio con un’ottima mostra ed un ricco e pregnante convegno internazionale. Eppure il nostro accorato cahier de doléances, ripreso con altre e nuove argomentazioni nei giorni scorsi da Finestre sull’Arte, lasciava aperto uno spiraglio ad eventi che sarebbero potuti emergere nei sei mesi mancanti al 2020: ben sapendo che queste eventuali estemporanee iniziative poco o punto avrebbero cambiata la sostanza di un’occasione mancata che si è trasformata in un infame tradimento.
Ebbene, anche questi assai flebili e quasi disperati afflati ottimistici erano malissimo riposti: visto che siamo giunti alla scadenza esatta del centenario – 24 gennaio 1920 – ed il deserto attorno a Modigliani si è fatto se possibile ancor più arido. Non una parola dal ministro Franceschini: che pure a mezzo del suo iperproduttivo ufficio stampa non manca mai di ammorbare animi e caselle email degli interlocutori con florilegi di imperdibili comunicazioni evidentemente ritenute prioritarie rispetto a Modì, da “Il videoclip è un’opera d’arte” alla candidatura dei Portici di Bologna alla lista del patrimonio dell’umanità Unesco, per fermarci ai giorni scorsi. A non tutti i centenari tocca tuttavia la sorte funesta capitata a questo: visto che quello della nascita di Federico Fellini è stato ampiamente veicolato dal Mibac, oltre che celebrato da mostre ed eventi di ogni risma, spesso patrocinati se non promossi dal ministero stesso.
Sulle ragioni di un oblio tanto ostinato decretato per Modigliani ci siamo soffermati in precedenti articoli: qualcuno ora – anche nel convegno livornese – tenta di accreditare motivazioni “culturali”, ovvero le difficoltà del presentare un artista difficilmente inquadrabile in un contesto chiaro, un personaggio avulso da movimenti artistici di riferimento, un “cane sciolto” che risulterebbe “indigesto” a pubblici allargati. Noi continuiamo a credere che alla base ci sia una profonda ignoranza, le difficoltà di una classe politica inadeguata nel valutare con libertà e obbiettività il valore dell’artista e di conseguenza la necessità di rivendicarne la paternità e di promuoverne la valorizzazione. Ma ancor più ci sia una miope codardia, tante teste nascoste sotto la sabbia che fingono di non vedere la memoria di un grande artista martoriata da fazioni critiche contrapposte, da mostre di discutibilissimo tasso qualitativo e da notissime vicende di falsi, scegliendo quindi di evitare problemi ignorando un centenario che al contrario avrebbe dovuto fungere da “anno zero” per ripulire l’ambiente e rilanciare la figura di Modigliani sui livelli che gli competono. Ormai ovviamente è tardi per rimediare.
A far eccezione a questo desolante panorama, lo accennavamo, è la natia Livorno. Con due iniziative di importante tasso qualitativo e di respiro internazionale, assolutamente lodevoli se rapportate alla realtà socio-culturale della città toscana, ma che solo parzialmente riescono a surrogare il colpevole disimpegno istituzionale, in primis ministeriale ma anche museale.
Della prima vi abbiamo già parlato: si tratta della mostra “Modigliani e l’avventura di Montparnasse”, che al Museo della Città presenta i capolavori dalle collezioni di Jonas Netter e Paul Alexandre, due dei più intensi e appassionati conoscitori di Modigliani. Le opere chiave dell’artista in mostra non sono molte, una diecina, ma tutte di grandissima importanza: dal ritratto Fillette en Bleu del 1918, dipinto di grandi dimensioni che raffigura una bambina di circa 8-10 anni il cui vestitino e il muro retrostante sono dipinti di un delicato colore azzurro, in un ambiente ricolmo di dolcezza e innocenza, al ritratto del 1916 di Chaïm Soutine, suo caro amico durante gli anni parigini più difficili, seduto con le mani appoggiate sulle ginocchia. E poi il ritratto Elvire au col blanc (Elvire à la collerette), dipinto tra il ’18 e il ’19 e raffigurante la giovane Elvira, ammirata a Parigi per la sua folgorante bellezza, e il ritratto Jeune fille rousse (Jeanne Hébuterne) del 1919, che ritrae la bella Jeanne Hébuterne di tre quarti, capace di catture l’attenzione con i suoi profondi occhi azzurri.
In questi giorni – 22 e 23 gennaio – a riprendere i fili della celebrazione e dell’approfondimento ha provveduto egregiamente il convegno “Modigliani ebreo livornese. Storia familiare e formazione di un genio “, che al Museo di Storia Naturale di Livorno si poneva l’obbiettivo di dimostrare che “lo sguardo che Modigliani porta a Parigi si è formato a Livorno”, come detto in apertura dall’Assessore alla Cultura Simone Lenzi. Un convegno che ha compiuto appieno la sua missione, fornendo contributi e documenti necessari a contestualizzare la vicenda della formazione culturale e artistica di Modigliani, con la comunità ebraica livornese sempre presente sullo sfondo. E svelando importanti – in qualche caso clamorose – novità sul piano biografico e familiare, in grado di far compiere decisi passi avanti alla ricostruzione di un’esistenza quanto mai legata a doppio filo alla formazione artistica e agli esiti creativi del tormentato artista. Particolari magari apparentemente trascurabili o scarsamente rilevanti, ma che inseriti in studi che da decenni replicano se stessi, conservando ampie aree buie o anche viziate da fonti inattendibili e quindi fuorvianti, diventano l’auspicabile obbiettivo di convegni seri come questo labronico.
Sul piano del contesto socio-culturale, dagli interventi è emersa una realtà familiare alquanto lontana dalla vulgata: un nucleo certo in crisi economica e anche di legami, con i due genitori pressoché separati, ma una famiglia che conservava agiatezza, ottima educazione ed un ruolo preminente che si allargava sulla scena nazionale, con parentele illustri come quella con Ernesto Nathan, sindaco di Roma fra il 1907 e il 1013, con i fratelli Rosselli, vittime del fascismo, con i Pincherle, ovvero la famiglia di Alberto Moravia.
Marc Restellini, critico d’arte che cura la citata mostra e presidente dell’omonimo istituto, nel suo intervento si è detto colpito dall’aver scoperto che “Modigliani aveva un rapporto con l’ebraismo più forte di quello che siè sempre pensato. È importante parlare di Modigliani non solo come artista ebreo, ma come ebreo livornese“.
Importanti curiosità, piccoli particolari ma potenzialmente di grande impatto nella biografia di Modigliani, sono emerse dall’intervento del genealogista Matteo Giunti: su tutte la scoperta che lo zio Amedeo Garsin non morì, come finora noto, nel 1905, ma “diversi anni prima”. E visto che proprio dallo zio pare arrivassero i denari che permisero all’artista di studiare prima a Firenze e poi a Venezia e di mantenersi nel primo periodo parigino, l’anticipazione della sua morte cambierebbe diverse prospettive su questo periodo chiave.
Massimo Mattioli