Milano deserta. La riflessione di Pierangelo Sapegno nei giorni della paura per il Coronavirus. Con le chiusure di musei, teatri, cinema, bar e aziende che optano per lo smart working. Aleggia l‘inconscio della paura e i fantasmi della storia
Non c’è niente che dia il senso di quello che sta succedendo come la Scala che sbarra i battenti, questo teatro di Milano e del mondo, il Teatro della nostra Storia, che in 250 anni aveva chiuso in occasione della morte degli Imperatori asburgici e in vista dello scoppio della prima guerra d’indipendenza, e che persino nel secondo terribile conflitto mondiale s’era fermato solo per i lavori di restauro dopo i fragori e gli sconquassi dei bombardamenti. Sembrava che niente potesse scalfirlo. Alla Scala ci passa la Storia, e oggi fa male vederla così. Ma anche il Duomo ha chiuso i portoni, e forse c’era la luna da qualche parte, questa divinità nanificata, che versava la sua luce imprestata attraverso un vento invisibile. Non è una tragedia che si abbatte su Milano, e speriamo che non lo sia. E’ la paura, che è più forte di una guerra. Il coronavirus è una sottile condizione dell’esistenza, capace di trasformare anche i rumori delle macchine e della gente che sono stati da sempre la corrente sotterranea della nostra vita in questa capitale così affollata, rinserrata nell’ansa che si allarga dal Duomo. L’immagine di San Siro completamente vuoto in una qualsiasi delle domeniche che da sempre dedichiamo al calcio, è il corollario di questa sensazione strana che proviamo attraversando le vie fra gli edifici solidi e grigi come monumenti, i supermercati presi d’assalto e i locali con le luci spente in una città che nella sua periferia sembra quasi ritrarsi da se stessa.
Stop alla Cultura
Ma quanto può durare in una metropoli questa negazione della normalità? S’è fermata la cultura. Niente più teatri, niente più cinema, niente più musei, che vuol dire privarci della magia poetica e immaginifica di quelle visioni della realtà. Ci restano solo i virus del web e le maratone tv. E i libri per fortuna: ma fra un po’ potremo ancora uscire a comprarli? Da domenica sono chiusi il Pirelli HangarBicocca che ospita mostre di arte moderna e il Palazzo Reale, mentre la Pinacoteca di Brera ha serrato i cancelli alle 17 annunciando che riaprirà il 2 marzo. Però al grande Super Mercato di Porta Nuova qualcuno gira con due o tre carrelli della spesa riempiti fino all’orlo, e a Sesto San Giovanni i clienti raccontano a Tgcom24 di litigi e spintoni alle casse per accaparrarsi i prodotti. Bisognerebbe andare in letargo per non vedere tutto questo, sprofondare nella diafana materia dell’oblio, nello spazio insondabile che giace sotto il mondo della veglia. Invece siamo costretti a guardarci dentro, a spaventarci come tutti, e non importa che il tuo amico medico cerchi di rassicurarti e ti spieghi che il coronavirus è solo un’influenza un po’ più pericolosa delle altre, ma che alla fine conteremo gli stessi morti che fanno tutti gli anni tutte le influenze (207 nel 2019). Un’energia psichica sconosciuta risveglia nel nostro inconscio pulsioni che forse non avevano mai avuto la possibilità di esprimersi. Ce l’aveva spiegato tanti anni fa un signore che si chiamava Carl Gustav Jung che imprevisti avvenimenti di una certa portata sociale possono anche capovolgere il nostro universo e fare del mondo una società colpita da schizofrenia, interiormente lacerata. Secondo il grande psichiatra svizzero l’irruzione di forze collettive inconsce può trasformare in un forsennato un essere dolce e pacifico. Ma non è quello che ci sta succedendo, ormai prigionieri di questa paura patologica, di questa sindrome da accerchiamento? Nella massa, l’uomo è al di sotto del suo livello, perché forse annulla la sua identità, quando una forte partecipazione mistica crea nella folla una specie di ebbrezza che dà all’individuo l’impressione di appartenere a una totalità che lo supera e lo esalta: «Se alcune migliaia di uomini giungono a questo stadio, si produce una reazione della coscienza che lo allontana dalla sua posizione di equilibrio».
Una Milano illogica
Certo è che, inconscio collettivo a parte, l‘idea di Milano che si chiude in se stessa e spegne le luci ci pare contro la sua natura, quasi illogica e irreale. Nella sua storia è la gente che insegue Milano. Non il contrario. E ci sarà un motivo se nella devastante tragedia della seconda guerra mondiale la Scala han dovuto fermarla solo dopo le bombe che fecero crollare il tetto nella notte del 15 agosto 1943. Speriamo di risvegliarci in fretta per toccare con lo sguardo gli oggetti rimasti tutti al loro posto. Bene. Questa è Milano. E’ come i sassi: i sogni e i pensieri gli scorrono sopra. E anche gli incubi, anche i virus.