Il walk-in business delle piattaforme digitali. David Zwirner, Gagosian, Hauser&Wirth, Pace Gallery e White Cube come esempi di realtà affermate che stanno rivoluzionando le dinamiche di vendita a livello internazionale. Dalle viewing room ai social network, cosa e come offrono al pubblico le proprie collezioni.
Iperconnessione. Se negli scorsi mesi il lemma rivelava la parte negativa dei tempi moderni ora è sinonimo di salvezza. Digitale e virtuale sono i paradigmi dello scenario inter e post coronavirus, l’ancora di salvezza che ci ricorda che noi continuiamo a esistere, anche se tutto si è fermato. Tuttavia gli strumenti adottati dalle realtà italiane, in primis gallerie e istituzioni di vario genere, non reggono il confronto con quelli utilizzati e promossi nel resto del mondo. È vero, finora gran parte del gioco mercato lo conduceva la capacità di relazione diretta con il proprio interlocutore grazie a fiere, aste e mostre, ma da questo momento sarà lo stesso per quelle realtà che mancano di un’adeguata vetrina online?
Il mercato è costretto a cambiare, ma non tutti sono pronti. E l’inevitabile protezionismo da pandemia è causa di un vero e proprio blocco della mobilità internazionale, basti pensare che il costo dei trasporti aerei per le opere d’arte è aumentato di venti volte, e il ritorno a un mercato locale è una minaccia per la crescita. Così, senza oltrepassare l’oceano, da Finisterre si torna indietro, anzi, per ora non si può arrivare nemmeno lì.
Se è vero che molte delle migliori azioni sono guidate dalla necessità bisogna anche riconoscere che nel reinventare le dinamiche di vendita di una galleria non c’è alcuna garanzia di successo. Lo stravolgimento, nella maggior parte dei casi è questo di cui si tratta, deve passare attraverso mesi, più probabilmente anni, di lavoro perchè non ci sono soluzioni magiche che regalano ossigeno nel cyber spazio.
Il digitale è un walk-in business, ma come riconosce Jia Jia Fei, fondatrice della prima agenzia digitale per l’arte e digital strategist per il Guggenheim di New York e ora per il Museum of Jewish Heritage, la fidelizzazione di un pubblico virtuale non è automatica. E le iniziative di maggior successo basano sui social network la propria strategia di comunicazione, primo su tutti Instagram -Brett Gorvy ante litteram: era il 2016 quando il co-fondatore della galleria Lévy Gorvy ha venduto sul social più popolare del momento un Basquiat da 24 milioni di dollari-. Non si tratta infatti solo di convertire uno spazio materiale in pixel e realtà aumentata ma di creare una conversazione sull’opera o collezione mediante focus, approfondimenti e contenuti inediti al fine di guidarne la vendita.
Gli studi del caso
Il primo a rompere il silenzio e a lanciare più di una piattaforma per la vendita online è stato David Zwirner. Non c’è da stupirsi. La galleria con sedi a New York, Londra, Parigi e Hong Kong è digitalmente attiva dal 2017 e dal 2018 ha assunto il suo primo direttore delle vendite online, Elena Soboleva, curator cum Instagram influencer. Zwirner non è l’unico e insieme a lui solo una rosa di poche gallerie possono permettersi di giocare d’azzardo in campo digitale.
Si tratta delle cosiddette gallerie blue-chip, società ad alta capitalizzazione azionaria, vere e proprie multinazionali con sedi sia nel nuovo che nel vecchio continente, per le quali si è trattato semplicemente di accelerare modalità già impostate. Tra queste ne sono state selezionate cinque maior per capire in che direzione si sta volgendo il futuro del mercato dell’arte (discorso a parte, invece, per fiere e case d’asta).
David Zwirner – 571 mila follower su Instagram, 36 mila su Facebook, 82 mila su Twitter
David Zwirner apre dunque la rassegna. 571 mila follower su Instagram, 36 mila su Facebook, 82 mila su Twitter. Già 12 dipendenti interamente impegnati nelle piattaforme online a cui si è aggiunto, nell’ultimo mese, personale riconvertito che altrimenti non avrebbe potuto continuare a lavorare. Da metà aprile lancerà due offerte digitali dedicate alla vendita online. Studio, accessibile a tutti tramite la verifica del proprio indirizzo mail, presenterà dalle due alle tre opere realizzate ad hoc di artisti viventi rappresentati dalla galleria.Inaugurerà una fotografia di Wolfgang Tillmans a cui seguiranno i lavori di Carol Bove, Robert Crumb e Liu Ye.
Exceptional works, dedicata invece al mercato secondario e riservata ai clienti esclusivamente su invito, si concentrerà su di una grande opera alla volta i cui prezzi verranno trasmessi su richiesta. Sono già state annunciate Homage to the square di Josef Albers, una scultura sospesa a filo di Ruth Asawa e una natura morta di Morandi. Non è finita qui. Il sito web ufficiale, che con l’inizio dell’emergenza ha visto un aumento del traffico online del 500%, ospita Platform: Ny, una sala virtuale, attiva dal 3 aprile per un mese, che ospita dodici piccole gallerie di New York. La piattaforma, ideata da Lucas e Marlene Zwirner, permette a piccole, ma affermate realtà, di condurre le vendite tramite il proprio portale senza alcuna commissione. Tra queste la Bridget Donahue, Essex Street e 47 Canal.
Gagosian – 1,2 milioni di follower su Instagram, 175 mila su Facebook e 389 mila su Twitter
Gagosian, diciotto sedi, 1,2 milioni di follower su Instagram, 175 mila su Facebook e 389 mila su Twitter. La volontà di andare incontro alle esigenze dei propri artisti, il cui lavoro concepito per spazi fisici sarebbe stato snaturato, ha spinto Larry Gagosian a non optare per le classiche viewing room.
È stato così lanciato l’8 aprile con Sarah Sze Artist Spotlight, il format che settimanalmente, e per sole 48h, presenta una sola opera di un artista della galleria. I lavori, corredati di video, interviste, saggi, consigli su libri e film da parte degli stessi artisti, esibiscono anche il relativo prezzo. Seguiranno opere di Stanley Whitney, Jennifer Guidi, Roe Ethridge, Titus Kaphar, Katharina Grosse, Theaster Gates, Dan Colen, Urs Fischer, Mark Grotjahn, Mary Weatherford, Rudolf Polanszky, Damien Hirst e Jenny Saville.
Hauser&Wirth – 494 mila follower su Instagram, 42 mila su Facebook e 77 mila su Twitter
Londra, New York, Los Angeles. Hauser&Wirth, 494 mila followers su Instagram, 42 mila su Facebook e 77 mila su Twitter. Oltre a un ricco programma di mostre, video e spettacoli online (tra cui le esecuzioni live di Martin Creed), la galleria ha lanciato il primo programma di residenza tecnologica per artisti all’interno del progetto ArtLab (in attesa dell’apertura fisica dello spazio a Minorca nella primavera del 2021). La piattaforma si avvale di HWVR, uno strumento di modellazione a realtà virtuale che utilizza tecniche digitali già in uso nei settori dell’architettura e della progettazione di videogiochi e grazie al quale, a fine aprile, verrà presentata una mostra le cui opere in vendita saranno devolute per il 10% al fondo di solidarietà covid-19 dell’OMS.
Pace Gallery – 916 mila follower su Instagram, 36 mila su Facebook, 132 mila su Twitter
Un modello di business simile è presentato da Pace Gallery. Sei sedi (New York, Palo Alto, Londra, Ginevra, Hong Kong e Seoul), 916 mila follower su Instagram, 36 mila su Facebook, 132 mila su Twitter. Già nell’agosto 2019 la galleria aveva inaugurato il risultato del proprio crossover artistico tecnologico lanciando il canale di vendita online PaceX e da poco è stata annunciata la mostra virtuale Imagined Interiors di Saul Steinberg.
Tuttavia la galleria sembra aver accusato più di altre l’effetto della pandemia. Infatti, nonostante l’iniziativa di sospendere i relativi stipendi, i proprietari Marc (guarito da covid-19) e Arne Glimcher hanno dovuto licenziare il 25% dei dipendenti di New York pochi giorni fa.
White Cube – 694 mila follower su Instagram, 60 mila su Facebook e 120 mila su Twitter
Infine White Cube, Londra e Hong Kong, con 694 mila follower su Instagram, 60 mila su Facebook e 120 mila su Twitter. In prima linea in attività di beneficenza, la galleria ha lanciato una raccolta fondi da 1,25 milioni di sterline mettendo in vendita a 5 mila sterline una stampa dell’artista Harland Miller (1964), Who cares wins, del 2020. Singolare invece l’iniziativa di commissionare ai propri artisti, tra cui Tracey Emin, Antony Gormley e Sarah Morris, di condividere sul canale Instagram della galleria le loro giornate in quarantena, utilizzandolo come un diario personale.
In conclusione, le convezioni del mercato tradizionale cedono a trasparenza e accessibilità, le parole chiave che aprono alle nuove modalità di vendita che, d’ora in poi, non possono più essere scisse da un coinvolgimento veicolato tramite social. Tuttavia a questo punto è essenziale riconoscere i limiti di budget e relativi vincoli tecnici che caratterizzano la base di partenza di ogni galleria.
Non si può rischiare di diventare un centro commerciale virtuale. Come già sottolineato, non si tratta semplicemente di attivare uno strumento di programmazione che sopperisca alla precedente inattività digitale. È un percorso di rinnovamento che inevitabilmente segna un punto di non ritorno e una completa reinvenzione di dinamiche di mercato atrofizzate nel tempo e ora a rischio fallimento. Com’è che si dice, “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.