La parola ad ANGAMC, che ha scritto al Ministro
Sapete quante gallerie d’arte ci sono in Italia? Circa 500, e ci lavorano quasi 10.000 persone. Quello della cultura è un settore che sta ovviamente subendo un pesante contraccolpo dal lockdown. È vero, nell’arte ci sono galleristi e collezionisti milionari, ma ci sono anche tante maestranze che in questo momento sono in seria difficoltà. Figure specializzate che consentono alle gallerie private di organizzare circa 5000 mostre l’anno. Un patrimonio che non possiamo trascurare, che ci serve per evolvere e coltivare il futuro.
Sono abbastanza sicuro che non tutti voi sappiate cosa sia ANGAMC. E non c’è nulla di male, sia chiaro. Non è altro che l’Associazione Nazionale delle Gallerie di Arte Moderna e Contemporanea. Un collettivo che, negli anni, ha provato a raggruppare una serie di monadi che hanno tanti obiettivi in comune. Qui al Motel abbiamo già parlato, proprio di recente, della difficile situazione che si è venuta a creare per le gallerie, e anche delle nuove opportunità che il post Covid potrebbe creare. Ecco perché ho voluto dare spazio ad Antonio Addamiano, proprietario della galleria Dep-Art e delegato territoriale ANGAMC. L’associazione ha scritto proprio in questi giorni una lettera al Ministro dei Beni e delle Attività Culturali Dario Franceschini, per provare ad allineare la situazione fiscale e giuridica delle gallerie d’arte nella direzione di alcuni modelli internazionali, più snelli.
La riapertura post Covid19 impone qualche riflessione per le gallerie d’arte e il loro mercato, che già prima di questa dura prova soffrivano un trattamento fiscale molto pesante. Come ANGAMC avete scritto a Franceschini, cosa chiedete?
Ovviamente essendo parte del mondo dell’arte e della cultura, siamo forse stati tra gli attori più fortunati del sistema, rispetto ai nostri colleghi del teatro, cinema e concerti e di questo ne prendiamo atto anche nella lettera indirizzata al ministro Franceschini.
Ma questa crisi inaspettata ha messo in risalto ancora di più le evidenti concorrenze del sistema dell’arte tra i vari paesi europei ed in questo l’Italia ha una posizione di svantaggio. Nella lettera abbiamo sintetizzato in 4 punti quello che secondo noi, ci permetterebbe di superare questo duro momento con sacrifici da parte di tutti, per sperare almeno in un futuro più corretto tra i vari soggetti del sistema dell’arte europea.
Per l’Art Bonus (prendendo spunta dalla normativa vincente in Francia), l’IVA primo mercato (10%), l’IVA importazioni (Francia 5,5%, Germania 7%, UK 5%, Belgio 6%, Spagna 7%, solo l’Austria ha il 10%) chiediamo soltanto un allineamento alla politica francese, tedesca e di altri paese dove l’arte crea un forte impatto economico come nel nostro Paese; mentre per la SIAE / diritto di seguito si chiede un allineamento all’applicazione di tale diritto che hanno le case d’aste italiane durante le loro private sale, oramai non più una rarità, ma anzi durante questo lockdown hanno incrementato tantissimo questo loro servizio di vendita, praticamente identico alle gallerie.
Che indotto hanno le gallerie, quanta gente ci lavora (e sta rischiando il posto)?
Il settore conta circa 500 gallerie d’arte, il cui forte impatto economico, culturale e sociale sul Paese è facilmente immaginabile. Basti pensare alle 5.000 mostre private realizzate ogni anno, ai 10.000 posti di lavoro creati da attività di gallerie, artisti, curatori, editori, restauratori e trasportatori specializzati, agli ingenti investimenti in cultura per un volume d’affari di centinaia di milioni di euro, a cui si aggiunge tutto l’indotto che arricchisce il tessuto economico delle città, in particolare nei settori turistico, alberghiero, ristorativo e fieristico.
In questa fase le gallerie d’arte maggiormente colpite sono quelle con più dipendenti, con più posizioni debitorie aperte, con meno asset propri (spazi espositivi e opere d’arte in magazzino) e con una presenza digitale debole.
Poi sicuramente sono in sofferenza maggiore le organizzazioni di fiere, specie quelle in programma da marzo a ottobre 2020, che tra rinvii o annullamenti hanno già speso ingenti capitali, subito dopo i trasportatori d’arte che lavorano a progetto, quindi al supporto di mostre private, pubbliche e fiere.
Perché all’estero funziona meglio? Cosa potremmo provare a copiare?
All’estero, come già accade in altri settori, le gallerie fanno più sistema, proprio recentemente le gallerie di Los Angeles iscritte all’associazione GALA, lanceranno il 15 maggio GalleryPlatform.LA, una piattaforma dedicata esclusivamente alle proposte dei galleristi. Anche perché oramai i siti internazionali quali Artnet e Artsy sono un mix tra aste e gallerie, mentre crediamo ancora di più ci sia bisogno di un canale dedicato alle gallerie d’arte, ai loro programmi, ai loro artisti per coinvolgere i collezionisti, stimolando la loro curiosità e facendoli crescere come una famiglia e non mettere davanti il solo concetto del denaro, dell’investimento e del prezzo, giusti obiettivi strategici del mondo delle aste.
Credi che con questa nuova situazione, con fiere in stallo e voli intercontinentali bloccati, ci sarà una possibilità di ritornare a frequentare le gallerie come una volta? Intendo come centro attivo e vibrante della vita culturale di un Paese. Anche solo per fare due chiacchiere.
Penso che le gallerie debbano sfruttare al massimo il tempo a disposizione e di conseguenza una nuova organizzazione di esso è fondamentale. Con meno fiere, opening e cene con collezionisti, potremo dedicarci maggiormente ad incontri su appuntamento con pochi o singoli collezionisti, nuovi o storici, trasmettendo loro con più calma la nostra passione e competenza con maggior enfasi e qualità. Creare un nuovo rapporto collezionisti/galleristi creato sulla condivisione di un interesse comune con maggior intensità, sperando sempre di chiudere anche la parte economica ogni tanto… che rimane fonte principale di ogni attività.