Barena Bianca – formato da Pietro Consolandi (Milano, 1991) e Fabio Cavallari (Brescia, 1992) – nasce a Venezia, alla fine di un percorso universitario, nell’estate del 2018, come collettivo artistico. La formazione si amplia a seconda dei progetti e delle collaborazioni che nascono nell’ambito dell’attivismo sociale ed ecologico che riguarda la Laguna Veneziana. La maggior parte delle opere di Barena Bianca hanno luogo in spazi pubblici e si formalizzano in azioni collettive ibride, installazioni e happening.
Da quanto tempo lavorate insieme e quali differenze notate fra i vostri esordi e oggi?
Barena Bianca nasce dall’amore di due studenti per l’ambiente, la politica e l’arte durante un workshop dell’Università IUAV di Venezia tenuto dall’artista Elena Mazzi. Tralasciando le esperienze artistiche individuali di due ragazzi italiani che cercano, sognano e combattono per “fare arte” attraverso fallimenti, studi, esposizioni domestiche e pubblicazioni ironiche, Barena Bianca nasce con una coppia di esperienze personali alle spalle. Una sorta di fusione dragonballiana: due menti si uniscono in una più potente. Fortunatamente la nostra convivenza in Barena Bianca funziona e, Covid-19 a parte, il modo di lavorare è rimasto lo stesso; stiamo giusto un po’ più attenti ad alcune cose, giustamente invecchiando diventiamo più “professionali” senza comunque essere dei “professionisti”.
Quali tematiche trattano i vostri lavori e che progetti avete in programma?
“Un nome un programma” è lo slogan di Barena Bianca, l’idea del nome nasce ironicamente dal nomignolo attribuito alla Democrazia Cristiana: la Balena Bianca. L’immagine della balena e l’assonanza con barena suonavano alla perfezione così come l’idea di un gruppo politico militante per la salvaguardia delle barene, le tipiche “isolette” di terra e vegetazione della Laguna, di cui abbiamo perso quasi il 70% della superficie in un secolo. Questi riferimenti si sono subito riversati sul logo del collettivo e nei progetti. Nel primo anno di vita a Venezia, Barena Bianca ha dato voce e immagine alle barene della Laguna collaborando con ragazze e ragazzi della città storica, attraverso momenti didattici che sono al contempo veri progetti artistici collaborativi sviluppati con gli studenti. Ciò che è certo è che stiamo cercando di parlare alle persone attraverso un linguaggio nostro ma comprensibile a tutti, essenzialmente politico ma nato da studi nel campo della didattica e dell’arte.
Come recita lo spot della DC per le elezioni europee del 1987: “La balena bianca è grande, mansueta e non inquina.” Interpretandolo con enorme ironia e con obbligatorio sarcasmo, anche Barena Bianca, come tutte le barene, è grande, mansueta e non inquina. Per noi sono la chiave di un discorso più ampio legato alle problematiche ambientali globali e alle conseguenze di azioni irresponsabili da parte dell’uomo. Riguardo a progetti futuri: anche Barena Bianca ama l’Europa e, ancor di più, “we love the Earth”. Per questo vogliamo “esportare” la storia e il pensiero delle barene in giro per il mondo, certi che i mutamenti della Laguna veneta debbano essere condivisi con territori e popolazioni colpiti dalle medesime problematiche, sostenendosi a vicenda.
Come ti rapporti con la città in cui vivi?
Siamo entrambi lombardi e nell’ultimo anno abbiamo vissuto per necessità in diverse città europee, ma la “casa” di Barena Bianca è ovviamente Venezia e la sua laguna, col suo ritmo essenzialmente diverso da quello del nostro tempo. Qui abbiamo trovato un terreno fertile per quello che volevamo fare: parlare di un ecosistema e di una città per parlare di problematiche globali, umane e vitali nel senso più esteso del termine. Il fascino di Venezia sta, come dice Nietzsche, nell’essere un “monito per l’uomo del futuro”: quella che sembra una città appesantita dal passato si rivela, a uno sguardo attento, una città che anticipa il futuro e, con la sua fragilità, lo vive in tutta la sua violenza.
Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea?
Domanda scottante: il nostro “sistema” – soprattutto quello italiano – è molto fragile e questo si ripercuote su quello che emerge da esso. Durante questa emergenza stiamo vedendo quanto manchi un sistema di supporto per chi vuole creare arte contemporanea, e purtroppo a questa mancanza di sostegno bisogna sopperire in modo diverso, perché non di solo pane vive l’uomo, ma neanche di sola arte. Lavorare in due per noi è anche un modo di sopravvivere, oltre a pensare in due ci dividiamo carichi di lavoro che spesso sono gratuiti, sostenuti dal nostro #tempo non retribuito e dall’amore per l’arte e per le barene. Probabilmente, dietro alla nascita di tanti collettivi della nostra generazione c’è anche questo: non solo aggregarsi per far fronte all’individualismo e all’atomizzazione sociale, ma anche aggregare una certa forza-lavoro. Il “proletariato” nell’antica Roma era la classe che non aveva altri beni oltre alla propria prole, molti giovani artisti purtroppo non hanno molte possibilità se non aggregarsi; un “volersebbenariato”?
Ogni sistema è anche un eco-sistema, legato a una dimensione sociale più ampia, e purtroppo il nostro sta sprofondando: da una parte ci confrontiamo con la grande tradizione italiana, dall’altra, invece, con un mondo dell’arte che può contare su risorse estremamente limitate, spesso riservate a una fetta molto ridotta, oligarchica, di artisti, e un accesso democratico al nutrimento è fondamentale per un ecosistema sano.
Di quale argomento, oggi, vorresti parlare?
Di solitudine e distacco nella maniera opposta con cui Laura Pausini descrive la sua storia con Marco. Ancor più in questo periodo di isolamento pensiamo alla necessità di avvicinarci come artisti e semplici individui che assieme possono migliorarsi. Un esempio sono le varie istanze comunitarie sorte dall’emergenza Covid o, riguardo all’emergenza climatica, fenomeni come Fridays for Future o Extinction Rebellion. Cooperazioni e assembramenti esplosi all’improvviso che dimostrano l’urgenza di condividere le medesime problematiche. È come se per anni fosse mancato qualcuno con cui sfogarsi. A Barena Bianca piacerebbe dare voce a chi ancora non ha trovato il mezzo per dire la sua, creando ponti tra persone che necessitano di farsi forza a vicenda per alimentare il proprio senso di responsabilità. Le problematiche ambientali e alcune azioni dell’uomo sulla natura non possono essere isolate e chi vive le conseguenze di questi fenomeni non può essere lasciato solo e in silenzio. Ci sono atolli in mezzo all’oceano che sprofondano insieme ai loro abitanti per via dell’innalzamento dei livelli del mare, città stuprate dal turismo di massa, calamità naturali sempre più violente e omicida. Non sono casi isolati, Venezia e le sue barene soffrono allo stesso modo e per la stessa causa di molti altri territori. Ciò che ci piacerebbe fare è unire a modo nostro la gente di questi posti per darle forza e non farla sentire sola di fronte al problema più grande del XXI secolo.
Questo contenuto è stato realizzato da Benedetta d’Ettorre per Forme Uniche.
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