Un progetto attivo da febbraio 2018, che ha come focus la sperimentazione e la ricerca sonora è ciò che descrive una realtà polivalente come quella di Aaltra. I linguaggi sonori sono il media privilegiato di questa ricerca condivisa da Sonia Martina e Mauro Diciocia, che, dopo anni trascorsi a Berlino, importano nella loro terra, il Salento, l’idea di uno “spazio liquido” che faccia da connettore ad attività performative, live set, workshop, studio visit, con la collaborazione di artisti internazionali.
Un’attività che in due anni ha contribuito intensamente a creare un circuito attento ai linguaggi contemporanei e alla loro transmedialità.
Come è nata Aaltra?
Aaltra fu il debutto su grande schermo della coppia belga Delépine/de Kervern, una sorta di road-movie in sedia a rotelle con un epilogo degno del miglior Mark Fisher o di un De Sade poco ispirato: credici, non c’è metafora migliore per descrivere la nostra chisciottesca avventura leccese!
Spostandoci in Salento dopo più di otto anni passati a Berlino, abbiamo portato in valigia il sogno di una community locale interessata al suono come ipotesi espressiva espansa, indipendente dal fatto musicale inteso come forma-prodotto necessariamente vendibile. Abbiamo, in una prima fase, aperto a tutte le esperienze sonore che avessero come denominatore comune una pulsione non narrativa { anche se qui sarebbe il caso di aprire una grossa parentesi e chiederci perché, per esempio, definiamo narrativa una forma musicale strozzata da una meccanica struttura strofa- ritornello, e non-narrativa un flusso organico di suoni in evoluzione? } mettendo il più delle volte da parte il nostro gusto personale, ma sempre cercando di filtrare al meglio le proposte degli artisti che ci pervenivano. È forse opportuno puntualizzare che, escludendo l’evento di apertura e qualche rara eccezione, ci siamo finora limitati a filtrare dette richieste non avendo ‘potere d’acquisto’ rispetto agli artisti da invitare; questo presunto limite ha però garantito alla programmazione di Aaltra di affermarsi come corpo estremamente liquido, flessibile e poco prevedibile. Col passare del tempo siamo riusciti in qualche modo a far provenire il flusso stesso delle richieste da territori più radicali, che meglio sposano i nostri gusti personali.
Da Berlino a Lecce, in qualsiasi spazio fisico o virtuale Aaltra può contare sul favore del “nonluogo” per la fluidità della sua ricerca. A proposito di luoghi, Lecce ha quel tessuto adatto a ospitare il sound, o anche a crearlo, degno dell’antropocene?
Ecco, fronteggiare mulini a vento in una terra che ha brandizzato la sua proverbiale ventosità è proprio la parte che, con molto sarcasmo, potremmo definire divertente. Abbiamo riscontrato un gap ricettivo rispetto al nostro modello di lavoro e comunicazione, almeno su due livelli: uno prettamente culturale, l’altro – per così dire – finanziario. Abbiamo fatto risalire la causa di entrambi i mali, comunque correlati, ai decenni di cattiva gestione e selvaggio assistenzialismo culturale che, da un lato, ha letteralmente stuprato la percezione con cui la gente – soprattutto qui alla periferia dell’impero – si rapporta con l’arte, ridotta ormai a una forma di becero e innocuo intrattenimento serale o domenicale e, dall’altro, ha in qualche modo imposto la coatta gratuità di ogni manifestazione, riducendo qualsiasi evento, anche il più intimo sulla carta, a sottostare alla legge della festa di piazza (intanto ci vado, se non mi piace il cantante c’è il panino con la salsiccia).
Succede, quindi, che un modello autarchico come il nostro, indipendente da fondi pubblici e basato su un rigoroso regime di rispetto culturale, buon senso e mutua fiducia, sia spesso salutato al pari di una radicale provocazione perché chiudiamo le tende all’ingresso e ti chiediamo quanto costa la tua curiosità, non ci sono aperitivi o dj-set divertenti prima e dopo le performance, non si chiacchiera o ci si sposta in sala durante il concerto, si sta seduti e si ascolta.
A questo punto ci sembra doveroso riportare che esiste anche un polo di realtà locali accomunate da un atteggiamento di sano ostracismo verso il provincialismo imperante, una Lecce vivace e cosciente di trovarsi in Europa, animata da gente preparata e motivata come i ragazzi di P.I.A. Studio, LaStation, 0riente, Studioconcreto e altre valide realtà che in qualche maniera hanno un po’ spianato la strada a progetti come il nostro, anche se la pendenza non sembra attenuarsi dopo la curva.
Le vostre iniziative prevedono sempre una relazione con altri artisti, non solo musicisti, anzi, sembra prediligiate una certa trans-medialità e contaminazione tra pratiche artistiche. Ci descrivete la relazione che intercorre fra suono e visione?
L’interesse principe del nostro progetto resta il suono, declinato in una forma quanto più extra- musicale possibile, il che include inevitabilmente delle possibili interazioni trans- e inter- mediali, ipotesi su cui ci sentiamo molto propositivi soprattutto sul versante plastico e installativo. Di recente, invece, abbiamo deliberatamente deciso di stringere un po’ le maglie verso proposte live legate alla sterile multimedialità audio/video, in altre parole quelle che non prevedono un’interazione mirata tra suono e immagini. Più in generale, ci è sembrato opportuno concentrare tutti i sensi sull’output sonoro, evitando distrazioni: saremo anche degli instancabili romantici ma ci piace tanto quell’idea un po’ naive di ascoltare anche con gli occhi. Inoltre, ti confessiamo con estrema franchezza che non siamo mai stati dei grandi fan degli screen-saver di Windows 95 proiettati sullo sfondo dei concerti di musica elettronica.
Quali sono i vostri riferimenti ispirativi (libri, opere d’arte, dischi preferiti)? Qual è l’ultimo concerto/mostra/spettacolo che avete visto?
Difficile risponderti senza effetti speciali, ma la nostra natura tanto pantofaga quanto iconoclasta ci costringe a passeggiare in quel campo minato dove convivono, in modo placido e interattivo, i Mötley Crüe e Jani Christou, Stan Brakhage e i Vanzina, Antonio Gramsci e Ėduard Limonov, il Giro d’Italia e l’Azionismo Viennese, Marshall McLuhan e Inzane Johnny. Se vogliamo forzatamente isolare i riferimenti che hanno ispirato almeno i principi fondativi del progetto, più che contenuti culturali di alto o basso borgo, ci piacerebbe citare dei modesti contenitori, modelli di curatela collettiva con cui ci siamo rapportati a più livelli negli anni berlinesi e da cui abbiamo imparato e rubato tantissimo, luoghi e non-luoghi in cui pulsa (o, ahimè, pulsava) la voglia di confrontarsi selvaggiamente con i limiti di linguaggio, arte e società: pensiamo a NK, Rumpsti Pumsti, Salon Bruit, Echtzeitmusik, Multiversal, Loophole e tante altre cantine, micro-gallerie, spazi e collettivi indipendenti lontani anni luce dagli eventi tristi e mondani di quella Berlino da riflettore come Atonal, Kiez Salon e altre passerelle edulcorate da ogni sincera pulsione avventuriera (prescindendo dalla qualità dagli artisti che ospitano sorteggiando tra le mode del momento).
Con quali altri realtà avete collaborato?
Più che delle effettive collaborazioni, potremmo innanzitutto evidenziare dei rapporti di scambio continui e proficui con gli spazi che, ospitando con fiducia nostri incontri, hanno alimentato la nostra giovane chimera. Su tutti, ci sembra opportuno citare Manifatture Knos, residenza abbastanza abituale per Aaltra con cui conserviamo un rapporto speciale e Officine Culturali Ergot, una libreria indipendente nel cuore della città vecchia di Lecce, che riesce – con fatica e coraggio – a essere motore di tante iniziative locali. È successo inoltre, in questi due anni di attività, di aver dedicato un nostro incontro a un collettivo o invitato, in veste di artisti, elementi provenienti da realtà in qualche modo parallele alla nostra: è il caso del gruppo tarantino Whereiswave? che ha portato da noi due live set e un’installazione audio/video nella stessa sera o di Donato Epiro (motore di Canti Magnetici e 0riente) che, tra l’altro, rappresenta l’unico riferimento di settore che avevamo in zona prima di rientrare in patria. Lo sviluppo prossimo di Aaltra ci vedrà sicuramente impegnati in momenti collaborativi più corposi e concreti!
Nelle performance che organizzate e ospitate sembra ci sia sempre una “scrittura” in forte relazione con l’ambiente. Qual è la vostra idea di natura?
Il suono, per sua natura, occupa lo spazio nella stessa misura in cui viene influenzato dallo stesso: l’aderenza è totale e necessaria, per cui c’è sempre un rispetto intrinseco verso i luoghi che accolgono gli incontri di Aaltra e fortunatamente i nostri ospiti dimostrano sempre la sensibilità adeguata a instaurare una relazione intensa e deferente con gli spazi che temporaneamente invadiamo, quasi sempre diversi e mai dedicati. Abbiamo il terrore delle sale da concerto con i pannelli fonoassorbenti e il riverbero perfetto. Imboccando la via verso un senso generale, in coerenza con la tua domanda, potremmo spavaldamente lanciarci in un elogio alla fecondità dinamica di un’ideale di natura che trova il suo assoluto espressivo dall’incontro tra materia e spirito nell’atto creativo, ma abbiamo le zanzariere in casa, usiamo la carta igienica e copia-incollare brutalmente un mix di Fichte e Schelling tipo frutta secca a guscio e uvetta sultanina non ci allontana, in concreto, dal condividere con una certa rassegnazione quell’idea di natura-giardino standardizzata e oggettivizzata, che riduce anche la più illuminata tra le attività creative della nostra modernità a restare sintetica per definizione.
Uno dei vostri ultimi progetti o il progetto più prossimo a questa quarantena?
In futuro ci piacerebbe poter proporre più spesso attività laboratoriali o artist-talk come quello che, grazie alla collaborazione e l’ospitalità degli amici di P.I.A. Studio, abbiamo presentato lo scorso dicembre assieme allo scultore e sound-artist Andrea Borghi o come l’hands-on dedicato alla composizione su nastro condotto da Rinus van Alebeek questo febbraio. Sentiamo la fervente necessità di instaurare un dialogo critico e costruttivo con la città in cui operiamo e far passare l’idea che quello che abbiamo in serbo è tutt’altro che un fatto meramente musicale ci sembra davvero un ottimo punto di partenza.
Questo contenuto è stato realizzato da Lara Gigante per Forme Uniche.