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Non solo parole: l’arte pittorica di Carlo Levi in mostra a Milano

Carlo Levi pittore è la mostra che racconta l’attività artistica del celebre autore di Dio si è fermato a Eboli. L’esposizione, composta da 17 opere, è visibile dall’1 al 30 ottobre 2020 alla Galleria Silva – Arte antica di Milano.

[…] la vita se la ride delle previsioni e mette parole dove noi abbiamo immaginato silenzi, scriveva Josè Saramago. A questa potente metafora potremmo aggiungere che la vita, talvolta, si diverte anche a mettere immagini dove noi abbiamo ipotizzato parole. Questo semplice ma evocativo incastro di alternative e sorprese germogliate in una situazione drammatica ben si allaccia alla vita di Carlo Levi.

Quando nel 1935 venne arrestato dalla polizia fascista e confinato in esilio nel piccolo centro di Aliano, in provincia di Matera, Basilicata, la sua attività di intellettuale e artista sembrò (come nell’intenzione del regime) arenarsi nel silenzio. Invece, contro ogni aspettativa, fu proprio a seguito di questa esperienza che scriverà il suo più celebre romanzo, Cristo si è fermato a Eboli. Pubblicato da Einaudi nel 1945, l’opera consacrò la voce del suo autore come una delle più autorevoli del Novecento. Una consacrazione talmente forte da sembrare definitiva, così che rischiamo di sorprenderci, ancora una volta, che Carlo Levi sia stato, oltre che scrittore (a dire la vero ancora prima di essere scrittore), anche pittore.

Allora a ricostruire la sua vicenda artistica ci pensa la Galleria Silva – Arte antica di Milano, che espone 17 opere pittoriche dell’intellettuale torinese. A sottolineare come oggi la sua attività pittorica ci appare sorprendente, il titolo della mostra, programmata dall’1 al 30 ottobre, è Carlo Levi pittore. La sua poetica – declinata in campo sociale, pittorico e letterario – era visceralmente incentrata sulla registrazione puntuale del mondo che lo circondava. In particolare il suo interesse si rivolgeva alle realtà dimenticate, quelle dei meno abbienti, degli operai, dei contadini, di tutti coloro che vivevano tra i gas di scarico della rivoluzione industriale. Il suo spirito artistico e le sue tematiche possono essere raccolte sotto l’etichetta del Realismo sociale, ovvero quel movimento artistico che si proponeva di porre l’attenzione sulle reali condizioni socio-politiche della classe operaia. Dunque un’arte, quella di Carlo Levi, che denuncia senza mezzi termini l’egemonica forza oppressiva di chi è al potere e la triste sorte delle sue vittime.

Stilisticamente il pittore – che nel 1932 partecipò anche alla Biennale di Venezia – nella prima fase della sua carriera subì l’influenza di Felice Casorati e del suo realismo. Fu in seguito ad un viaggio a Parigi che Carlo Levi riuscì a delineare una propria personale espressione, dove l’approccio realistico – quasi cronachistico – si miscela ad una carica emotiva appassionata. Questo innesto soggettivo, lungi da minare la veridicità della sua opera, ne esalta il potere evocativo e il fascino estetico.

Tanto ci sarebbe da dire sulla vita e l’arte di Levi, ma molto è contenuto nella mostra che ci aspetta in autunno. Quello che forse non si può dedurre dalle tele è che negli ultimi anni della sua vita l’artista diventò cieco. Un ulteriore legame con la citazione posta in apertura di articolo: non solo perché il romanzo più celebre di Josè Saramago è proprio Cecità, ma soprattutto perché anche in questa circostanza Carlo Levi non si arrese alla tragedia. Diede precise indicazioni a un falegname per realizzare un telaio di fili paralleli in metallo; lo soprapponeva alla pagina e scriveva, riga per riga, seguendone il tracciato.

La vita se la ride delle previsioni e pone luce dove noi abbiamo immaginato buio.

Umberto Saba ritratto da Carlo Levi

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