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Catturare lo splendore del vero: una carrellata sulla Nouvelle Vague 

Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg in "Fino all'ultimo respiro"

“Niente spot, trucco o suono. È così diverso da Hollywood che mi viene naturale!”. Così annotava Jean Seberg durante le riprese di Fino all’ultimo respiro, il film con cui Jean-Luc Godard scrisse il manifesto della Nouvelle Vague. Nel video di Arte in italiano, la storia del movimento cinematografico in una (rapida) carrellata.

È il 3 ottobre del 1957 quando sul settimanale L’Express appare per la prima volta il termine Nouvelle Vague (letteralmente, nuova onda). A coniarlo, la giornalista Françoise Giroud in un’inchiesta rivolta ai giovani francesi. Qualche mese dopo la definizione è ripresa da Pierre Billard su Cinéma 58 in riferimento ai film distribuiti quell’anno, destinandola a imprimersi nella mente di tutti, cinefili e non, fino ai giorni nostri.

In un momento storico delicato, segnato dalle tensioni della cortina di ferro e dai contrasti della guerra d’Algeria, il cinema francese tende a idealizzare la realtà, con l’intento di rifondare una morale nazionale. A dare una scossa a questa tendenza, un gruppo di registi giovani che si propongono di rappresentare la nuova generazione così com’è, tra disinvoltura e inquietudine. Secondo Jean-Luc Godard, che scrive per i Cahiers du Cinéma, si tratta di catturare “lo splendore del vero”. Ecco che nascono e si diffondono pellicole girate con mezzi di fortuna per le strade cittadine, senza illuminazione né suono in presa diretta, che spesso si affidano alla spontaneità degli attori. Il movimento, clamoroso e rivoluzionario, dimostra (tra l’altro) come non siano necessarie delle grandi produzioni per fare del grande cinema, influenzando numerosi autori europei, nonché il cinema statunitense da Robert Altman a Quentin Tarantino.

Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg in Fino all’ultimo respiro (1960)

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