Elon Musk è uno di quelli che sta cambiando il nostro mondo. Se proviamo a immaginare il futuro che ci disegnano i suoi progetti di Neuralink, con le ricerche sull’intelligenza artificiale e i collegamenti neurali da impiantare nel cervello, cominciamo a sognare un tempo in cui potremo guarire i malati come faceva Gesù Cristo nella regione di Genèsaret, e i paraplegici cammineranno, «alzati, prendi la tua barella e va a casa tua», e i ciechi riavranno la vista come Bartimeo, figlio di Timeo, il mendicante che sedeva lungo la via, «Va’, la tua fede ti ha salvato», e la memoria tornerà nel cervello di chi l’ha perduta e tutti noi conosceremo la speranza della felicità.
Ma è sempre così all’inizio. Quando Madame Curie e suo marito scoprirono la radioattività, vinsero il Nobel perché tutti pensarono che avessero trovato la soluzione per guarire il cancro. Grazie a loro la scienza ha fatto enormi passi in avanti. Però, i loro studi hanno rappresentato il primo step verso la bomba atomica, il cancro è rimasto, Madame Curie è stata uccisa dalle stesse radiazioni che aveva scoperto e Pierre Curie sarebbe morto nella stessa maniera se non fosse stato travolto da una carrozza sulle strade di Parigi.
La verità è che sappiamo ancora troppo poco su quello che ci sta riservando il nostro futuro. L’intelligenza artificiale è già entrata nella nostra vita. Ma a che punto del percorso si trova? Pensiamo all’arte. Nell’ottobre 2018, la prestigiosa Christie’s ha venduto il primo quadro generato dall’intelligenza artificiale per 432.500 dollari. Se si pensa che quel ritratto, intitolato Edmond de Belamy e firmato con una formula matematica, era partito da una base d’asta di diecimila dollari, si capisce subito quale successo abbia incontrato nel pubblico. Ma se andiamo ad analizzare a fondo come è stata realizzata quest’opera, scopriremo che il lavoro dell’uomo è stato ancora determinante, visto che i tre studiosi che hanno creato l’algoritmo hanno inserito nel sistema 15mila ritratti dipinti tra il XIV e il XX secolo, addestrandolo a scegliere.
Davvero si può parlare di una creazione affidata completamente a una macchina pensante? La realtà è che ora come ora siamo solo all’inizio della strada, che è una strada affascinante, ma tutta da scoprire. E questo discorso riguarda pure Elon Musk, a capo di Testa e Space X. Nell’ambiente medico c’è un detto, che vale come un vangelo: «Pubblica o muori». Significa che se non ti fai conoscere e non ti sai vendere, non potrai mai andare avanti nelle tue ricerche. I progetti della sua campagna Neuralink sono senza dubbio grandiosi e benemeriti. Prevedono la creazione di un impianto cerebrale che collegherebbe direttamente il cervello umano con l’intelligenza artificiale. «In pratica», spiegava qualche tempo fa lo stesso Elon Musk in un’intervista a Joe Rogan, «si effettua un foro nel cranio, che lascia solo una piccola cicatrice, e si inserisce il dispositivo».
Gli studiosi di Neuralink hanno creato dei fili flessibili 10 volte più sottili di un capello umano, per curare lesioni e traumi cerebrali. «Questa tecnologia», ha aggiunto Musk, «potrebbe evolversi in una sorta di interfaccia cerebrale completa, che consentirebbe la simbiosi tra uomo e intelligenza artificiale. Potremo essere in grado di impiantare un collegamento neurale in una persona di meno di un anno. Riparare lesioni cerebrali potrebbe consentire ai paraplegici di camminare di nuovo, curare la cecità, ridare la memoria a chi l’ha persa, ma anche curare le insonnie e persino l’ansia. Il chip potrebbe modificare anche il modo in cui avvengono le relazioni tra esseri umani». In questo progetto, i fili flessibili raccolgono gli impulsi per tradurli in informazioni digitali.
A fine agosto, dalla sede di Neuralink a San Francisco, Musk ha mostrato il maialino Gertrude e gli altri che hanno da due mesi i sensori nel cervello. Ma a guardare queste immagini sensazionali, ci si accorge che manca ancora un sistema capace di interpretare i segnali raccolti nel cervello, una soluzione che possa permettere di dare ordini o trasmettere informazioni da un computer. A dimostrazione che è ancora presto per cantar vittoria.
E lo stesso discorso vale per l’arte, dove fino adesso tutti i progetti sembrano limitarsi a insegnare ai sistemi di intelligenza artificiale come assimilare, selezionare e al limite rielaborare opere già create dall’uomo. L’esempio più evidente è di nuovo quello del ritratto di de Belamy. Nel Gan (Generative Adversarial Network), il sistema utilizzato dal gruppo di giovani studiosi di Obvious, vengono adoperati due algoritmi in competizione fra di loro, uno – Generatore – che fornisce i dati necessari all’addestramento, cioè le immagini di opere d’arte, e l’altro – Discriminatore – che seleziona i risultati. Entrambi però sono stati indirizzati dall’uomo. E nello spiegare il loro lavoro gli studiosi di Obvious parlano di «imitare la creatività».
Oggi come oggi le intelligenze artificiali nel mondo dell’arte simulano il suo valore estetico. Alla fine possiamo solo intuire come l’Intelligenza Artificiale possa originare una serie di infinite possibilità nel regno creativo. Ma non siamo ancora in grado di dire quali. La verità è che le macchine potranno produrre qualcosa che deve ancora essere immaginato.
Resta però il tema di fondo. Se le scoperte andranno avanti dove arriveremo? Elon Musk è ancora molto indietro, è solo all’inizio della strada, che è una strada molto affascinante, piena di pericoli. Una cosa è certa: lui ha passato il Rubicone. Adesso che succederà? Il rischio più evidente è che l’Intelligenza Artificiale diventi più intelligente dell’intelligenza umana e quindi ti sfugga di mano. E’ un rischio che è insito in qualunque scoperta, come abbiamo visto con la radioattività, che è andata molte oltre le intenzioni dei suoi studiosi. Ma collegato a questo c’è tutto il mistero di un salto nel buio.
Come spiega Pierdante Piccioni, il Doc di Argentero, che ha perso 12 anni di memoria e che da allora approfondisce con grande interesse questo campo, «ci sono degli aspetti che non possiamo prevedere, e riguardano in particolare l’utilizzo che ne può venir fatto. Se tu modifichi una pianta per salvarla, perché non possa più essere mangiata da quel parassita, il parassita muore, ma con lui muore tutta la catena alimentare che ne deriva. Alla fine il danno può essere più forte del beneficio. E’ un po’ come andare alla scoperta di Dio: potrebbe essere pericoloso spingersi oltre. Icaro ci ha lasciato le penne».
Però ormai ci siamo. Abbiamo aperto la porta del futuro. Grandi tempi ci aspettano.