“Sembra lontano il tempo in cui, una ventina d’anni fa, Peter Dormer s’interrogava sulle ragioni per cui l’artigianalità (quell’universo che in inglese è racchiuso sotto il termine craft) era “intellettualmente sconveniente” nell’arte moderna e contemporanea. Nel corso dell’ultimo decennio, infatti, le tecniche artigiane hanno raccolto una nuova attenzione nella pratica degli artisti contemporanei. Nell’attuale ritorno è facile leggere una reazione di fronte ai processi tecnologici accelerati che disegnano un mondo sempre più smaterializzato”. (Simone Ciglia, curatore)
La forma della terra. Geografia della ceramica contemporanea in Italia (25 luglio – 30 agosto 2020) è un progetto che nasce e trova sede a Castelbasso (TE), presso la Fondazione Malvina Menegaz, con l’intento di mappare delle possibilità contemporanee della ceramica sul territorio nazionale.
La mostra è concepita come un viaggio attraverso alcuni fra i principali centri di produzione legati a questa tecnica, che ricalcano in larga parte la ricca tradizione storica: da Faenza, che ha saputo più di ogni altro raccogliere la sfida della contemporaneità, ad Albisola Superiore e Albissola Marina (SV), Castellamonte (TO), Nove (VI), Pesaro, Deruta, Castelli (TE), cui si aggiungono le città di Roma e Milano. Ogni luogo è rappresentato da opere di autori di diverse generazioni e provenienze. Gli artisti che hanno prodotto con questa tecnica lo hanno fatto nell’ambito di una pratica postmediale.
Come sottolinea l’archeologo William Henry Holmes – afferma Simone Ciglia, curatore della mostra- , la ceramica, al contrario di altri materiali, “non possiede inerenti qualità naturali da imporre una data forma o una classe di forme ai suoi prodotti […]. È così mobile da essere alquanto libera di prendere forma dall’ambiente circostante, e dove ampiamente usata registrerà o echeggerà una gran parte di natura e di arte coesistente”. Nella contemporaneità, questo retaggio quasi ancestrale è stato avvicinato con una volontà di sperimentazione che ha raggiunto risultati di grande originalità, spesso in dialogo con altri media: nell’orizzonte attuale non sembra infatti più possibile un discorso di specificità del medium.
Già dalla fine degli anni Settanta, alcuni artisti italiani iniziano ad aprire la strada al recente ritorno di attenzione nei confronti della ceramica. Fra loro spiccano i nomi di Enzo Cucchi e Mimmo Paladino, militanti all’interno della corrente della Transavanguardia (ritorno alla pittura e alla manualità sotto il segno del nomadismo stilistico) di Achille Bonito Oliva. Dall’inizio degli anni Ottanta poi, Ugo la Pietra, influenzato anche dal dibattito culturale in atto, comprende che storicamente la ceramica ha sempre incarnato i caratteri estetici del suo tempo e quindi può rappresentare un forte insegnamento per quel che riguarda la capacità di comunicazione e di espressione. Si tratta di una materia “altamente ecologica, nasce dalla terra e muore nella terra”, che inoltre “ci fa vedere come si può esprimere arte ‘fuori dagli stili dominanti’, in una sorta di modello comunicativo facilmente comprensibile da tutti (quello che gli storici dell’arte chiamano ‘arte popolare’)”.
Tappa dopo tappa, la ricca ricerca territoriale e artistica proposta in mostra, si tramuta in un itinerario delle principali città ceramiche che ancora oggi ricordano i nomi dei grandi artisti operanti presso le loro fucine. Questi gli artisti in mostra: Mario Airò, Salvatore Arancio, Stefano Arienti, Bertozzi & Casoni, Enrico Castellani, Enzo Cucchi, Matteo Fato, Flavio Favelli, Alberto Garutti, Liam Gillick, Piero Golia, Ugo La Pietra, Felice Levini, Emiliano Maggi, Eva Marisaldi, Gino Marotta, Mathieu Mercier, Matteo Nasini, Adrian Paci, Mimmo Paladino, Luca Maria Patella, Giovanni Termini, Luca Trevisani, Vedovamazzei, Luca Vitone.