Lo storico fumetto Tex diventa un baluardo verso il politically correct montante anche nell’arte contemporanea. Fra un “sacco di carbone” e un “mangiatortillas”
In tempi di eccessivo zelo verso i diritti di supposte o reali minoranze, l’affermazione della professoressa di un liceo classico romano diverte e pone interrogativi. L’invito della docente, rivolto alle studentesse (“attenzione a indossare le gonne che altrimenti ai prof gli cade l’occhio”) è stato subito bollato come commento sessista. Ma verso quale sesso?
Non sembra un’offesa verso quello femminile bensì quello maschile, delineando una figura di insegnante uomo libidinoso non in grado di trattenere istinti voyeuristici nello svolgimento della sua professione. Eppure non si sono letti commenti di insegnanti uomini a difesa della categoria, ma proteste di sole donne.
Molti dei simpatizzanti o degli accaniti e appassionati lettori (tra cui il sottoscritto) del più longevo e famoso fumetto italiano, ovvero Tex Willer, stano temendo in questo periodo che qualcuno prima o poi si scagli contro l’eroe che li ha accompagnati dalla loro giovinezza alla maturità (via via si spera fino alla vecchiaia). Tex Willer, si sa, è un ranger del Texas (quindi un uomo di legge), dedito alla difesa dei deboli e degli oppressi. Tra l’altro sposato con una donna indiana (della tribù dei Navajos), da cui ha avuto un figlio. Diventato capo della stessa tribù e agente indiano della riserva, si batte per i diritti dei pellerossa contro le angherie e i soprusi dei bianchi. Fin qui nulla da eccepire.
I problemi sorgono quando Tex riesce a mettere le mani su qualche delinquente dichiarato (contrabbandiere di whisky o armi, razziatore, politico corrotto, rapinatore di banche e diligenze o assassino che sia). Che non sempre viene sbattuto direttamente in carcere o davanti un tribunale. Spesso e volentieri infatti il criminale ha dovuto passare un interrogatorio a suon di sganassoni e pugni. Un vero e proprio sanguinolento pestaggio, magari anche con la minaccia di essere affidato alla lama del fido pard indiano Tiger Jack o dopo aver infilato un fiammifero acceso tra i piedi del malcapitato delinquente per stimolarlo a confessare. Senza contare la scia di cadaveri che le avventure dei quattro pard si lasciano dietro (certo per lo più per legittima difesa, ma anche questa porrebbe oggi dei limiti critici).
Le “scorrettezze” però non finiscono qui. Il linguaggio di Tex e dei suoi pard è spesso costellato da appellativi del tipo “sacco di carbone”, “palla di neve”, “muso giallo”, “mangiatortillas”. Riferiti a uomini di colore (neri), orientali (cinesi) o messicani (ovviamente tutti colpevoli di qualche reato). Immaginate se la lettura di queste espressioni dovesse passare la censura del politically correct: l’editore Bonelli rischierebbe centinaia di querele e censure se non la correzione forzata del linguaggio e dei modi violenti di Tex, vale a dire lo svilimento del personaggio a vero e proprio “damerino” “smidollato”, per usare ancora una volta una delle sue espressioni.
Il fatto è che un fumetto come Tex ci libera proprio da un certo tipo di convenzioni e di stretture. Ci dà piena libertà di agire contro i violenti e i prepotenti, di vederli sbatacchiati a destra e sinistra. Cosa che molti di noi vorrebbero fare (difendersi dai soprusi e proteggere i più deboli dagli oppressori), ma che non sono in grado di attuare per carattere, capacità fisiche e prontezza di riflessi.
Se il fumetto può sublimare certi impulsi senza doverli necessariamente legittimare o concretizzare nella realtà, figuriamoci l’arte. Che pure sta subendo un silenzioso (ma poi non tanto) processo alle intenzioni e ai contenuti, in modo sempre più subdolo.
Tanto più che un’opera d’arte è fatta per essere esposta in pubblico, in musei e gallerie, fiere e biennali, mostre e rassegne internazionali. Oltre che essere pubblicata su riviste e cataloghi. Si veda l’ultima delle rimozioni, quella dell’opera di Saul Fletcher dalla mostra presso al Fondazione Pinault a Punta della Dogana di Venezia. Perché l‘artista prima di suicidarsi aveva ucciso anche la compagna. Oggi una mostra epocale come Sensation del 1997, segno dei suoi tempi e foriera di grandi cambiamenti nel mondo dell’arte, sarebbe chiusa il giorno stesso della sua inaugurazione!
È forse allora la dimensione più privata, intima, quasi tascabile, se non clandestina (detto in modo ironico ovviamente) del fumetto a salvare Tex Willer dalla mannaia delle correzioni moraleggianti dei nostri tempi?
“Matusalemme ballerino”, esclamerebbe Kit Carson! Sarà forse questa la dimensione prossima dell’arte che vorrà essere libera e liberata da se stessa?
Marco Tonelli