FILTERS è la mostra ospitata e curata da Dimora Artica, visitabile fino al 19 ottobre, in cui Flavia Albu espone una serie di lavori, tra cui pitture, installazioni e video, che fanno parte del suo percorso di ricerca.
L’arte riflette intorno a questioni estetiche o a dinamiche umane ma ha anche quella capacità di analizzare se stessa in quanto pratica e concetto. Una modalità che implica il soffermarsi su apparati propri, specifici, interiori e strutturali, su forme e tecniche, su significati e sulle possibilità ipotetiche che ne possono derivare e che si riconoscono in immagini. Immagini che, in alcuni casi, esulano da discussioni intorno a forme di rappresentazione ma che diventano luogo per una sperimentazione tecnica, emotiva e intima, lontana da definizioni e costrutti teorici.
Il lavoro di Flavia Albu (1991, Suceava, Romania) si iscrive in questo contesto di analisi ed è teso ad approfondirne gli aspetti. Partendo dalla pittura come genesi di un’espressione libera da ambizioni di mimesi coglie l’occasione per ragionare sul “rapporto tra l’intenzione e l’accidentalità”, come ci racconta. FILTERS è la mostra ospitata e curata da Dimora Artica, visitabile fino al 19 ottobre, in cui espone una serie di lavori, tra cui pitture, installazioni e video, che fanno parte del suo percorso di ricerca. Opere che si inseriscono nel fortunato spazio di via Dolomiti, in cui una luce naturale investe l’eleganza di quei corpi, lasciandoli in una condizione di sospensione tra l’onirico, il teatrale e il reale.
La pittura diventa matrice per una disquisizione (intesa nel suo senso più stretto di investigazione) intorno a se stessa e ai suoi elementi costitutivi: supporti, materia, tela, filtri. Aspetti che l’artista propone non solo attraverso il quadro ma che trasferisce semanticamente anche nelle installazioni e nei video. Ci svela come i “lavori ruotano intorno a circolarità che trovo irrisolvibili in qualche caso”, in cui l’esasperazione del metodo conduce a improvvisazioni della forma e della materia. Le immagini prodotte, di cui non si conosce ancora l’esito, si rivelano attraverso la verticalità del segno come frutto di una sintesi tra “l’intenzione e l’accidentalità”. La conclusione è l’effetto di una spontaneità che precede l’esecuzione di un’opera. Un agire in cui l’artista mette in atto una relazione inevitabile con la materia pittorica, che si fa fisica attraverso il suo procedere, lasciando anche un ampio margine di spazio alla casualità delle forme.
Senza titolo e Curtain sono oli su tela in cui la gestualità si risolve in un segno istintivo. Nella pittura l’enfasi è tutta centrata sul movimento morbido delle linee e delle curve generose, nei toni neutri e in quel guizzo di colore che a tratti appare. Le pennellate si sovrappongono e seguono un percorso imprevisto che si carica di un immaginario visivo digitale a cui l’artista ammette di attingere. Un vocabolario estetico inevitabile non solo in virtù della generazione alla quale appartiene, quella che convenzionalmente viene chiamata Y o Millenial, abituata a internet e alle tecnologie ma anche come conseguenza di una sovrabbondanza di immagini alle quali oggi si assiste, nell’inconsapevolezza (spesso) della visione. Gli elementi del quadro si materializzano in Fallen Drape, un tessuto di seta increspato sul pavimento che riprende i drappi della pittura e i supporti come la tela, ma ribadisce anche quel concetto di accidentalità caratteristico della ricerca dell’artista.
Albu si spinge oltre per sondare alcuni aspetti che lei definisce essere più una “questione politica”. Mi riferisco agli oggetti che recupera da un immaginario collettivo, riconosciuti come simboli di potere usati in epoche e momenti diversi nella storia dell’umanità. Manifesto di un agire umano – che deve essere letto in chiave critica – finalizzato alla costruzione di un’immagine e di una relazione di forza, e soprattutto di dominio, attraverso una pratica coercitiva. Senza Titolo è una frusta in PVC fissata a parete con un elemento di acciaio e ferro che, sebbene realizzata con un materiale leggero e trasparente, rimanda inevitabilmente all’idea e al peso della punizione o, peggio, della tortura (più che come strumento di piacere attuato in certe pratiche), che mostra come certe esperienze accomunino un’umanità che esprime quanto di più disumano sia in grado di attuare. Flag è una bandiera di cellophan trasparente sorretta da un’asta sottile. Realizzata in occasione di Genealogie, una mostra del 2019, diventa soggetto di un video in cui sventola lasciando che il blu del cielo riempia lo sfondo. Anche in questo caso aspetti come la trasparenza e l’opacità, tematiche su cui si concentra l’artista, non sono solo una questione tecnica ma si fanno portatori di una stratificazione di significati che esulano da ambizioni di categorizzazioni univoche.
Le opere di Flavia Albu si muovono con leggerezza all’interno di uno spazio fluido. Delicate e eleganti nella loro resa anche laddove sono espressione e rappresentazione di una “questione politica”. Se queste si pongono in maniera critica pur attraverso la grazia della forma, in un gioco di trasparenze reali che si sovrappongono a riflessioni molteplici, caricandosi di una forza evocativa più che rappresentativa, la pittura non ha la pretesa di risolvere le immagini ma è piuttosto il risultato di un’esperienza creativa in continuo divenire.
Questo contenuto è stato realizzato da Elena Solito per Forme Uniche.
Informazioni
Flavia Albu
FILTERS
12 settembre – 19 ottobre
DIMORA ARTICA
Via Dolomiti, 11 | Milano
instagram @dimoraartica @flavia_albu