Le Gallerie d’Italia di Milano, in collaborazione con le Gallerie dell’Accademia di Venezia, a partire dal 30 ottobre 2020 fino al 21 marzo 2021, ospitano la mostra “Tiepolo. Venezia, Milano, l’Europa”. L’esposizione, curata dagli storici dell’arte Alessandro Morandotti -studioso dell’arte italiana del Sei e Settecento, in particolare di quella lombarda tra l’età dei Borromeo e dei fratelli Verre-, e Fernando Mazzocca -tra i più importanti conoscitori dell’età neoclassica, dell’Ottocento e primo Novecento-, con la direzione generale di Gianfranco Brunelli, celebra, in terra lombarda, il 250esimo anniversario dalla morte del pittore Giambattista Tiepolo, morto a Madrid il 27 marzo 1770.
Significativo il fatto che quest’esibizione sia stata organizzata proprio nel capoluogo milanese. Infatti, dal primo quarto del Settecento, proprio, il ducato di Milano, che, dopo la guerra di successione spagnola, passò dagli Asburgo di Spagna agli Asburgo d’Austria, si erge come capitale in grado di richiamare ed attirare a sé i grandi ingegni di terra veneta, dal bellunese Sebastiano Ricci – attivo, a fine Seicento, presso la cappella-ossario di San Bernardino alle Ossa – ai veneziani Giambattista Tiepolo e Bernardo Bellotto, nipote del Canaletto, che eseguì, su commissione dei conti Simonetta, nitide vedute della città lombarda.
Protagonista della mostra, la prima allestita su Tiepolo a Milano, è l’attività pittorica del veneziano, grande decoratore “d’aria aperta” – come lo definì Ugo Ojetti – e “vero mago della pittura”, secondo la suggestiva ed eloquente espressione di un suo contemporaneo che piacque molto allo storico dell’arte Adriano Mariuz, mancato nel 2003, che contribuì, in maniera fondamentale, insieme al suo defunto maestro Rodolfo Pallucchini, alla sistemazione e conoscenza della pittura del Tiepolo e dei pittori veneziani del Settecento.
La sua dinamica vivacità narrativa, la sua retorica da melodramma, che lo avvicina a un Metastasio, e la sua tavolozza cromatica luminosa e fragrante rendono Tiepolo il “nuovo Veronese”, il grande maestro del Cinquecento veneziano, riscoperto dal Ricci. La sua capacità nel celebrare, visivamente, l’ascesa sociale ed economica delle casate settecentesche, attraverso figure della storia o della mitologia classica, fa sì che il pittore veneziano sia desiderato da numerose ed ambiziose famiglie nobiliari, veneziane e milanesi, e presso tutte le corti d’Europa. Milano, Würzburg e Madrid: queste sono, infatti, le città che accolgono il Tiepolo fuori dalla sua patria, Venezia.
Dai suoi primi e giovanili incarichi presso i palazzi dei nuovi nobili veneziani, gli Zenobio e i Sandi, ai grandi cicli d’affresco di soggetto storico-mitologico nelle residenze milanesi degli Archinto, Casati, Clerici e Gallarati ScottI, accuratamente studiati da Alessandro Morandotti e oggi – dopo i bombardamenti che colpirono, tragicamente, Milano tra la fine del 1942 e l’inizio del 1943 – documentati per lo più attraverso disegni, bozzetti e fotografie in bianco e nero, Tiepolo giunse, nel 1750, a firmare il contratto per la sua impresa più impegnativa. Alludo, qui, alla solenne e maestosa decorazione ad affresco di alcuni ambienti della Residenza tedesca di Würzburg, commissionatagli dal principe vescovo Carl Philipp von Greiffenklau. Tra il 1752 e il 1753, il veneziano, insieme ai figli Giandomenico e Lorenzo, affrescò il soffitto del Salone, raffigurante Apollo con il carro del Sole e i Quattro continenti, in cui, “alleggerendo e schiarendo il più possibile il colore, crea il soffitto più audacemente luminoso di tutta la sua carriera” (R. Pallucchini, 1960, p. 439).
Illudere il pubblico astante di trovarsi di fronte a uno spazio aperto ad infinitum è il traguardo della pittura di fantasia e di gioco di Tiepolo, secondo cui “li pittori devono procurare di riuscire nelle opere grandi, cioè in quelle che possono piacere alli signori nobili e ricchi, perché questi fanno la fortuna delli professori e non già l’altra gente, la quale non può comprare quadri di molto valore. Quindi è che la mente del pittore deve sempre tendere al sublime, all’eroico, alla perfezione” (si tratta della dichiarazione registrata da un giornale veneziano, la “Nuova Veneta Gazzetta” del 20 marzo 1762).
Teatro della luce e del colore: così potremmo definire la pittura di Tiepolo e non sarebbe deviante citare il “tropismo della luce”, che lo storico Victor Lucien Tapié considera carattere fondamentale dello stile rococò insieme a un “movimento pervaso di morbidezza e naturale grazia”. (Tapié, Barocco e classicismo I, 1967, p. 129). Prestiti importanti, provenienti dalla Collezione Fondazione Cariplo di Milano, dalle veneziane Gallerie dell’Accademia, dal Museo del Prado e dalla National Gallery di Londra, ma anche da istituzioni museali oltreoceano, come il caso di “Apollo tra gli dei dell’Olimpo e altre divinità” (1739 circa) in arrivo dal Kimbell Art Museum di Fort Worth (Texas).
L’attività decorativa di Tiepolo in Germania viene esemplificata dal bozzetto per una sala della Residenza di Würzburg proveniente da Stoccarda e dal soggetto di un dipinto, eseguito, su sollecitazione di Francesco Algarotti, il colto mecenate veneziano, per l’elettore di Sassonia e re di Polonia Augusto III: il Banchetto di Antonio e Cleopatra, documentato in mostra nella variante della National Gallery di Londra.
Inoltre, la mostra consente di contemplare capolavori del maestro, poco conosciuti e difficilmente accessibili al pubblico, come gli affreschi della basilica di Sant’Ambrogio e quelli per il palazzo milanese dei Gallarati Scotti, appositamente restaurati per l’occasione. Ad accompagnare la mostra, il catalogo edito da Edizioni Gallerie d’Italia | Skira, con i saggi dei curatori Fernando Mazzocca e Alessandro Morandotti e testi di Elena Lissoni, Fabrizio Magani, Andrés Ubeda. Tra gli autori delle schede delle opere in mostra ci sono anche alcune mie colleghe dell’Università di Torino, Claudia Musso e Martina Pilone.
Abbiamo incontrato Alessandro Morandotti, curatore della mostra, che ci permette di focalizzare meglio l’importante ruolo del Tiepolo nella pittura settecentesca, non solo italiana, ma europea.
La mostra comincia con un confronto tra due tele della chiesa di San Stae a Venezia, vera e propria culla della pittura veneziana del primo Settecento. Il Martirio di San Bartolomeo di Tiepolo (1722) e il Martirio di San Giacomo di Piazzetta. Da dove deriva a Venezia questa sensibilità “tenebrosa”, questa pittura anticromatica, così lontana dalla tradizione del colore della scuola veneziana?
Il giovane Tiepolo si confronta costantemente con la cultura plastica e chiaroscurata di Piazzetta, e i due pittori veneziani sembrano tenere vivi ancora ad esordio del Settecento gli insegnamenti della corrente dei cosiddetti tenebrosi, pittori come Loth e Langetti, eredi nella Venezia del terzo quarto del seicento delle invenzioni di Ribera e del primo Giordano. In questo senso, conta molto per Tiepolo anche l’esempio del riscoperto lombardo radicato a Venezia Paolo Pagani, che “Introdusse […] nelle nostre Accademie del nudo un certo carattere di contorni che non si era veduto ancora; e benché fosse alquanto caricato, aveva eleganza e buon gusto”, come scrive Anton Maria Zanetti il giovane nel 1771. A Pagani, il giovane pittore guarda per mettere a punto invenzioni compositive e scorci imprevedibili.
Dove e quando Tiepolo diventa il pittore che conosciamo? Quando si confronta con la la grande tradizione del colore veneziano e con Paolo Veronese?
Lentamente, già nel corso del terzo decennio, Tiepolo riscopre la tradizione cromatica veneziana, e quella di Veronese in particolare: così nelle tele per Palazzo Sandi e Ca’ Zenobio presenti in mostra, ma soprattutto negli affreschi del Palazzo Patriarcale di Udine.
Nella mostra sono esposti alcuni disegni e un meraviglioso bozzetto proveniente dal Kimbell Art Museum di Fort Worth (Stati Uniti) che permettono di seguire le fasi preparatorie dell’affresco per la Galleria al piano nobile di Palazzo Clerici a Milano. Possiamo dire che è proprio a Milano che Tiepolo comincia a servirsi di quest’idea, tipicamente settecentesca, di glorificare la fortuna familiare attraverso figure della storia o della mitologia classica con cui i committenti si possono identificare?
E’ certo che Milano, e in particolare il cantiere Clerici, sia la fucina di molte invenzioni iconografiche che troveranno a Würzburg e a Madrid una direzione sinfonica amplificata da molte voci e da molti strumenti, ma Tiepolo si dimostra un grande inventore di soggetti per la glorificazione dei committenti già nelle prime opere veneziane: si trattasse di esaltare le doti retoriche e le virtù dell’eloquenza dell’avvocato Tommaso Sandi, evocando la scaltrezza di Ulisse, o, in un altro caso, la prudenza e la moderazione degli Zenobio, nobili da poco tempo quando Tiepolo dipinge per loro la storia della regina di Palmira Zenobia, colpevole di superbia nel lanciare la sfida a Roma e per questo sconfitta e punita.
Come si afferma il veneziano Tiepolo alla corte di Dresda?
Tiepolo viene accolto in una delle più brillanti corti europee grazie alla mediazione del letterato e conoscitore veneziano Francesco Algarotti, che presenta quel pittore allora poco conosciuto in Europa come il nuovo Veronese. La lunga gestazione del Banchetto di Antonio e Cleopatra, arrivato a Dresda nel 1744 e oggi a Melbourne, viene evocata in mostra attraverso la presenza di una variante di quello stesso soggetto molto fortunato nella produzione di Tiepolo: il modelletto della National Gallery di Londra per una delle grandi tele conservate in Russia, ad Arkhangelskoye.
La mostra si chiude su un confronto tra il padre Giambattista e figlio Giandomenico, con il San Francesco d’Assisi riceve le stimmate di Tiepolo senior del Museo del Prado e Abramo e gli angeli delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, di Giandomenico. Cosa rimane a Giandomenico del padre Giambattista?
A partire dalla metà del Settecento, Giambattista, in coincidenza con la sua fortuna in Europa, include in molti suoi interventi i due figli, Giandomenico e Lorenzo, per avere al proprio fianco assistenti di bottega affidabili. Col tempo, il dialogo, specie con Giandomenico fu di dare e avere: e proprio il San Francesco del Prado ce lo spiega bene, perché lì Giambattista assume dal figlio Giandomenico una inconsueta tenerezza espressiva, un sentore di malinconica introspezione, che ha riflessi nelle stesure più morbide e nel disegno più diligente e meno risentito.
È corretto definire Tiepolo l’ultimo grande pittore barocco?
Sì, mi sembra un’affermazione molto sintetica ma valida e ne abbiamo una controprova nel momento in cui la corte di Madrid sembra preferire alle prospettive multifocali e alla tavolozza cangiante di Tiepolo la compostezza e l’essenzialità cromatica di Anton Raphael Mengs. Un cambio repentino di orizzonti, e presto il classicismo privato delle licenze fantastiche di Tiepolo trionferà in tutta Europa.