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798 Art District

798 motivi per andare all’Art District

 

Beijing, con i suoi 19 milioni di abitanti, è una megalopoli piena di contrasti e contraddizioni.

Camminando attraverso il labirinto degli Hutong, pare di essere proiettati in un passato remoto o in un film in bianco e nero, dove le persone sembrano essersi cristallizzate in un altro tempo, tra la folla variopinta di venditori di carne o di frutta, ristorantini senza nessuna pretesa e avventori giovani e vecchi che mangiano, fumano, bevono o giocano a badminton per strada.

Svoltando a destra e a sinistra, ecco all’improvviso il caos, lo smog, i clacson, i viali a sei corsie e i palazzi. Beijing è così. In una zona della città pare di trovarsi nella Cina imperiale. Spostandosi di qualche isolato sembra di essersi teletrasportati a New York, tra grattacieli altissimi e dalle forme più strane (come la sede della China Central Television – i cosiddetti “calzoncini di Pechino”- il palazzo progettato dalle archistar Rem Koolhaas e Ole Scheeren), aiuole curate nel dettaglio e grandi centri commerciali uno dietro l’altro, dove lo shopping è solo di gran classe.

Ma basta prendere la metropolitana per una fermata e ci si ritrova in un’atmosfera completamente diversa, come quella degli Hutong della città vecchia. O la calma di un tempio buddista o taoista, dove regna solo il silenzio, l’odore d’incenso e il “profumo d’altri tempi”.

Isola felice – e anche un po’ straniante, proprio perché sembra di aver cambiato città –  è il “798 Art District”.

Come suggerisce il nome, è il distretto artistico di Pechino. Per fare un confronto a noi familiare, è stato più volte assimilato alle zona artistica di New York di SoHo.

Si trova a nord est della città in una in zona industriale riconvertita che risale agli anni ‘50. In stile Bauhaus, questa ordinata cittadella dell’arte, dal 2002 ospita un centinaio di gallerie insieme a negozietti, ristoranti e caffè.

Gli spazi sono davvero grandiosi, per visitare tutte le gallerie bisogna disporre almeno di una intera giornata. Tempus fugit.. Noi non abbiamo potuto visitare tutto. Abbiamo fatto una piccola selezione.

Prima tappa: una galleria italiana, la Galleria Continua. Si trova nel distretto D. La mostra in corso in questi giorni (ha aperto a maggio), “The Tunnel”, è la prima personale in Cina dell’artista egiziano Moataz Nasr (nato ad Alessandria D’Egitto nel 1961, vive e lavora al Cairo). Il legame con il suo Paese e le sue tradizioni è leggibile in tutte le opere,  dalla sculture alle installazioni, alla video-arte. Il “Tunnel” è la metafora della situazione di buio in cui si trova in questo momento l’Egitto e di tutti i sentimenti e delle emozioni legati alla Primavera Araba. Come scrive il curatore della mostra Simon Njami: “…L’artista ci pone subito di fronte ad una chiara opposizione tra tenebre e luce, tra libertà e prigionia, gioia e dolore. Idee contrastanti e contraddittorie che, grazie alla loro opposizione, creano quella tensione che è alla base di questa mostra che presenta la schizofrenia che, come una vera epidemia, sta attraversando i paesi del Medio Oriente e del Maghreb. Il tunnel al quale Moataz Nasr si riferisce, riflette evidentemente il modo in cui egli percepisce la situazione in cui si trova il suo paese, l’Egitto

Superato l’ostacolo (reale e simbolico) dei palloncini-poliziotti all’ingresso, si arriva in una spazio aperto, arioso, luminoso: la stanza più grande dalla galleria, la stanza-Piazza Tahrir, dove l’aquila-Egitto incombe al vertice di una scala.

Nel distretto E merita sicuramente una visita  l’UCCA (Ullens Center for Contemporary Art). Questo centro è stato fondato nel novembre del 2007 da Guy e Myriam Ullens, collezionisti d’arte.

In questi giorni sono in corso tre mostre: due minori (“Wang Mai: Dire Straits” e una collettiva di giovani artisti cinesi scelti da Wang Xingwei) e un’esposizione più corposa dedicata a un gruppo di 28 artisti indiani, dal titolo “Indian highway”, la più completa mostra di arte indiana mai vista in Cina e prima tappa al di fuori dell’Europa (la mostra è stata inaugurata nel 2008 a Londra alla Serpentine Gallery. Si è spostata a Oslo nel 2009, a Lione nel 2011 e a Roma (MAXXI) nel 2011). Presenta il lavoro pionieristico realizzato in India oggi, a seguito del rapido sviluppo economico, sociale e culturale degli anni recenti da artisti che utilizzato svariati mezzi d’espressione, dalla fotografia al video, alla scultura e installazioni. Alcuni nomi: Ayisha Abraham, Ravi Agarwal, Sarnath Banerjee, Nikhil Chopra, Baptist Coelho, Sheela Gowda, Sakshi Gupta, Shilpa Gupta, Subodh Gupta, N.S. Harsha, Abhishek Hazra, M.F. Husain, Jitish Kallat, Amar Kanwar, Bharti Kher, Nalini Malani, Jagannath Panda, Hetain Patel, Prajakta Potnis, Raqs Media Collective, Tejal Shah, Sudarshan Shetty, Dayanita Singh, Kiran Subbaiah, Vivan Sundaram, Thukral & Tagra, Hema Upadhyay, Avinash Veeraraghavan e Studio Mumbai Architects.

Subodh Gupta
N.S. Harsha
Jitish Kallat
Bharti Kher

 

Sudarshan Shetty

Per finire consigliamo, dopo una meritata pausa davanti a un piatto fumante di noodles, di fare un salto anche in altre gallerie come la “Pace Beijing” dove è in corso una doppia esposizione: le installazioni di Liu Jianhua e la personale del fotografo cinese  Hai Bo; la  “Tokyo Gallery +BTAP” (mostra personale di Deng Jianjin  “Dreamlands of Desire”) e “Long March Space”

Hai Bo Photographic Diary – Summer Dusk, 1996.  b/w photograph 60 x 100 cm. Pace Beijing
Liu Jianhua 1.2meters, 2012 iron. Pace Beijing
Tokyo Gallery + BTAP

– Beijing, 17 agosto 2012 –

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