Ille hic est Raphael, timuit quo sospite vinci rerum magna parens et moriente mori.
Qui giace Raffaello: da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire.
Ancor oggi, si possono leggere, in tutta loro apprezzabilità e condivisibilità, queste parole, scritte dal cardinale Pietro Bembo (Venezia, 1470- Roma, 1547), alla morte dell’adorato amico, il pittore Raffaello. A 500 anni dalla sua morte sono state (e sono) numerose le iniziative ideate per ricordare e celebrare il sommo pittore. Tra queste la mostra Sulle tracce di Raffaello nelle collezioni sabaude nello Spazio Scoperte della Galleria Sabauda di Torino.
L’esposizione, in programma dal 30 ottobre 2020 al 14 marzo 2021, è stata curata dalle storiche dell’arte Anna Maria Bava, Enrica Pagella e Sofia Villano. Patrocinata dal Comitato Nazionale per la celebrazione dei 500 anni dalla morte dell’artista, è stata concepita in collaborazione con Intesa Sanpaolo e con il Centro Conservazione Restauro La Venaria Reale. Una mostra degna di nota perché ideata non come congegno di remunerazione, bensì pensata in relazione al territorio in cui viene allestita e diretta a far progredire gli studi in campo storico-artistico.
Scopo della mostra è infatti quello di narrare la fortuna dell’arte di Raffaello in Piemonte e la diffusione delle opere dell’artista, tra la prima metà del Cinquecento e la fine dell’Ottocento, con uno specifico sguardo verso le raccolte dei Savoia.
La prima sezione del percorso è destinata all’esposizione delle copie antiche della raffaellesca Madonna d’Orléans, oggi conservata al Museo Condé di Chantilly. L’opera in questione viene identificata con una delle due piccole Madonne che il Vasari vide a Urbino e che Raffaello dipinse per Guidobaldo da Montefeltro verso il 1505-1506.
Agli inizi del Cinquecento, il quadro doveva già essere giunto nelle collezioni dei Savoia, dove fu studiato e copiato, almeno quattro volte, dal pittore piemontese Giovanni Martino Spanzotti (Casale Monferrato, 1455 circa – Chivasso, ante 1528), importante rappresentante della pittura rinascimentale in Piemonte, da sempre florido luogo d’incontro delle espressioni artistiche sui due lati delle Alpi.
Nel 1647 quattro dipinti vennero rubati a Maria Cristina di Borbone, vedova di Vittorio Amedeo I di Savoia, tra cui probabilmente anche la Madonna raffaellesca, che, intorno al terzo decennio del Settecento, passò nelle collezioni parigine del reggente di Francia Filippo d’Orleans, da cui prese il nome. Dopo diverse peripezie, a fine Ottocento, il quadro giunse nella collezione del duca d’Aumale, presso il castello di Chantilly dove oggi è custodito.
Seconda tappa è la presentazione della Madonna della Tenda della Galleria Sabauda di Torino, acquistata da Carlo Alberto di Savoia nel 1828 come opera autografa di Raffaello.
Dopo la messa in discussione della paternità dell’opera e il riconoscimento dell’originale di mano raffaellesca nell’omonimo quadro dell’Alte Pinakothek di Monaco, un tacito obblio cadde sul quadro dei Savoia.
La mostra in questione è divenuta l’occasione per un necessario e meticoloso restauro, eseguito dal Centro Conservazione Restauro La Venaria Reale, che ha permesso di recuperare la vivace e radiosa cromia e un minuzioso disegno sottostante, che hanno reso possibile la formulazione di nuove ipotesi in merito alla storia del quadro. Se l’originale di Monaco fu probabilmente eseguito da Raffaello tra il 1513 e il 1514, su commissione di un committente fiorentino, la versione torinese fu invece realizzata, dopo la morte di Raffaello, tra il 1530 e il 1540, forse dalla stimata bottega fiorentina di Andrea del Sarto.
A conclusione della mostra, ci accoglie un nucleo di opere delle raccolte sabaude che testimoniano la diffusione dei modelli stilistici e iconografici raffaelleschi nell’epoca di Carlo Alberto e della nascita della Regia Pinacoteca. Tra queste, la copia del celebre Autoritratto di Raffaello, eseguita nel 1823 da Abraham Constantin (Ginevra 1785 – 1855) e acquistata da Carlo Alberto nel 1826.
Ci si può, dunque, augurare che l’arte del Raffaello e le sue amorevolmente materne e protettive Madonne ci aiutino, almeno in parte, nell’alleviare e temperare le sofferenze che tanti hanno attraversato e stanno attraversando in questo arduo periodo. Che l’intima tenerezza dell’abbraccio con cui la Madonna stringe a sé il Bambino e il San Giovannino ci diano conforto. Che lo sguardo del Raffaello, che il pittore fermò nel suo autoritratto, ci insegni e ci sproni a perseverare nella promozione, valorizzazione e attuazione di iniziative culturali finalizzate a farci prendere coscienza della nostra civiltà e della nostra storia.