A Roma una mostra indaga la figura di Margherita Grassini Sarfatti (Venezia, 1880-Cavallasca, 1961), grande collezionista, critica d’arte e donna poliedrica. Una prefazione d’eccellenza, sotto la firma di Corrado Augias, apre il catalogo della mostra “Margherita Sarfatti e l’arte in Italia fra le due guerre” alla Galleria Russo.
<<Buoni studi, ottime conoscenze, vivace, curiosa, inquieta. Legge le opere di Marx, le piace Carducci ma anche la politica>>. Questo il ritratto di Margherita Sarfatti, la donna che dal 1919, quando Mussolini riunisce in Piazza San Sepolcro a Milano i primi quadri del futuro fascismo, è accanto al dittatore.
È con lui dopo la Marcia su Roma (ottobre 1922), lo consola dopo l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti (giugno 1924), crimine che ricade sul Duce. Nonostante la Sarfatti intrattenesse rapporti affettivi con Mussolini, fosse la sua biografa e avesse molte conoscenze, non fu risparmiata dalle leggi razziali del ’38 che lasciarono gli ebrei italiani senza una patria.
Donna colta e brillante, in gioventù la Sarfatti iniziò a scrivere, fra le altre cose, di arte, utilizzando le Biennali di Venezia (dal 1901 al 1905) come banco di prova.
Amica e collezionista di Umberto Boccioni, dal 1910 sponsorizzò con vigore quegli artisti definiti “avanguardisti di destra”, che non si erano uniti al Futurismo e che rifluiscono sotto la corrente artistica “Novecento” (dopo Futurismo e Cubismo, artisti come Leonardo Dudreville, Achille Funi, Mario Sironi ed altri, tornano a prediligere l’antichità classica e la purezza delle forme). Un’altra importante ed intima amicizia della Sarfatti fu Mario Sironi che ella scoprì e seppe valorizzare nei suoi scritti di critica.
Sebbene Margherita Sarfatti intrattenesse una relazione con il Duce e proprio a causa di ciò la sua immagine ne risentì particolarmente, questa mostra ha il preciso intento di mettere sotto i riflettori il lato nascosto di Margherita Sarfatti, la donna colta, forte ed emancipata.
Nonostante i suoi gusti decisi e spesso legati a doppio filo con i suoi ideali politici (l’ammirazione per Arturo Martini si trasforma in ostilità aperta quando questi passa al concorrenziale gruppo romano di “Valori Plastici” di Carlo Carrà), la Sarfatti collezionò negli anni un notevole corpus di opere. I suoi artisti italiani preferiti furono Mario Sironi, Arturo Tosi e Adolfo Wildt a cui si aggiunsero Alberto Martini, Medardo Rosso, Gaetano Previati, Boccioni, Funi, Prampolini. Collezionò anche artisti stranieri come Henri Tolouse-Lautrec, Aristide Malloil, Andrè Derain, Maurice Utrillo, Raoul Dufy, Henri Matisse, Diego Rivera, Juan Gris, Pablo Picasso.
Quando durante gli anni ’30 il fascismo si fece pesantemente razzista, alla Sarfatti non restò che andarsene. Tornò a Roma solo nel 1947, morendo nel 1961.