Ispirato dalla storica mostra Two Centuries of Black American Art, del 1976 curata dall’artista e docente David Driskell, Black Art: In the Absence of Light esplora due secoli di arte afroamericana e il percorso che ha forgiato gli artisti neri contemporanei.
“L’85 per cento degli artisti nelle collezioni dei più grandi musei americani sono bianchi. E solo l’1,85 per cento sono neri”. Inizia così Black Art: In the Absence of Light il documentario, lanciato nelle scorse settimane dal network statunitense HBO. Questo dato impressionante mette in evidenza uno squilibrio culturale secolare che nel corso del film viene analizzato, spiegato e approfondito. Il lungometraggio, composto da interviste ad artisti contemporanei, curatori e studiosi, è stato ispirato dalla mostra del 1976, “Two Centuries of Black American Art”, la prima indagine su larga scala di artisti afroamericani. Organizzata dall’artista David C.Driskell, allora capo del dipartimento artistico della Fisk University, l’esposizione includeva circa 200 opere datate dalla metà del XVIII fino alla metà del XX secolo e propose una storia che pochi americani, compresi gli addetti ai lavori, sapevo persino che esistesse.
Non c’è dubbio che la visibilità degli artisti afroamericani nel mainstream sia molto più alta ora di quanto non sia mai stata grazie anche a movimenti come Black Lives Matter. Tuttavia l’artista Theaster Gates, che appare verso la fine del film, vede un ambiguità in questo momento di esposizione mediatica più rilevante: “Arte nera significa che a volte faccio arte quando nessuno guarda”, dice. “Per la maggior parte di noi questa è stata e sarà la verità delle nostre vite. Finché non possederemo la luce, non sarò felice. Finché non avremo trovato un modo per essere padroni del mondo, preferirei lavorare nell’oscurità. Non voglio lavorare solo quando si accende la luce. La mia paura è che veniamo addestrati e condizionati a fare solo se c’è una luce, e questo ci rende dipendenti da una cosa che non controlliamo.”