L’installazione di Cristina Donati Meyer al Mudec . Immagine dal Cds
Osteggiata fin dalla sua prima apparizione e poi più volte vandalizzata, la statua dedicata a Indro Montanelli ai giardini pubblici di Milano è di nuovo al centro della bufera mediatica. Nella nuova sezione permanente del Mudec è stata infatti posta un’installazione che riproduce l’incursione di un anno fa che la street artist Cristina Donati Meyer definisce di “artivismo”. Scoppia la polemica ma la direttrice del Museo respinge le accuse: “Nessuna censura”
La riproduzione della statua di Montanelli al Mudec: una storia partita dal Black Lives Matter
Poco più di un anno fa, la scultura in bronzo dedicata a Indro Montanelli – realizzata da Vito Tongiani – che si trova nei giardini pubblici di via Palestro a Milano, si trovò suo malgrado al centro della cronaca e dell’attenzione mediatica internazionale.
Al grido di Black Lives Metter infatti, la statua fu imbrattata di vernice rossa con tanto di scritta sulla base: “razzista stupratore”. Poco tempo prima il movimento dei “Sentinelli di Milano” ne aveva invece chiesto proprio la rimozione al Sindaco Sala.
Il motivo del contendere, come è noto, è nel passato del giornalista. Ogni simbolo del passato coloniale in quel periodo di proteste è stato un bersaglio da abbattere per il movimento Black Lives Metter. Perfino Banksy ironizzò sulla statua abbattuta nella sua Bristol dedicata al mercante e commerciante di schiavi Edward Colston.
Il fantoccio di una bambina sulle ginocchia del giornalista
Sempre la statua di bronzo fu poi oggetto di una “incursione artistica” della street artist Cristina Donati Meyer. Che, ponendo sulle braccia del giornalista il fantoccio di una bambina al posto dell’iconica macchina da scrivere, denunciava quel matrimonio con una dodicenne eritrea del quale lo stesso Montanelli aveva parlato in tv. Trasformandola di fatto in un’installazione artistica.
“Il monumento a Indro Montanelli”, scrisse Donati Meyer “così è completo. Non occorreva colorare la statua, era sufficiente aggiungere, sulle ginocchia del vecchio, la bambina eritrea di 12 anni della quale abusò da soldato colonialista e fascista”.
La street artist disse che non era sua intenzione deturpare il monumento ” anzi, quella statua ha avuto, dopo oltre un decennio, un ruolo fondamentale per riaccendere una discussione e una riflessione, mai fatta in Italia, su cosa cosa significò l’invasione e colonizzazione italiana in Etiopia, Eritrea, Somalia e Libia. Gas nervino sulle popolazioni civili, bombardamenti, stupri di massa, stragi, schiavizzazione di ragazze e bambine, spose bambine, acquistate dalle famiglie, sottrazione di beni artistici e monumentali, risorse e terre. Dovremmo essere tutti grati a Montanelli e al suo monumento, il quale, fungendo in taluni casi da capro espiatorio, ha consentito alle italiane e agli italiani di conoscere e fare i conti con un passato orrendo: quello delle guerre e aggressioni coloniali del fascismo ” .
La riproduzione della statua di Montanelli al Mudec
Ora, dal 16 settembre, la riproduzione di quella installazione, sarà allestita al Mudec di Milano, nell’ambito dell’esposizione permanente “Milano globale. Il mondo visto da qui”, un racconto in cui le storie dei singoli si intrecciano ai grandi processi storici globali. L’installazione, denominata “il vecchio e la bambina” – con in braccio lo stesso fantoccio apparso nel parco – è stata posta nella quarta sala, nella sezione dedicata alla decolonizzazione. Il percorso espositivo propone infatti una riflessione tra passato e presente dell’eredità coloniale.
La statua di Montanelli al Mudec: l’attacco de “Il Giornale”
Non è difficile prevedere che la scelta del Mudec sarà oggetto di un fervido dibattito, per non dire di polemiche che probabilmente andranno oltre il tema prettamente artistico e culturale . Il primo a lanciarsi contro l’iniziativa è stato, ovviamente, il quotidiano “Il giornale“, fondato da Montanelli nel 1974. Nell’articolo a firma di Luigi Mascheroni si analizza la questione dal punto di vista storico- culturale ” non si può giudicare il passato non con i codici civili e morali dell’oggi” , artistico “ la contraddizione di un’opera d’arte (la statua) che viene sfregiata, mentre lo sfregio diventa un’opera d’arte” ma anche politico. “Perché il Mudec” scrive Mascheroni ” un museo pubblico, del Comune di Milano, decide di istituzionalizzare un gesto così divisivo come lo sfregio a un giornalista che, toscano di nascita, ha fatto grande la storia della città? Per non dire dell’ipocrisia di un Comune che quando la statua fu contestata, deplorò il gesto – ‘Montanelli non si tocca!’ – mentre oggi musealizza i contestatori.”
La direttrice controbatte all’accusa di “cancel culture”
Non manca però anche chi, non entrando nel merito della questione e della vicenda personale del giornalista, giudica comunque la riproduzione della statua di Montanelli al Mudec un’opera potente, ossia in grado di suscitare riflessioni e un dibattito che si spera costruttivo.
Intanto, la direttrice del Mudec Anna Maria Montaldo controbatte all’accusa di aver coinvolto il museo nella spirale della cosiddetta “cancel culture”, sostanzialmente l’errrore di giudicare il passato con gli occhi contemporanei e non contestualizzarlo ai codici morali del tempo.
“È importante — dice al Corriere della Sera – focalizzare l’attenzione sul fatto che quest’opera fa parte di un percorso, di un racconto museale che in questi anni abbiamo studiato e che è dedicato in quest’ultima sala al passaggio dalla Milano coloniale alla Milano multiculturale. Se noi avessimo censurato un’opera di un artista scelto dal curatore avremmo limitato il lavoro e la rappresentazione del museo. Un museo multiculturale e un racconto polifonico non deve avere paura di esporre un’opera simile. Credo che Milano si possa permettere anche di rappresentare letture diverse, di non presentare un pensiero unico ma tanti pensieri”. Aggiungendo che “ciò non toglie niente alla grandezza del giornalista. Ma questo è un episodio della sua vita che fa parte della Storia, della cronaca, e quindi non inserirlo in questo racconto avrebbe significato autocensurarsi”.
Da notare che la stessa Meyer aveva in passato polemizzato proprio contro il Mudec con l’opera “Il ratto di Banksy” apparsa due anni fa sul muro esterno del museo. Recentemente, un’altra opera di Cristina Donati Meyer aveva suscitato reazioni contrapposte. In riferimento alla crisi in Afghanistan, aveva infatti rappresentato il manichino di una donna afghana crocifissa in piazza Castello a Milano.