La mostra HABITUS. Indossare la libertà racconta le evoluzioni stilistiche che hanno introdotto a vere e proprie rivoluzioni culturali. A giovarne in particolar modo la donna, che attraverso gli abiti ha iniziato il proprio percorso di emancipazione. Dal 17 settembre 2021 al 6 marzo 2022 ai Musei di Palazzo dei Pio a Carpi (MO).
«Mai nessuna mutazione metafisica avviene senza prima essere stata annunciata, preparata e agevolata da un complesso di mutazioni minori, spesso passate inosservate al momento del loro accadere storico» ha scritto Michel Houellebecq in uno dei suoi libri più celebri, Le particelle elementari. Senza obbligo di dover contestualizzare l’affermazione, possiamo goderne le suggestione profetiche e perfettamente generalizzabili a qualsivoglia contesto. Soprattutto se ci troviamo a Carpi, ai Musei di Palazzo dei Pio, e passeggiamo tra le sale della mostra HABITUS. Indossare la libertà.
L’esposizione, che analizza la relazione tra le innovazioni della moda e i cambiamenti della dimensione individuale e sociale della donna, si configura come una sfilata di moda ribaltata. Se solitamente l’abito sfila, indosso al modello/a, e il pubblico lo ammira sedendo ai lati della pedana, in questo caso i capi d’epoca sono posti lungo le pareti dei corridoi del Museo, che il visitatore percorre come fosse l’oggetto d’interesse di questa inusuale sfilata. La passerella prende avvio agli inizi del Novecento per svilupparsi in quattro passaggi chiave (Liberare il corpo, Scoprire il corpo, Work, sport, cool e Destrutturare) che conducono fino ai giorni nostri. Un percorso segnato dall’evolversi della moda, una delle forme espressive che meglio incarna i cambiamenti storici. E dovessimo indicare quale grande cambiamento culturale abbia impattato maggiormente il XX secolo, probabilmente ci sarebbero pochi dubbi: il sorgere dell’individualismo, la nascita del concetto moderno di libertà.
É probabilmente questa la grossa eredità che ci ha lasciato il secolo scorso. Fuori da connotazioni estremamente negative che pongono l’ideologia sul confine di un egoismo refrattario alla società, è indubbio che il sentimento collettivo, spesso guidato da una morale religiosa, si sia assottigliato sempre più. L’indipendenza e l’autonomia sono obiettivo e guida del comportamento umano contemporaneo, baluardi necessari a una realizzazione personale prima che comunitaria. E cos’è un cambiamento metafisico se non questo? Un radicale ribaltamento di ideali. Sulla scia di tale spinta libertaria il genere umano ha ottenuto numerose conquiste sul piano politico, economico ed esistenziale. Da un certo punto di vista, le donne giustamente perseguono tuttora traguardi necessari alla loro totale emancipazione. Ed è soprattutto sul genere femminile che HABITUS si sofferma. La mostra evidenzia come uno dei grimaldelli utili ad “annunciare, preparare e agevolare” il suddetto cambiamento sia stata la moda. Lo stesso termine Habitus, tratto dal filosofo Pierre Bourdieu, gioca sul significato letterale di capo e la sua estensione metaforica: “un sistema di schemi percettivi, di pensiero e di azione“.
A preconizzare tale mutamento è stato, in principio, l’anticorsetto di Paul Poiret. Libera da corsetti, velluti, colletti e sellini la donna può finalmente godere di una libertà corporea che diventa anche sociale. Essa non è più tenuta a essere moglie e madre (nei migliori dei casi), ma acquisisce la possibilità pratica di essere ciò che desidera. Su questa scia Coco Chanel disegna il primo pantalone femminile che a sua volta condurrà Marcel Rochas, nel 1932, a creare il power suit. Il completo femminile giacca e pantalone diviene presto simbolo della parità di diritti tra sessi, in particolare sul lavoro. Banalmente, tali abiti consentono alla donna di vestirsi in autonomia, senza bisogno di assistenti; sul piano estetico, invece, l’avvicinano all’uomo e ai simboli che ne determinano il potere. La mostra accompagna tale evoluzioni con capi d’epoca, ottimamente conservati, che restituiscono traduzioni visiva immediata di questi ragionamenti. Emblematica l’ampia sezione dedicata al reggiseno, declinato in centinaia di colori. Tanti quante le possibilità che esso aprì alla donna.
Tra queste il bikini. Protagonista della sezione Scoprire il corpo, l’indumento prende piede lentamente a causa della morale refrattaria ad accettarlo. Grazie soprattutto al cinema e alle sue dive, il capo ottiene però una diffusione su ampia scala capace di superare un bigottismo sempre più fragile. Apripista storico di un altro fondamentale indumento: la minigonna. Capo simbolo della battaglia femminista, la minigonna superò velocemente l’aura provocatoria che l’accompagnava per affermare il suo reale scopo: liberare la donna sessualmente, socialmente e psicologicamente da gabbie imposte dal genere maschile. Per restituire parte dell’importanza cruciale che ebbe il capo, basti pensare che la sua inventrice Mary Quant, nel 1966, ricevette il titolo di Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico.
D’altra parte, anche tralasciando l’importanza ideologica di alcuni degli indumenti sopracitati, non si può non constatare un vantaggio più venale ma forse altrettanto importante: la loro praticità. Questa si concretizza definitivamente negli anni settanta e ottanta quando nasce la moda seriale. T-shirt e jeans si fanno prodomi di uno stile casual ed efficiente, comodo ma ugualmente piacevole all’occhio. In tempi moderni questo ruolo verrà assunto dallo sportswear, simbolo del nuovo lusso. Pare passato un millennio dai corsetti claustrofobici, vero? E invece non è nemmeno un secolo. Fortuna che nel mezzo ci sono stati stilisti visionari che hanno saputo cogliere lo spirito del tempo e supportare il cambiamento in atto. Tra questi Diane von Furstenberg con il suo Wrap dress e Giorgio Armani con la Giacca destrutturata. Creazioni che impongono una nuova concezione di abito “destrutturato”, ovvero senza imbottitura e controfodera, con i bottoni posizionati in un altro punto del tessuto e le proporzioni completamente riviste. Senza tralasciare l’innovativa modalità di chiusura facile ed essenziale, per creare, come ha affermato Giorgio Armani, una vestibilità “rilassata, informale, meno rigorosa, che lascia intuire il corpo e la sua sensualità”.
Se ora questi capi ci appaiono come la normalità, indumenti imprescindibili negli armadi di ogni casa, è perché essi sono penetrati più o meno lentamente nelle abitudini e nell’immaginario di una società che ha dovuto cambiare la propria struttura mentale per accoglierli. Perciò è giusto ritornare al loro “accadere storico” e rendergli parte del merito di un cambiamento culturale che altrimenti, forse, non si sarebbe potuto verificare.