Dal 30 ottobre 2021 al 9 gennaio 2022, va in scena a Roma (al WeGil, hub culturale della Regione Lazio a Trastevere) la mostra L’invenzione della felicità. Fotografie, dedicata a Jacques Henri Lartigue.
A cura di Marion Perceval e Charles-Antoine Revole, della Donation Jacques Henri Lartigue, e da Denis Curti, la mostra raccoglie 120 fotografie, di cui 55 inedite, direttamente dagli archivi personali del fotografo. Insieme a questi scatti sono visibili, seguendo un percorso cronologico, anche materiali d’archivio, come documenti, libri e riviste dell’epoca. Ripercorrendo le parole che gli dedica Richard Avedon «Lartigue fece ciò che nessun fotografo aveva fatto prima e che nessuno fece dopo: fotografare la propria vita», L’invenzione della felicità vuole restituire al pubblico l’opera di uno dei grandi della fotografia, personaggio eclettico e innovatore.
Nato in Francia da una famiglia benestante che gli permette di seguire la sua vocazione artistica, Jacques Henri Lartigue (1894-1986) è pittore e fotografo precoce, inizia a fotografare all’età di sette anni il mondo che gli appartiene, quello dell’alta borghesia parigina. Nascono così interi album (oltre 120 nel corso della sua vita) dedicati agli ambienti più esclusivi di una Francia perduta, a cavallo tra le due guerre, come quelli dei Gran premi automobilistici e delle corse ippiche di Ateuil. Guadagnandosi il titolo di enfant prodige, Lartigue, giovanissimo, avvia un progetto di diario personale che aggiornerà costantemente, e che racchiude, oltre alle sue immagini, pensieri, riflessioni e disegni in un corpus unico nel suo genere. Negli anni ’70 questo progetto confluirà nell’opera Diary of A Century, in collaborazione con Richard Avedon. Punto focale della sua arte rimane ciò che si potrebbe definire “la ricerca della felicità”, ponendosi in modo quasi paradossale, come artista, come interprete e come osservatore, nei confronti del momento storico che l’Europa sta vivendo in quel momento.
Racconta Curti come “la “parte di mondo” di Lartigue è quella di una Parigi ricca e borghese del nouveau siècle, e anche quando l’Europa verrà attraversata dagli orrori delle due guerre mondiali, Lartigue continuerà a preservare la purezza del suo microcosmo fotografico, continuando a fissare sulla pellicola solo ciò che vuole ricordare, conservare. Fermare il tempo, salvare l’attimo dal suo inevitabile passaggio. La fotografia diventa per Lartigue il mezzo per riesumare la vita, per rivivere i momenti felici, ancora e ancora”
Definendosi sempre in primis pittore, Lartigue studia pittura ed espone le sue opere in diverse occasioni, come al Salon d’Automne, al Salon de la Société Nationale des Beaux-Arts e al Grand Palais. Il suo lavoro si indirizza verso il ritratto e le nature morte. Successivamente, verso il 1935, avvia una prolifica carriera di fotografo, illustratore e scenografo. Nonostante non venga ritenuto idoneo per il fronte, l’artista partecipa attivamente alla Seconda Guerra mondiale mettendosi a disposizione come autista per il trasporto dei feriti agli ospedali di Parigi. Anno cruciale per la sua carriera è il 1963, quando il da poco nominato direttore del dipartimento di fotografia del MoMa, John Szarkowski, lo chiama ad esporre le sue opere, definendolo «il precursore di ogni creazione interessante e viva realizzata nel corso del XX secolo», permettendogli così di raggiungere il successo internazionale.