In occasione del 545° anniversario della nascita di Michelangelo Buonarroti, l’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze ha svelato il nuovo allestimento della cappella della famiglia Medici in San Lorenzo. Quest’ultima, progettata dal maestro rinascimentale, è stata oggetto di un’imponente opera di restauro. O meglio, di biorestauro; o, ancora meglio, di biopulitura.
Le operazioni di pulizia della tomba di Lorenzo e Giuliano de’ Medici sono state condotte con l’aiuto di un complice insolito: i batteri. A partire dal 2019, gli esperti – su tutte Enea Anna Rosa Sprocati e Chiara Alisi, guidate da Monica Bietti – hanno infatti introdotto vari ceppi di batteri nelle sculture in marmo della Sagrestia Nuova. I microbi hanno prontamente iniziato a mangiare sporcizia, colla e altri detriti che per secoli hanno scolorito le sculture sulle tombe.
Michelangelo fu incaricato di progettare la Sagrestia Nuova, situata tra le Cappelle Medicee della chiesa di San Lorenzo a Firenze, nel 1520. I frontespizi della tomba presentano sculture raffiguranti i due membri della famiglia Medici lì sepolti, così come delle figure che simboleggiano il tramonto, l’alba, la notte e il giorno.
L’intervento è stato preceduto da un’analisi delle singole parti del monumento tramite spettrografia. Dopodiché si è proceduto a dei test esplorativi per individuare i ceppi di batteri più adatti alla pulizia. A quel punto sono stati sintetizzati in laboratorio, prima di essere applicati mediante un gel supportante alle sculture. Da lì hanno iniziato ad operare.
“Dopo aver testato undici diversi ceppi batterici, abbiamo scelto i tre migliori per la pulitura: impacchi di cellule dei ceppi di Serratia ficaria, Pseudomonas stutzeri e Rhodococcus sono stati applicati con supportanti inerti, che mantengono la giusta umidità e permettono di applicare e rimuovere l’impacco facilmente e senza lasciare residui” raccontano Sprocati e Alisi.
I batteri si sono rivelati abili nell’affrontare una sostanza in particolare. Ovvero i fluidi organici filtrati dal cadavere decomposto di Alessandro de’ Medici, un tempo sovrano di Firenze, il cui corpo era stato depositato nella tomba senza essere adeguatamente sviscerato. Il ceppo più affamato ed efficiente è stato il Serratia ficaria SH7. Solitamente causa di infezioni urinarie o generate da trasfusioni e infusioni endovenose contaminate, in questo caso è riuscito a eliminare le macchie causate dal liquido in pochi giorni.
“Il restauro di uno dei luoghi più simbolici dell’arte ha richiesto conoscenza, esperienza e scienza, combinate con le qualità di sensibilità e intelligenza“, hanno affermato le restauratrici. “Per questo il lavoro è stato testato fin dall’inizio e poi sottoposto a continui controlli ottici, metodologici e scientifici”.