Luca Trevisani è l’autore della nuova installazione di “Platea. Palazzo Galeano”, presentata giovedì 7 aprile davanti allo spazio-vetrina di corso Umberto 46 a Lodi, dove, fino a pochi giorni fa, Alberonero ha avviato, con l’opera “Penso pianura”, il ciclo espositivo del 2022.
La nuova proposta espositiva si inserisce nel palinsesto pensato dall’associazione presieduta da Claudia Ferrari, con la direzione artistica di Carlo Orsini. Un inciampo di sguardo, una Platea di nome e di fatto, che in realtà è un’associazione senza scopo di lucro avviata da un anno.
La programmazione artistica prevede l’esposizione delle opere di un artista affermato che a sua volta indica degli artisti emergenti con cui lui stesso lavora e nei confronti dei quali funge il ruolo di mentore. Composto da sette esposizioni, il calendario 2022 proseguirà con le personali di Fabio Roncato, a cura di Gaspare Luigi Marcone, e una nuova edizione del palinsesto espositivo dedicato a giovani emergenti, gli ex studenti di Trevisani dell’Università IUAV di Venezia Maria Vittoria Cavazzana, Alessandro Manfrin, Deborah Martino e Marco Sgarbossa, con il supporto curatoriale di Giulia Menegale.
L’artista è stato invitato a concepire un’opera in dialogo con gli spazi e con il contesto espositivo e urbano unico offerto da Platea. Trevisani dimostra che “naturalmente la natura non esiste”, con soluzioni formali germinanti, policrome, capaci di trasformare gli spazi interni in opere ambientali, con la complicità dell’Orto Botanico dell’Università degli Studi di Palermo e il suo curatore Manlio Speciale.
In “Notes For Dried And Living Bodies” l’artista recupera motivi floreali tratti dall’opera di altri autori, artisti e designer, componendo una texture nuova. Questa operazione riflette sulla labile linea esistente tra natura e artificio. Un’indagine sugli immaginari e le costruzioni visive con cui l’uomo conferisce forma alla propria rappresentazione del mondo. Con queste sculture bidimensionali Trevisani sperimenta ambiti disciplinari differenti, portando a una messa in discussione dei nostri modelli interpretativi convenzionali del mondo naturale. Queste sono delle rappresentazioni grafiche di elementi floreali di Lodi, della natura sfuggente, che l’uomo ha sempre pensato di poter fermare e possedere sublimandola, rendendola feticcio, immagine preziosa. Luca aveva il desiderio di creare qualcosa di grande, di imponente, che avesse una presenza inequivocabile.
La foglia originale è molto spessa, è una foglia naturale di una palma equatoriale che l’artista ha reso planare. Per poterla fare essiccare e appiattire è stato necessario toglierle tutte le nervature, una volta resa bidimensionale è stato possibile applicarvi le stampe.
I lavori dell’artista sono quasi sempre delle sculture, ma ama lavorare con le stampe poiché è per lui un modo di proiettare il proprio immaginario sugli oggetti, creando dei veri e propri corpi che invadono lo spazio. L’immagine di un corpo in questo caso è data dalla sua stessa negazione, viene espressa tramite un contrasto in un’ottica filosofico-esistenzialista. Il termine scultura per Trevisani si riferisce proprio al corpo, che viene preso in considerazione in quanto entità soggetta al mutamento.
Questo lavoro viene definito dall’artista come “perfido”, in quanto appare elegante, maestoso, ma in realtà questa foglia così rappresentata svela l’incapacità dello spettatore di comprendere un albero, la sua impossibilità di capire ciò che non è umano. Ogni artista rappresenta di conseguenza la propria personale interpretazione della natura. Alberonero, ovvero il primo artista emergente ad aver esposto quest’anno, aveva lavorato molto come “street artist”, più che dei graffiti alcune delle sue opere hanno consistito in interventi cromatici su una costruzione di colori eseguita ad hoc sul posto, dei quadrati colorati che si sovrapponevano sulle facciate, ispirandosi all’artista Enzo Mari.
Ora invece lavora con elementi provenienti direttamente dal suolo, dai campi e dagli alberi.
La sua installazione consisteva in un tralcio di vite posto in orizzontale e sostenuto da dei cavi.
Vi erano dei teli retrostanti in politilene, della nebbia finta che riempiva l’intera vetrina e due led sopra e sotto che creavano due campi di colore.
Un altro artista in programma in questo ciclo espositivo è Fabio Roncato, il quale lavora ragionando sulle correnti dei fiumi, guarda e analizza molto attentamente i movimenti dell’acqua, riversa poi in quest’acqua dei calderoni di cera fusa, riuscendo a catturare lo stampo della corrente, una vera e propria impronta del suo inesorabile scorrere. La ricerca di Vittoria Mazzona si fonda, invece, nella creazione della sua identità nei rapporti con i territori nei quali si ritrova a vivere. Per Platea, l’artista ha camminato, indagato ed esplorato il territorio di Lodi in lungo e in largo raccogliendo vari elementi, che non hanno lo scopo di ricreare delle forme, in un secondo momento questi oggetti vengono riassemblati per creare delle sculture, in ognuna di esse c’è un elemento naturale che viene unito ad un artefatto, quindi oggetti creati dall’uomo e poi abbandonati, in questo caso sono tutti elementi di ferro.
Le stampe sono realizzate su un formato grande per dare attenzione al micro, ovvero una gigantografia di elementi molto piccoli. Nella fase di allestimento si è ragionato su come non allestire l’esposizione come una comune mostra fotografica da galleria, quindi si è deciso di alternare nuovi spazi bianchi dove le persone potessero costruire nuove narrazioni a partire dagli elementi già esposti e poi c’erano dei rotoli che tagliavano lo spazio, Vittoria infatti lavora molto anche con la scrittura, creando dei libri d’artista. Concettualmente parlando, questi rotoli contenevano tutte le varie esperienze sul territorio.
L’artista non conosce bene le sue origini, sa di essere un po’ piemontese, un po’ ligure e un po’ spagnola, non ha goduto di uno scambio con le generazioni passate in quanto non ha mai conosciuto i suoi nonni. Ritrovandosi priva di una vera e propria identità, Vittoriasi sentiva caratterizzata da un certo vuoto esistenziale, di conseguenza ha pensato di sopperire a questo stato emotivo con la sua pratica artistica e di rendere propri quei luoghi nei quali si ritrovava a vivere.
L’elemento naturale fin dall’infanzia è stato una fonte di benessere e genuinità, l’artista è sempre stata appassionata di botanica, tassonomia scientifica ed ecologia e ha deciso di fondere assieme queste conoscenze.
Platea ha inoltre indetto un concorso per i ragazzi dai quattordici ai vent’anni, ai quali è stato richiesto di fare un poster ispirandosi a quello di Marcello Maloberti, il vincitore potrà vedere il proprio manifesto appeso in tutta la città.
L’arte contemporanea non è mai fine a sé stessa quando riesce a creare un modo per riappropriarsi di sé e soprattutto quando si rivela in grado di sviare quei meccanismi che l’hanno contraddistinta come pratica elitaria. Il progetto Platea si propone di rendere l’arte fruibile e di distaccarsi dai circuiti metropolitani che con presunzione la incatenano a modalità espressive difficilmente comprensibili. Il progetto è un’indagine sulla Natura, come luogo di riflessione critica sugli effetti dell’Antropocene, con opere diverse che propongono possibili coabitazioni tra gli esseri umani e le altre specie viventi, un intreccio tra cultura e artificio che si propone di coadiuvare l’estetica e l’etica.