The Northman, la saga vichinga di Robert Eggers con Alexander Skarsgård, Nicole Kidman e Björk. Poca vita in questa odissea di sangue e morte
I registi eccentrici e le major non sono un’accoppiata felice, generalmente. Impossibile non pensare al Dune di David Lynch. Un flop al botteghino, stroncato dalla critica, disconosciuto dal regista stesso. Di incidenti simili, più o meno vistosi, è piena la storia del cinema. Robert Eggers sembra, in tal senso, essersi salvato in corner.
Dopo l’interesse suscitato dai primi due film, The VVitch (debutto folgorante che ha lanciato la carriera di Anya Taylor-Joy) e The Lighthouse (con Robert Pattinson e Willem Dafoe) – entrambi prodotti da Rodrigo Teixeira (Call me by your name, La vita invisibile di Eurídice Gusmão, Frances Ha) – c’era molta attesa per il primo blockbuster di Robert Eggers, The Northman. Accolto dalla critica e del pubblico cinephile come autore visionario, geniale, abilissimo affabulatore e astutissimo prestigiatore, Eggers si è fatto tentare dal budget messo in campo dalla Regency Enterprises di Arnon Milchan (in quota Disney), che negli anni ha sfornato cose come The Revenant, Birdman, 12 anni schiavo e Natural Born Killers: 70 milioni di dollari (milione più milione meno) per realizzare un film da Oscar (ambizione non dichiarata, ma possiamo essere sospettosi senza peccare di troppa malizia) con protagonista Alexander Skarsgård, che da anni sognava un grande film vichingo. L’incontro tra l’attore svedese e il regista è stato il punto di svolta per la nascita di The Northman, in breve tempo nel cast si sono aggiunti i nomi di Nicole Kidman, Anya Taylor-Joy, Willem Dafoe, Claes Bang e Björk, che è tornata così al cinema 22 anni dopo Dancer in the Dark.
Un regista con idee tutte matte e un cast di attori pronti a mettersi in gioco, ci si poteva aspettare di tutto; la visione del Eggers e quella dei produttori però si sono rivelate un po’ diverse tra loro. In questa saga vichinga sembra essere rimasta poca di quella vitalità cinematografica che ha reso The Lighthouse un cult subitaneo, tutto sghembo, bislacco, misterioso e vibrante, poco del mistero di The VVitch, allusivo, corrosivo e (letteralmente) diabolico. La storia di vendetta di un principe detronizzato si svela (troppo) classica e senza (grandi) sorprese, sfarzosa nella messa in scena (meravigliosa la parrucca di Nicole Kidman, bruttatelli e pacchiani invece gli effetti speciali), ma di scarsa sostanza, manchevole di vita (serve quella per parlare di morte).
Il film sembra prendere quota nella parte centrale dove il protagonista torna in incognito per consumare la sua sanguinosa vendetta, in un tentativo appena accennato di un racconto con toni mistery, ma poi la narrazione prosegue piana con un plot twist finale che è il minimo sindacabile che si potesse chiedere. Incassi non stratosferici ma dignitosi (il pubblico ha gradito abbastanza, poteva andare molto peggio), nessuna grande polemica contro la casa di produzione e i distributori, insomma, nonostante il film bruttino Eggers non ne esce con le ossa rotta, dichiarando anche che fin da subito è stato cosciente del fatto che il final cut non sarebbe spettato a lui, stemperando le speculazioni sugli attriti tra regista (con una visione più artistica) e produttori (con una visione più semplice). Probabilmente, anche per questo, il film non lascia trasparire alcuna reale ambizione, nessun coraggio, risultando come un banale compromesso, una blanda rievocazione vichinga di incubi, maledizioni e dolori perduti nel mare gelato del Nord. In tema vichingo meglio Valhalla Rising di Nicolas Winding Refn, in tema leggende e cinema visionario meglio Sir Gawain e il Cavaliere Verde di David Lowery. Ora non ci resta che aspettare il già annunciato Nosferatu di Eggers, nella speranza che il cachet di The Northman sia servito per un bene superiore.