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Anelante, il teatro fisico e dissacratorio di Antonio Rezza

Anelante. Rezza – Mastrella Foto: Stefania Sammarro

E’ tornato nel cartellone del Teatro della Tosse di Genova Antonio Rezza con “Anelante“, in scena il 22 e il 23 ottobre. La recensione

Antonio Rezza fa del suo corpo il teatro. Un corpo che parla muovendo ogni muscolo, ogni fibra, un corpo dal quale esce una voce che non siamo certi sia quella sua reale. Tutto per lui diventa spettacolo, tutto per lui diventa gioco teatrale. Un corpo che dopo più di vent’anni è rimasto lo stesso (solo i capelli, pochi, sono diventati grigi), un corpo che salta in maniera elastica anche se gli anni che conta oggi l’attore italiano sono ben 57. Un corpo che Rezza dà in pasto al pubblico in una specie di rito che si consuma tutte le sere che sale sul palco.

Non possiamo negare che Rezza sia una specie di gladiatore che combatte all’interno dell’arena/palcoscenico per vincere, ed è sempre sicuro che ciò accada perchè il rapporto che ha col publico è di sfida. Il pubblico lo conosce e quindi si mette subito in condizione di compiacerlo e quando non lo fa è ripreso dall’artista che non solo è attento ad ogni proprio movimento, ma anche ai battiti di ciglia dei presenti in sala. Se qualcuno si alza prima del previsto viene ripreso ed anche bruscamente. Rezza è una prima donna che vuole attenzione continua su di sè, su quello che dice e quello che fa. Del resto si dona totalmente come una vittima sacrificale, un Cristo sulla croce e, anche se declama di non credere in Dio, sembra subire il fascino del suo potere.

Anelante, presentato al Teatro della Tosse a Genova sabato 22 e domenica 23 ottobre, lo vede interamente protagonista anche se sulla scena sono in cinque: lui, tre performer maschi e una femmina. Dietro a una quintatura come una sorta di teatrino mobile appaiono mani, teste e braccia, sono quelle di Ivan, Manolo, Enzo, Chiara, che più che personaggi sono delle emanazioni di Rezza, degli amplificatori di forza. Parlare di traccia narrativa è impossibile perchè qui, come in tutto il teatro dell’artista di Nettuno, non ci sono storie da raccontare.

Le porte che Rezza apre nel suo lavoro sono tante, gli argomenti ancor di più. Tutto parte in quarta, ma si spezza, frantuma in mille idee, mille possibilità di risoluzione, ma anche mille incertezze atte volutamente a disorientare l’ascoltatore. La realtà presentata è nuda e cruda, nel vero senso della parola. Rezza e i suoi si denudano davanti al pubblico, una provocazione necessaria per il suo modo di porsi verso il mondo. Non ci sono tabù teatrali nei suoi spettacoli e ovviamente neppure in questo che butta in trincea quell’infinita battaglia tra corpo e mente che discutono tra loro cercando un compromesso o, meglio, un momento di pace che non troveranno mai.

La parte migliore dello spettacolo è senz’altro la prima in cui l’attore si confronta con la matematica, Copernico, Pitagora, la fisica quantistica, Keplero, in cui esce anche fuori che una maestra miope aveva negato proprio a lui il palco per la recita. Poi arrivano i temi attuali: le pensioni, il potere e i grandi della terra che si incontrano senza concludere nulla di fondamentalmente importante per l’umanità. Si è trascinati da un fiume in piena che sputa e inghiotte senza sosta fino ad arrivare al termine in cui chi è inghiottito è lui, nella profondità di un io disperso nei ricordi di un bambino incerto se provar amore od odio verso i suoi genitori, chi troppo assente come il padre, chi troppo presente come la madre. Ma bisogna amarli o odiarli questi genitori che ci hanno dato la vita e, diciamolo, ce l’hanno anche pesantemente condizionata? Ed ecco che il deriso Freud diventa padrone di un corpo ormai fragile e stanco che solo lo scrosciare degli applausi rimette gagliardamente in piedi.

teatrodellatosse.it

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