Picasso, Fontana, Martini, Warhol, Kentridge, Paolini insieme agli etruschi in una “conversazione” oltre al tempo, che è un incredibile caleidoscopio
A Milano reperti archeologici etruschi, Picasso, Lucio Fontana, Arturo Martini, Andy Warhol, William Kentridge, Giuseppe Penone e altri artisti del Novecento dialogano insieme, in Corso Venezia al 52, austero edificio costruito nel 1871 dal Principe di Piombino, dal 1958 di proprietà di Giuseppina Rizzoli, che avvia l’intervento di ristrutturazione più significativo del palazzo acquistato nel 2016 dalla Fondazione Rovati, dove è stato aperto al pubblico il nuovo museo d’arte.
Questo è soprattutto uno spazio culturale, un dono per Milano, su due piani, con giardino interno, caffè bistrot, sale conferenze, sala di consultazione biblioteca, libreria e stanza didattica per bambini, ideato come «un valore sociale per la comunità», ha dichiarato la presidente Giovanna Forlanelli, dove – appunto- il corpus di preziosi reperti collezionati dalla famiglia Rovati si confrontano e ibridano con opere di artisti contemporanei, e saranno esposti a rotazione.
L’intervento di restauro filologico e conservativo di riqualificazione del palazzo storico, affacciato su i giardini e il Planetario di via Palestro, costato 80 milioni di euro, che ha creato 520 posti di lavoro, come l’allestimento espositivo di 250 opere, tra archeologia e opere contemporanee, è stato curato dallo studio MCA, Mario Cuccinella Architects. Il percorso espositivo si snoda su due piani dove le opere sono in dialogo anche con l’architettura.
Nel piano ipogeo si fluttua come in una grotta scavata dall’acqua in percorsi luminosi disegnati sul pavimento; è uno nuovo spazio concepito come una metafora sullo scorrere del tempo, dove si ha l’impressione di trovarsi in una scena di un film di fantascienza, in cui lo spettatore tra un’urna cineraria in travertino, vasi etruschi, ex voto, bronzetti e altro ancora, collocati accanto a opere di Kentridge, Fontana e Martini, è libero di muoversi come desidera. Tra gli altri pezzi antichi spicca il Guerriero Cernuschi, raffinato bronzo votivo scelto come simbolo del museo e un vaso realizzato da Picasso decorato con una scena di banchetto etrusco e una modella picassiana ritratta nella posizione di una commensale. E gli oggetti in mostra nella fluidità dello spazio, senza tempo, immersi nella luce riemergono dall’ombra.
Al piano nobile è stata preservata la struttura dell’ex appartamento (con specchi, pavimenti, porte, boiserie, camini originali) disegnato negli anni Settanta dall’architetto Filippo Perego, e l’incantamento prosegue con i buccheri –la ceramica “nazionale” degli etruschi- tra le più misteriose civiltà del passato (dal IX secolo al I secolo) a confronto con i disegni e gli acquarelli tratti dalle pitture di alcune tombe rinvenute a Tarquinia e realizzati da Augusto Guido Gatti (1863-1947), e le polaroid della serie Etruschi (1984) di Paolo Gioli. È una rivelazione la tela The Etruscan Scene: Femele Ritual Dance (1985) di Andy Warhol.
Nella sala dai muri color lilla, seducono le creature mitologiche di Luigi Ontani che sembrano danzare intorno a un grande tavolo sulla quale sono posati idoli etruschi. Di semplice e rarefatta armonia è la sala dedicata alle opere di Giulio Paolini, dove funziona benissimo il dialogo tra passato e presente, come in quella dedicata a Giorgio de Chirico, con Le Chaval d’Agamemnon (1929) della collezione Giuseppe Merlini (Busto Arsizio), opera ermetica in perfetta sintonia tra fibule e altri reperti etruschi, strumenti di lavoro recuperati nel Ripostiglio di San Francesco dal Museo Archeologico di Bologna.
Sala dopo sala, la storia della scoperta della civiltà etrusca si palesa attraverso reperti della collezione Rovati, esposti in questo raffinato museo, curato da Giulio Paolucci. Tra le altre chicche, è impossibile non notare un cippo in marmo rinvenuto vicino a Firenze e riprodotto alla tavola XLVI del volume De Etruria regali di Thomas Dempster, libro scritto tra il 1616 e il 1619, che divulgò l’interesse di studi denominata “etruscheria”. Lo stesso cippo si trova nel Saggio di lingua etrusca e di altre antiche d’Italia (1789) di Lugi Lanzi, che segnò la nascita dell’etruscologia come disciplina scientifica.
Il piano nobile non finisce di stupire sia per gli arazzi di Francesco Simeti, che per l’installazione temporanea La vulnerabilità delle cose preziose di Sabrina Mezzaqui (fino al 27 novembre), e incantano le piccole teste di Gino De Dominicis e di Alberto Giacometti. Infine la fondazione, che vanta il coordinamento scientifico di Salvatore Settis, ospita anche un nucleo centrale di vasi del periodo arcaico, un fondo acquistato in blocco dalla collezione ginevrina Cottier Angeli, affiancata da una collezione in crescita e trasversale aperta al confronto con il contemporaneo, per guardare la storia dell’arte con altre attese e sensibilità dove scorre il flusso inarrestabile del tempo.