La Dep Art Gallery di Milano dedica una mostra a Salvo e a due dei suoi filoni artistici principali: le Sicilie e le città. Da cui il nome della mostra – SALVO. Sicilie e città– curata da Gianluca Ranzi e visitabile dal 28 ottobre 2022 al 28 gennaio 2023.
Si dice che a Salvo, durante le interviste con giornalisti e critici, ma pure al bar mentre giocava a biliardo con gli amici, magari proprio con gli artisti dell’Arte Povera con cui era solito intrattenersi nella Torino del secondo Novecento, piacesse citare autori e filosofi di ogni epoca. Si appropriava delle parole dei grandi pensatori come fosse contenitore e tramite di un sapere stratificato. Assumeva il compito divulgativo di trasportare dal passato al presente poesie, battute teatrali, dissertazioni filosofiche, e di inserirle nel suo contesto sociale.
Così facendo le rinnovava, manteneva la promessa d’eternità che ogni autore desidera per la propria opera. Non lo faceva con fini esaustivi e nemmeno didascalici. Le sue erano scelte ponderate, passaggi chiave utili a lui (nel suo discorso) e all’autore (per essere compreso, studiato). Così nel corso della sua vita, citazione dopo citazione, immaginiamo la sua identità costruirsi attraverso l’assemblamento di tutto ciò che aveva letto, imparato e poi ripetuto. Esattamente come una terra è il risultato (conscio o inconscio) della storia e della cultura che hanno generato il suo popolo.
Proprio questo concetto è alla base della serie delle Sicilie, che a sua volta rappresentano la prima metà della mostra SALVO. Sicilie e città, allestita da Dep Art Gallery a Milano. Un nucleo di opere degli anni Settanta che risentono dell’evidente rapporto di Salvo con l’Arte Povera. Sia in termini di valore concettuale che di espressione artistica, con le lettere in stampatello maiuscolo, una di fianco all’altra fino a saturare lo spazio dell’opera, che riportano in un attimo ad Alighiero Boetti. Ma, al contrario di Boetti, le lettere di Salvo formano le parole orizzontalmente. E cosa si legge?
Si leggono i nomi di grandi filosofi, artisti, scrittori, intellettuali. Ovvero le menti che con le loro idee e le loro opere hanno formato l’Italia, la cui cartina fa da sfondo all’elenco. Una geografia di nomi, una geografia di idee. La penisola intera, oppure più localmente la Sicilia, terra d’origine dell’artista, con i tributi alle figure che l’hanno resa celebre fin dall’epoca ellenistica. E in fondo, come una sorta di firma o di piccola autocelebrazione, il suo nome: SALVO. In tutte le opere, sempre nello stesso punto, alla fine dell’elenco. Come se fosse lui a riassumerli tutti, a ospitarli. Un modo dunque per evidenziare il suo ruolo di tramite, di voce che rinnova i loro insegnamenti.
Come in un movimento che dall’universale – la storia, il ricordo dei grandi del passato – si muove verso il singolare – Salvo stesso – l’artista nella fase successiva della sua carriera si indirizza verso la definizione di un linguaggio artistico proprio. Del resto è forse questo che in ultima istanza ci si aspetta da un grande autore: che dopo aver assimilati le voci di chi l’ha preceduto ne trovi finalmente una propria. Salvo la trova nel paesaggio, ambientale e urbano. Dunque un soggetto classico, ma interpretato in una chiave personalissima. Giocato su uno studio unico del colore e della luce, oltre che su una resa formale stilizzata ma non superficiale. I volumi corpacciuti ma morbidi; i colori decisi e sfumati al tempo stesso, intensi e delicati insieme; le forme asciutte, semplificate, epurate da ogni orpello; la realtà alla sua essenza, così tanto spogliata dal superfluo da scivolare quasi nell’astratto.
Tutte caratteristiche che ritroviamo nelle opere in mostra (eseguite dal 1983 al 2003), che nello specifico si concentrano sul tema urbano. Ritratti di strade e palazzi che potrebbero abitare qualsiasi città, o quasi. Si riconoscono infatti i crismi della grande metropoli novecentesca, con le fabbriche dalle alte ciminiere e gli angoli bui e solitari; le luci al neon (di cui proprio Torino è pienissima) e i tram che immaginiamo vibrare nella notte. Le strade sono libere da passanti, gli edifici privi di finestre, i mezzi immobili. Le uniche cose vive sono le luci dei lampioni, i fanali delle auto, le insegne delle attività. Tutto dovrebbe suggerire un isolamento drammatico. E invece quel che assaporiamo è un’esistenza ovattata, come quando nevica e la città si trova rallentata, i suoni si spengono e gli animi si rilassano.
Forse tutti gli abitanti di queste misteriose città sono all’interno dei suoi palazzi d’ombra, la lasciano riposare, la lasciano esprimersi con i suoi palpiti fatti di riflessi imprecisi, scorci sempre nuovi, prospettive inedite. Salvo gioca così tanto con gli elementi architettonici e luminosi, li smonta e ricombina in soluzioni coerenti ma sempre nuove. Talvolta, come detto, le porta sul confine con l’astrazione. Fantastica la parete dove 13 dipinti creano incroci e rimandi, giochi e interconnessioni. A volte la città si fa geometria, altre volte è la geometria che diventa abbozzo di città. Un mondo sospeso tra realtà e immaginazione, la cui colonna sonoro perfetta è indubbiamente il jazz. Quello triste e malinconico, fumoso e delicato. Lo stesso che potrebbero ascoltare le uniche figure umane che osserviamo in mostra. L’opera si intitola Bar ed è stata esposta alla Biennale di Venezia del 1984. Le persone in questione sono ovviamente riunite in un bar, giocano, bevono e ridono insieme. Sullo sfondo una finestra lascia entrare la città e uscire uno sguardo. Forse nel gruppo c’è qualcuno che si sta lanciando in un’arguta citazione letteraria.