Al Design Museum di Londra, la rassegna curata da Catherine Johnson copre 100 anni di storia del design con 350 oggetti e opere d’arte da Man Ray e Salvador Dalí a Sarah Lucas e Dior. Al centro del progetto, l’influenza del movimento Surrealista: la spinta anti-borghese degli anni ’20 e ’30 che si tramutò poco a poco nel culto capitalistico del kitsch.
Tra riflettori, giochi d’ombra e pareti tappezzate di velluto la mostra del Design Museum cela con eleganza e sensualità una moltitudine di oggetti iconicamente assurdi. L’allestimento stesso sembra voler giocare con lo spettatore, introducendo un’estetica provocante che ben si sposa alle opere esposte.
Fin dai primi istanti, non si può che essere rapiti dai design di Salvador Dalí, indiscusso protagonista della rassegna. Ad accoglierci, una serie di oggetti commissionati dall’eccentrico poeta inglese Edward James. Una lampada costituita da coppe di champagne fa da controparte al famoso divano-labbra Mae West (1972). A chi ne mettesse in questione l’ergonomia, basti rammentare una nota battuta dello stesso Dalí: “una sedia può assolvere molte funzioni, non necessariamente quella di sedersi“. Poco distante, si nota uno degli 11 telefoni-aragosta (perfettamente funzionanti) che James richiese all’artista catalano per la sua casa di Londra Monkton House. Proseguendo, Cadeau(1921)di Man Ray, un ferro con 14 chiodi incollati alla suola, e Colazione in pelliccia (1936) di Meret Oppenheim, una tazza da caffè tappezzata di pelo. Si alternano poi a sedie, tavolini e lampade ironiche e biomorfe, approfondimenti esplicativi con fotografie d’epoca, libri, appunti. Apprezzato, in questo senso, il riferimento al design avveniristico e spiazzante dell’austro-americano Frederick Kiesler per la galleria newyorkese Art of this Century di Peggy Guggenheim.
Forme improbabili e giustapposizioni inattese creano nello spettatore un senso di straniamento, costringendolo a riflettere sulla natura degli oggetti fuori dal loro consueto utilizzo. L’arte surrealista ha saputo fare breccia nei rodati automatismi della quotidianità introducendovi elementi alieni come il sogno e lo shock: un attacco diretto all’ordine borghese. Per comprendere l’anima del movimento occorre fare un passo indietro a quegli anni ’20 che furono così prolifici per la storia dell’arte moderna. Il surrealismo nacque dalle ceneri della Prima Guerra Mondiale rispondendo con creatività alla caotica incertezza in cui l’Europa era crollata. Riuscì a scuotere il mondo dell’arte (e non solo) tramite un nuovo modo di concepire l’uomo: mise al centro l’inconscio e la magia, proprio laddove razionalità e scienza avevano fallito, sfociando nell’orrore del conflitto. Non a caso il Surrealismo prese forma dalla penna di un poeta, André Breton, che nel 1924 pubblicò il primo manifesto del movimento. “Sola molla del mondo, il desiderio, solo rigore che l’uomo debba conoscere”, dichiarò lo scrittore. Molto presto artisti e designer cominciarono a fornire una controparte visiva a queste parole, influenzati anche dalle recenti scoperte psicoanalitiche di Sigmund Freud.
Il tema del desiderio ritorna nel titolo della mostra che intanto prosegue con una sezione dedicata all’interior design. La sfida surrealista lanciata alla funzionalità degli oggetti venne raccolta prima dai concettuali negli anni ’50, poida artisti legati alla Pop Art e al Radical Design come Pedro Friedeberg, Nanda Vigo, Gaetano Pesce, Castiglionie Gae Aulenti. Uno dei pezzi più iconici in mostra è proprio un tavolino di cristallo firmato dall’architetta italiana che ha voluto metterne a prova la stabilità sostituendo le quattro gambe con ruote di bicicletta à la Duchamp.
Segue una sezione più glamour dedicata alla concezione del corpo che mette in luce il ruolo della moda nell’influenzare e mascherare l’aspetto fisico. Anche qui le connessioni col Surrealismo sono molteplici: dagli abiti di Elsa Schiapparelli che collaborò con artisti come Dalí e Jean Coucteau a Lee Miller che portò l’arte del movimento sulle pagine di Vogue. Da notare anche in questo frangente lo spazio che la mostra dedica alla diversità di genere. “Ho voluto garantire un’ampia partecipazione di artiste donne nella mostra” – ha dichiarato la curatrice – “Il Surrealismo ha attratto più donne di ogni altro movimento, dal romanticismo in avanti. Questioni di corporeità, sessualità e ambienti domestici furono infatti temi chiave del movimento, approcciati in maniera critica e originale dalle artiste surrealiste, in dialogo con queste idee”. Delizioso a tal proposito il dipinto di Leonora Carrington The Old Maids (1947) che apre una finestra su un magico spazio domestico, tipico dell’artista britannica.
L’ultima parte della mostra si concentra sui processi creativi. Dal frottage di Max Ernst, presente con una sua Foresta del 1927, questo continuo sovvertire il tradizionale modus operandi dell’arte giunge fino al design contemporaneo, che guarda ancora all’automatismo surrealista per restituire spontaneità alle opere. Strumenti avanzati come stampanti 3D, algoritmi e Intelligenza Artificiale hanno permesso di attualizzare questi concetti, espandendo il dominio della surrealtà alla tecnologia più moderna. Per l’occasione, la casa di design Front Studio ha realizzato una sedia utilizzando una “penna” elettronica i cui tratti sono catturati nel loro libero movimento nello spazio, trasformati in file digitali e infine stampati in 3D.
Nel seguire il filo rosso del surrealismo, la rassegna londinese è sapientemente riuscita a (ri)contestualizzare gli oggetti di design come veri e propri elementi d’arredo, sospendendo per un momento l’aura sacralizzante dell’arte e della teca museale. Solo così lo spettatore riesce a coglierne la meravigliosa assurdità: un attacco diretto alla funzionalità nel segno della libera fantasia.
Objects of Desire: Surrealism and Design 1924 – Today al Design Museum di Londra,
fino al 19 febbraio 2023, designmuseum.org