“L’Arte inquieta. L’urgenza della creazione. Paesaggi interiori, mappe, volti” a Palazzo Magnani di Reggio Emilia racconta, con oltre cento opere, il mondo interiore degli artisti, e della società
L’arte ha la capacità di comunicare con diversi linguaggi e, con l’avvento delle avanguardie, sono stati introdotti modi espressivi differenti da quelli tradizionali, allontanandosi così dal modello estetico che aveva caratterizzato l’arte fino alla fine del 1800. Con l’avvento della psicoanalisi e con l’attenzione sempre maggiore attribuita allo studio della psiche, anche gli artisti si sono soffermati su questi aspetti, rendendo le opere portavoce del mondo interiore. È ciò che racconta la mostra “L’Arte inquieta. L’urgenza della creazione. Paesaggi interiori, mappe, volti: 140 opere da Paul Klee ad Anselm Kiefer”, in corso a Reggio Emilia, presso Palazzo Magnani, fino al 12 marzo 2023.
Protagoniste del percorso espositivo sono, inoltre, le opere provenienti dall’Archivio Ex Ospedale San Lazzaro del Museo di Storia della Psichiatria di Reggio Emilia, sito che ad oggi racchiude una delle maggiori raccolte, composta da oltre 28.000 opere tra disegni, dipinti, ecc, prodotte in istituzioni psichiatriche, attestanti le importanti evoluzioni sviluppatesi nel campo della psichiatria negli ultimi decenni, nell’ambito delle attività artistiche.
La complessità e la ricchezza delle argomentazioni trattate, attraverso i lavori dei maggiori esponenti del’900 tra cui si menzionano a titolo esemplificativo Alberto Giacometti, Jean Dubuffet, Hans Hartung, Max Ernst, Carla Accardi, Alighiero Boetti, Keith Haring, Emilio Isgrò, Paul Klee, Anselm Kiefer, Maria Lai, Antonio Ligabue, Zoran Mušič, Yves Tanguy si evince visitando il percorso espositivo curato in modo rigoroso e scientifico da Giorgio Bedoni, psichiatra e docente dell’Accademia di Brera, Johann Feilacher, direttore del Museo Guggin di Vienna e dallo storico dell’arte Claudio Spadoni.
Suddiviso in aree tematiche quali “Il Volto Metaforico”, “Serialità Ossessioni, Monologhi Interiori” e “Cartografie, mappe e mondi visionari”, conduce lo spettatore ad avvicinarsi a quella che viene definita l’art brut, che come indicato dalla stessa definizione, si discosta dal bello tradizionale, presentando però un’altra faccia della realtà, quella più vera e più profonda, che gli artisti hanno il coraggio di presentare senza filtri, mettendo i propri stati d’animo a nudo sulla tela.
Esplicative, a tal proposito, sono le espressioni riportate in mostra di alcuni artisti, come Zoran Mušič: «Quando dipingo un autoritratto, non lo dipingo grazie allo specchio, ma nasce da dentro. Io mi conosco da dentro. Se io mi ponessi di fronte a uno specchio copierei solo la maschera di me stesso» e ancora di Asger Jorn: «Se il normale, il tradizionale e il magistrale equivalgono al bello, allora il raro, il notevole e il singolare devono equivalere al brutto. Viva la bruttezza, che crea la bellezza. Senza la bruttezza non esiste la bellezza, ma soltanto l’ovvietà, l’indifferenza, la noia. Il non-estetico non è il brutto, ma è il noioso».
È dalla sezione “Il Volto Metaforico” che prende avvio il percorso espositivo, in cui protagonista è il ritratto, che non è più espressione di uno status sociale, ma interiore. I volti si deformano, fino a diventare maschere, sulla scia dell’espressionismo, dei Fauves e del Primitivismo, di cui queste opere sono espressione e sunto. Gli artisti vivono una profonda inquietudine, data dal momento storico e dagli avvenimenti del tempo ed elaborano un nuovo modo di esprimere come si vedono, di dipingere il proprio sentire, nel contesto in cui vivono. È proprio quello che fanno ad esempio Antonio Ligabue, in Autoritratto con cavalletto opera peculiare per le dimensioni, raccontando se stesso nei territori del Po da lui abitati, circondato dalla natura e dagli animali e Mattia Moreni in Mattia Moreni a 65 anni di sua età. Autoritratto n.3, in cui si rappresenta in parte uomo e in parte macchina, investigando cosa si provi a essere maggiormente robot.
Peculiare il ritratto di Joškin Šiljian, artista serbo e tra i maggiori esponenti contemporanei dell’art brut. Scelta come immagine rappresentativa della mostra, riportata proprio sulla locandina, l’opera He-She, esprime l’inquietudine della continua ricerca d’identità.
“Serialità Ossessioni, Monologhi Interiori” è il titolo della sezione successiva, in cui viene affrontato il tema della serialità, come espressione di ripetizioni e dialoghi nell’animo. Attraverso la successione delle parole, dei segni, delle immagini, gli artisti parlano di se stessi, delle proprie inquietudini, introducendo un nuovo modo di esprimersi, che spazia dai ricordi dell’infanzia, come in Carlo Zinelli, maggior esponente dell’art brut italiana, che, restando ancorato ai luoghi della prima giovinezza, rende il suo stile riconoscibile attraverso la ripetizione per quattro volte di oggetti, cose, immagini. La vita vissuta viene interiorizzata da Carla Accardi attraverso un nuovo linguaggio sospeso tra astratto e reale, ma capace di creare un’armonia concettuale, una musica generata dal suono creato dal susseguirsi dei segni. In Keith Haring, il ripetersi di sembianze antropomorfe, crea nuovi scenari urbani, facendo lo spettatore partecipe della scena rappresentata e rendendo così l’opera, secondo il desiderio dell’artista, popolare. Peculiari sono le carte dall’Archivio San Lazzaro, che, nella loro serialità evocano il susseguirsi di un tempo sospeso tra realtà e complessi percorsi mentali, che conducono a scenari utopici.
In “Cartografie, mappe e mondi visionari” protagoniste sono le mappe, che sin dall’antichità hanno rappresentato utili strumenti per conoscere e viaggiare nel mondo. Presenti in mostra opere provenienti da tradizioni antiche e tribali da cui hanno tratto spunto le cartografie e le mappe del ‘900, seppur con altre finalità, come evidente nelle opere di Hartung, Boetti, Isgrò e Maria Lai. Sebbene attraverso differenti modi di rappresentazione, le opere di questi artisti evocano percorsi della mente dove prendono vita sentieri inesplorati e reinventati, come in Isgrò che nella creazione delle sue mappe, scopre nel cancellare, un elemento da cui ripartire: «È stato cancellato tutto il possibile, forse, ma avendo trasformato la cancellazione in un “mattoncino” nero da costruzione non resta che costruire». Maria Lai riscopre nella tessitura una peculiare potenzialità espressiva e, ancorata alle tradizioni della sua Sardegna, redige una poesia con il filo, il quale, percorrendo la superficie dell’opera sembra proseguire, senza fermarsi. L’opera di Tanguy, sulla scia del Surrealismo, evoca mondi immaginari caratterizzati da rappresentazioni oniriche e “mondi visionari”.
«Cerco spazi cosmici, cieli, spazi lontanissimi però tattili. Gli spazi che cerco non sono tanto in una superficie, quanto al di là di essa…Le mappe astrali rispondevano all’esigenza di un rapporto con l’infinito, di una dilatazione e proiezione sulla lontananza…Sono un invito al viaggio», è la frase di Maria Lai che conduce verso l’opera di Anselm Kiefer, che in Tengo in mano tutta l’India esprime la necessità del viaggio per ritrovare se stessi e la propria identità. L’artista si pone al centro della tela, rendendo così il lavoro ancor di più autobiografico, quasi a testimoniare l’importanza che il viaggio ha avuto su di lui e sulla suo mondo interiore.
La scultura Femme debout I (Grande Femme debout I), di Alberto Giacometti, dall’autorevole sagoma totemica, apre e chiude il percorso espositivo, riassumendo nelle vibrazioni della materia, quell’arte inquieta che ha caratterizzato il ‘900 e introducendo un nuovo modo di affrontare, da parte degli artisti, i propri mondi interiori e inesplorati.