Holy Spider, dal 16 febbraio al cinema il nuovo film di Ali Abbasi. La storia del serial killer iraniano che voleva ripulire le strade dalle donne impure
Iran, 2001. Raihimi, una giornalista di base a Teheran arriva nella città santa di Mashhad per raccogliere notizie su un serial killer, le vittime sono tutte prostitute. Mashhad è la seconda città più grande dell’Iran e ospita il Santuario dell’Imām Reżā che è anche la più grande moschea del mondo, uno dei luoghi più sacri per i musulmani Shia. Al con l’Afghanistan, è una metropoli con traffici internazionali, destinazione di pellegrinaggio religioso lungo uno dei principali canali del traffico di droga che va dall’Afghanistan all’Europa. Città metropolitana, centro industriale, centro religioso, bassifondi estesissimi: è una città tentacolare e oscura. La prostituzione è diffusissima, praticata ovunque, condannata dalla morale ma parte di un’economia laterale e subalterna. Le forze dell’ordine fanno finta di nulla. Un serial killer di prostitute non sembra interessare a nessuno. Le vittime aumentano, tutti si girano a guardare dall’altra parte. risolvere il caso e Raihimi si renderà presto conto che potrà contare solo sulle proprie forze. Raihimi (interpretata da Zahra Amir Ebrahimi, premiata come Miglior attrice a Cannes 2022 per la sua interpretazione) si rende conto fin da subito che la sua ricerca di verità non sarà semplice, ostacolata innanzitutto dalle autorità.
Holy Spider, il nuovo film di Ali Abbasi (Premio Un Certain Regard a Canens 20218 per Border – Creature di confine) porta sul grande schermo la storia (vera, almeno nello spunto) di Saeed Hanaei, Spider Killer, un cittadino profondamente religioso e rispettato dalla comunità che tra il 2000 e il 2001 ha ammazzato sedici donne. Il processo in Iran è diventato un caso mediatico, quello di un uomo “giusto” condannato per colpa di donne depravate che se l’erano cercata. Una parte del pubblico e dei media arriva a celebrare il killer come un eroe, un giustiziere che stava ripulendo le strade della città dalla presenza di quelle donne impure, indegne. Il film parla di come la misoginia sia profondamente radicata nella società iraniana (Raihimi non può prendere in affitto una camera d’albergo da sola, in quanto donna, ci riesce solo – poi – in quanto giornalista), un odio pervasivo, tentacolare come la città stessa, che non scaturisce solo dagli uomini, ma anche dalle donne stesse nei confronti delle altre donne, in una guerra tra gli ultimi e i più ultimi ancora.
Ali Abbasi gira un noir persiano, senza rimanere schiavo dei tòpoi del genere; al centro, come tipico nel genere, ci sono per protagonisti quegli outsider rimasti in balia di un mondo che per loro non ha più punti di riferimento (le vittime, il killer stesso) e un’eroina che agisce al di fuori dei meccanismi legittimati dalla società a cui (suo malgrado) appartiene, ma il racconto si dipana attraverso un linguaggio e un’iconografia profondamente radicati nella geografia di Mashhad (sebbene le riprese si siano svolte ad Amman, in Giordania – impossibile girarlo in Iran, dove le reazioni della stampa lo hanno condannato come film politicamente menzognero). Il regista iraniano, naturalizzato svedese, non guarda al cinema classico (o post-classico; da Huston a Fincher), ma piuttosto alla ruvidezza della New Hollywood, realizzando un procedurale d’autore che si spinge oltre il semplice arresto, perché quello è solo un momento che divide la storia in due, in un prima e un dopo, senza rappresentare una reale risoluzione.
Holy Spider è un film che sa essere surreale, esasperante, macabro e gelido, con tocchi di realismo fastidioso, respingente. È un ritratto amaro, scuro e desolato, ma con in sé un germe di speranza, di luce. Sa insistere sui corpi, sulla violenza, con uno sguardo nuovo sull’Iran rispetto a quello del cinema iraniano stesso, lo fa da autore esule, il suo è un punto di vista che attraversa zone eliminali, che compie percorsi obliqui. Osserva senza osare giudicare, si interroga sulla natura delle contraddizioni, sull’equilibrio precario di una società dalla morale fittizia, tra scenari strazianti di povertà e dipendenza.