Alla Biennale di Sharjah l’artista e fimmaker inglese racconta la storia del collezionista Albert C. Barnes e il suo impegno sociale e civico
“Non può essere disturbato durante i suoi sforzi per battere il record mondiale di ingestione di pesci rossi“. Questo il magnate dell’industria automobilistica Walter Chrysler si sentì rispondere nel 1939 quando chiese di visitare la collezione d’arte di Albert C. Barnes. Una raccolta che contava fra le altre su 181 opere di Pierre-Auguste Renoir, 69 di Paul Cézanne, 59 di Henri Matisse, 46 di Pablo Picasso, 7 di Vincent Van Gogh. Un aneddoto che tratteggia la “follia” di colui che è forse il più grande collezionista d’arte della storia.
Barnes accumulò strabilianti ricchezze all’inizio del 900 grazie al brevetto dell’Argyrol, un antisettico utilizzato nel trattamento delle infezioni oftalmiche e della gonorrea. Nel 1912 mandò l’amico William Glackens a Parigi con 20mila dollari per acquistare dipinti per lui. Successivamente tornò a Parigi di persona, acquistando i suoi primi dipinti di Matisse da Gertrude e Leo Stein. Acquistò anche la collezione di arte africana del mercante d’arte Paul Guillaume. Fu l’inizio di una passione che nel 1925 portò Barnes a scrivere il saggio “Negro Art and America”, curato da Alain Locke.
Impegno sociale e civico
Il “socialismo” applicato da Barnes lo portava ad aprile la sua raccolta ai giovani ed ai lavoratori della sua azienda. Per contro, ne ostacolava la visione a gran parte degli interessati, persino agli studiosi. Proibendo che le sue opere fossero fotografate a colori. Continuò a sostenere giovani artisti e musicisti afroamericani con borse di studio per studiare presso la fondazione che intanto aveva creato a Merion, vicino a Philadelphia. Anche su questi temi si basa la bellissima installazione video Once Again… (Statues Never Die), con la quale il grande artista inglese Isaac Julien partecipa alla 15° Biennale di Sharjah.
Un’opera presentata in anteprima mondiale lo scorso anno a Philadelphia, in occasione del centenario della Barnes Foundation. E centrata proprio sul rapporto fra il collezionista e Locke, intellettuale filosofo padre dell’”Harlem Renaissance”. Sui cinque video si dipana la storia di una passione – quella per l’arte africana – che diventa leit motive per un impegno sociale e civico. Intercalata con grande eleganza da filmati d’archivio e da repliche di maschere e sculture negre provenienti dalla stessa Barnes Collection e dal British Museum. E contestualizzata negli attualissimi sforzi per le restituzioni e la riparazione storica…
https://sharjahart.org/biennial-15