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Il Musée d’Orsay acquisisce due dipinti di Gérôme e Pelez. Ecco quali sono

Jean-Léon Gérôme Enfant avec un masque, entre 1840 et 1856 Huile sur toile DM. 50 cm avec cadre H. 67 ; L. 67 ; EP. 6 cm © Musée d’Orsay, dist. RMN-Grand Palais / Sophie Crépy
Jean-Léon Gérôme Enfant avec un masque, entre 1840 et 1856 Huile sur toile DM. 50 cm avec cadre H. 67 ; L. 67 ; EP. 6 cm © Musée d’Orsay, dist. RMN-Grand Palais / Sophie Crépy

Ecco le due nuove opere appena entrate a far parte delle collezioni del Musée d’Orsay, raccontate con le parole del museo stesso.

Enfant au masque di Jean-Léon Gérôme

Enfant au masque – ha spiegato il museo – «è un dipinto particolarmente insolito nell’opera di Jean-Léon Gérôme (1824-1904), per via di molti aspetti: il soggetto, l’identità del modello, la datazione esatta, il contesto in cui è stato realizzato e molti altri. Il dipinto rimane a tutt’oggi molto enigmatico e mantiene un grande potere di fascinazione. L’opera, un tondo, rappresenta, il busto e il volto di un bambino piccolo, i cui occhi sono rivolti verso lo spettatore. Collocato su uno sfondo tra il blu e il verde scuro, il soggetto ritratto sulle spalle porta un’ampia veste verde smeraldo, mentre sulla testa è posizionata una maschera marrone chiaro con dei serpenti e lunghi capelli vermigli, tenuta in posizione da un sottile cordoncino. Nella mano sinistra il bambino stringe l’elsa di quella che sembra essere una piccola spada di legno. Potrebbe trattarsi dell’eroe greco Perseo che ha appena tagliato la testa di Medusa con la sua spada? I capelli rossi della maschera potrebbero costituire un riferimento al sangue versato dal mostro dallo sguardo pietrificante?

Anziché una vera e propria figura mitologica o un ritratto “en travesti” come si usava nel XVIII secolo, Gérôme ci offre la visione più semplice del gioco di un bambino che, utilizzando pochi oggetti, dà libero sfogo alla sua immaginazione. La serietà dello sguardo del ragazzo e l’essenzialità della messa in scena, il contrasto tra l’espressione penetrante della maschera e la placidità del bambino, fanno di questo quadro una vera e propria riflessione sulla nostra capacità di credere ai miti e sull’innocenza dell’infanzia.

L’opera, non firmata e mai esposta durante la vita dell’artista, è rimasta a lungo privata. Regalata dall’artista a Blanche Goupil, sorella di sua moglie Marie, è stata tramandata in famiglia per diverse generazioni prima di arrivare sul mercato dell’arte negli anni Novanta. Raramente esposto – se non in occasione della grande retrospettiva sull’opera di Gérôme organizzata dal Musée d’Orsay nel 2010 – e poco commentato, il dipinto non è ancora stato oggetto di ricerche che forse permetteranno di identificare il modello: non può trattarsi del figlio dell’artista, Jean, nato nel 1865, e nemmeno del nipote Pierre, nato nel 1867.

Questa acquisizione permette al Musée d’Orsay di arricchire la sua collezione di opere dell’artista con un sorprendente dipinto giovanile e una visione molto singolare del patrimonio classico e dell’infanzia nel XIX secolo».

Fernand Pelez, Misère, vers 1886, Peinture; huile sur toile, Sans cadre H. 156,2 ; L. 78,7 cm avec cadre H. 182 ; L. 102 ; EP. 8,5 cm © Musée d’Orsay, dist. RMN-Grand Palais / Sophie Crépy

Misère di Fernand Pelez

«Esposto per la prima volta al Salon del 1886, Misère di Fernand Pelez (1848-1913) fa parte di una serie di opere che mostrano vari aspetti della miseria che affliggeva i bambini di strada parigini. Il dipinto raffigura un ragazzo, scalzo e sporco, vestito con abiti da adulto rattoppati che rappresentano una sorta di allegoria della fatalità in ambito sociale (il ragazzo non sta vivendo l’infanzia e sarà povero per il resto della sua vita): la testa bionda del bambino contrasta con il cappotto da adulto e sottolinea la miseria della sua condizione. Il ragazzo sta ritto, come sull’attenti, congelato nella rassegnazione, stoico, con lo sguardo fisso davanti a sé, il cappello basso e pronto a essere sollevato al passaggio di un borghese, mentre si nasconde nel portone di un edificio, la cui porta è a sua volta impolverata. È l’inespressività dell’atteggiamento del bambino a suscitare l’emozione nello spettatore.
Pelez inserisce la scena nel formato allungato che predilige, quello del ritratto a figura intera. [….]L’artista utilizza il suo realismo meticoloso e la sua tavolozza ristretta, limitata a una gamma di marroni e grigi, che fece dire al critico Émile Henriot che ci fosse del “fango nel suo pennello”.

Il dipinto fu ampiamente commentato dalla stampa, che in genere ne lodò l’adesione al vero e la pregnanza della scena, anche se alcune voci accusarono il quadro di essere troppo sentimentale e altre di impiegare una forma d’arte troppo raffinata per un soggetto così poco raffinato. A dimostrazione della sua importanza, un disegno colorato del piccolo personaggio fu scelto per la copertina del catalogo della mostra postuma del pittore nel 1893».

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