Bentornati al Motel Nicolella.
E bentornati davvero, cari miei. Esattamente nel momento più importante dell’anno tra l’altro, per voi e per me, che di e con questo mondo dell’arte ci viviamo e ci campiamo. Bentornati a leggere la rubrica meno informativa eppure meno retorica del web. Qui, tra di noi, non ce la raccontiamo.
Sono appena rientrato da Art Basel 2023, novella edizione a cura di Vincenzo De Bellis. Mentre vi scrivo questi quattro pensieri l’aria umida della Martesana si intrufola tra le zanzariere di casa. Ho messo in sottofondo bossa nova brasiliana per non accendermi troppo e trovare la più pacata riflessione possibile. Non ci riuscirò, come sempre. E forse sei qui a leggere anche per questo Sprint.
In mostra ci sono quasi 300 gallerie, 4000 opere, capolavori in ogni angolo possibile (9000 euro al metro quadro costano gli stand, tocca ottimizzare). I numeri aggiornati andateli a leggere sul Sole 24ore, sul Corriere da Luca Zuccala, su AskaNews da Leonardo Merlini che ha scritto un pezzo bellissimo. A me non interessa troppo soffermarmi sui dati, anche se è poi con quelli che a fine anno si tirano le righe.
Personalmente sono più di quindici anni che vado a Basel e, anno più anno meno, resta sempre il solo e unico posto per rendersi conto di cosa stia succedendo davvero, per non avere una visione tremendamente provinciale dei fenomeni macro.
E allora, che vi devo dire…. Innanzitutto che le gallerie di cartello hanno tirato fuori l’argenteria: Gagosian, Hauser & Wirth, White Cube, Landau, Tornabuoni, Galleria dello Scudo… tutti hanno esposto solo capolavori. Le giornate First Choice sono proprio quelle in cui è possibile intravedere i clienti che effettivamente tirano la carretta del mercato.
La domanda “come sta andando?” fatta a tutti è ovviamente soltanto retorica. Anche l’ultimo degli assistenti ti dirà sempre che tutto è una meraviglia, una crema, che hanno già fatto sold out nel stand e che stanno sostituendo le opere con i fondi di magazzino. Non è così, lo so io e lo sanno loro, e anche se le vendite ci sono state eccome la sensazione è che si sia dovuti ricorrere ai gioielli della corona per non sbagliare. Un po’ la guerra, un po’ la borsa che non va, un po’ che le nuove generazioni questa mania di spendere soldi in arte la stanno perdendo per strada. Non si vedono gli ultra novantenni del Tefaf con la sedia a rotelle elettronica, ma certamente l’acquirente medio è over 50. In ogni modo, la temperatura è la stessa che si respira anche sulle panchine per riposarsi, alta. Di disperazione non se ne vede. La filiera ringrazia.
Gli artisti? Ci sono. Incredibile ma vero ci sono anche loro. Li vedi sorseggiare un bicchiere di Ruinart alle 11 del mattino nella vip lounge. Alcuni veramente giovani, con opere esposte a prezzi abbondantemente sproporzionati (a Liste 5 anni fa si comprava un giovane a 2-3000 euro, oggi ne chiedono 10.000). Li ho visti però belli. Nel pieno del momento. Il loro momento. Che magari finirà come una sbiadita partecipazione al Festival di Sanremo degli anni ’90. Magari no. Vestiti da deficienti, come si conviene quando si hanno vent’anni. Con gli occhi pieni di entusiasmo.
Unilimited, la sezione delle opere giganti size matters, per me è sottotono quest’anno. Non mi ha stravolto come in altre occasioni, un giro lo si fa però davvero volentieri.
Il pellegrinaggio alla Fondazione Beyeler e affini me lo sono risparmiato. Son scelte di sopravvivenza.
Il punto quello vero, quello che un lettore immagino aspetti, è se ci sia davvero esposta la merce più bella possibile sul mercato mondiale. Se di merce vogliamo parlare, rispondo sì. Se di arte parliamo, è impressionante notare come, al netto del moderno che fa cassetto, la spremuta di arte concettuale e materiali domestici sia ancora la costante dominante. La bolla NFT ha fatto scomparire letteralmente l’arte digitale. Ho visto uno e dico soltanto un solo monitor in mostra. Segno che la direzione e le gallerie, anche quelle più spericolate come Nagel Draxler che qualche anno fa avevano sposato la causa, hanno preferito portare il culo a casa.
Lo comprendo e lo accetto, ma lo trovo abbastanza stanco come atteggiamento.
La verità è che i disegni, bellissimi, dello scomparso troppo presto Matthew Wong, dialogano meglio con le opere di Maria Lai esposte da M77 (in una sezione monografica) che altrove. E Wong era più giovane di me… Il tutto per riscontrare come il contemporaneo odierno sia, a conti fatti maniera. Una trovata raffinata per raccontare storie, più o meno riuscite. Meno si coglie, più facilmente la vendi. Questo è.
In ogni maniera, trovarsi davanti a un Rothko da Acquavella che viene 60 milioni di dollari fa sempre un certo effetto. Ancora di più in un’epoca dove i 4/5 del pianeta stramazzano. Non è un pensiero debole di sinistra, solo la constatazione di come ci si stia aggrappando a grandi opere del passato, sempre di più, come fossero ineguagliabili strumenti finanziari.
I wurstel continuano a costare troppo, e la struttura di Herzog & De Meuron forse qualche annetto lo dimostra anche lei. O forse sono io che non nutro lo stesso entusiasmo di una content creator che ha voglia di spiegare il pranzo dei poveri di Picasso sui social. A ognuno il suo mestiere, le sue passioni, il suo tempo. A me i social hanno rincoglionito, lo ammetto candidamente. Ero molto più sveglio prima.
Art Basel vale sempre una visita. Se l’arte sta in piedi, è anche per questo sistema: clientelare, massonico, un po’ vetusto, che comunque sia tutti noi continuiamo ad assecondare.
Chioso con una rimostranza alle autostrade svizzere: c’è più coda che per andare a Imperia.
Buona notte a tutti. Speriamo di risentirci presto.
Il Motel è aperto. Sempre.