A Thousand and One, al cinema il debutto del regista A. V. Rockwell, Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival 2023
A Thousand and One, vincitore del Gran Premio della giuria al Sundance Film Festival, si apre con l’immagine di Rikers Island, il gigantesco penitenziario di New York. È lì che incontriamo la protagonista, Inez (la cantante Teyana Taylor), mentre fa i capelli alla sua compagna di cella e sogna, un giorno, di avere un hair salon tutto suo. Il film si sviluppa a partire da questo contrasto: da un lato, una persona stanca, indurita dalla vita, ma spinta da un sincero desiderio di rivalsa e qualche speranza; dall’altro, la prigione, che non è solo Rikers Island, ma un’intera città, un’intera nazione retta da un sistema classista e razzista che annienta qualsiasi possibilità di redenzione. Quando esce di prigione, Inez non ha un soldo. Vorrebbe trovare lavoro o quantomeno un volto amico che la ospiti, ma il suo caratteraccio e i suoi trascorsi glielo rendono difficile. Suo figlio, Terry, è stato dato in affido quando è finita in carcere. Senza nessuna certezza se non quella di non volerlo perdere, Inez decide di rapirlo e ricostruirsi una vita da zero ad Harlem: che riesca a farlo così facilmente dimostra con quanta premura le autorità locali si occupino di bambini neri e abbandonati. Dopo questo inizio, ambientato nel 1994, il film segue la vita di madre e figlio all’interno di una New York in perenne movimento. Nel 2005, data in cui il film si chiude, il quartiere, come l’intera città, è cambiato radicalmente. Ma non cambia la sorte di Inez, che malgrado tutti i sacrifici, malgrado la sua incrollabile tenacia, si ritroverà costantemente il passato alle calcagna.
C’è tanto da ammirare nel debutto alla regia di A.V. Rockwell, ed è proprio per questo che le fragilità della sceneggiatura risaltano in maniera così evidente. Le idee ci sono, e sono espresse con forza e intelligenza. Così come non manca l’empatia: al contrario, la presentazione dei personaggi si caratterizza per una rinfrancante assenza di moralismo. Ma è proprio nella narrazione che il film non sempre funziona: l’impatto visivo e il talento degli attori non riescono sempre a mascherare una struttura debole e un ritmo talvolta zoppicante. Soprattutto, l’ultimo atto culmina in un colpo di scena di cui non si sentiva il bisogno e che porta la pellicola nel campo del puro melodramma, un genere per cui il film dimostra fin dall’inizio una certa propensione, ma accompagnandola a una tensione realistica opposta e altrettanto marcata. Il finale, invece, punta sulla commozione in un modo così ricattatorio da rischiare di scompaginare l’equilibrio dell’opera, e lascia senza dubbio un retrogusto spiacevole.
Tuttavia, sono i pregi del film a rimanere impressi nella memoria. Se la scrittura di Rockwell è ancora in parte acerba, lo stesso non si può dire della sua abilità come regista. A Thousand and One segna l’ingresso sulla scena di una voce sicura e promettente, capace di rielaborare svariate citazioni (impossibile non pensare a Crooklyn di Spike Lee) con spiccata originalità. Il suo occhio mette al centro di tutto la città, permettendole di stagliarsi come un vero e proprio personaggio più che come un’ambientazione. La trasformazione di New York, una città perennemente irrequieta, sempre alla ricerca di un progresso che si concretizza in gentrificazione e marginalizzazione, fa da filo conduttore all’intero film. La fotografia di Eric Yue e la splendida colonna sonora di Gary Gunn, chiaramente debitrice dei lavori di Quincy Jones, ammantano la Grande Mela di un romanticismo che stride con i discorsi di Rudy Giuliani e Michael Bloomberg, funzionali a scandire le vicende private dei protagonisti. Sono discorsi vuoti di persone che governano la città senza viverla e senza conoscerla. Inez, invece, la città la conosce fin troppo bene. Sa che è un mostro in perpetua crescita, incurante di chi riesce (o non può) starle dietro. Eppure continua a lottare indefessa, con un coraggio che rasenta la cieca ostinazione e che non può che suscitare la nostra ammirazione, anche quando le sue azioni sono lontane dall’essere condivisibili.
Teyana Taylor interpreta Inez con la ferocia e la vulnerabilità di un animale in gabbia. In un momento o due, una battuta appena troppo legnosa o una reazione un po’ troppo artificiosa, la sua inesperienza come attrice traspare, ma di fronte alla potenza della sua presenza scenica, queste pecche sono facilmente dimenticabili. E la coerenza con cui ritrae l’evoluzione del personaggio nel corso di oltre un decennio, cogliendone tutte le sfumature e contraddizioni, sarebbe impressionante anche per un’attrice più navigata. Se anche non ci fossero altri motivi validi, e per fortuna ce ne sono molti, la performance della sua star varrebbe da sola il prezzo del biglietto.