Venezia. Si chiude sabato 29 luglio il 17. Festival Internazionale di Danza Contemporanea, diretto da Wayne McGregor con oltre 150 artisti in 89 eventi
Quest’anno il direttore di Biennale Danza Wayne McGregor ha voluto intitolare il Festival Altered States, prendendo in esame quello stato d’animo particolare e prezioso che si prova prima che si alzi il sipario, quel momento in cui tutto è possibile. Quel momento che l’artista condivide con la platea, muta, che attende di vedere e incoraggia gli artisti al magico momento dell’entrata in scena. Per McGregor in questo momento ci si trova in uno stato fluido, uno stato di incoscienza beata in cui si avvertono sensazioni che provengono da dentro. In questo preciso istante, immerse nel flusso sanguigno, centinaia di sostanze chimiche attraversano il nostro corpo. Si tratta di sostanze chimiche naturali, che determinano il modo in cui pensiamo, sentiamo, parliamo e agiamo. Ecco che le connessioni tra il cervello, il corpo, la mente e il mondo si rimodellano, si trasformano. È il potere della danza, in grado di cambiare lo stato d’animo di chi la fa soprattutto, ma anche di chi la osserva con passione.
Il programma di Biennale Danza 2023 si è sviluppato in cinque aree tematiche: Live/Installazioni; Biennale Collage; Collaborazioni; Film e Incontri con gli artisti/Workshop; ha previsto 7 prime mondiali, 3 prime europee e 9 prime italiane, che includono tanto artisti già noti nel panorama della danza mondiale quanto voci emergenti innovative. Nell’arco di 17 giorni (dal 13 al 29 luglio), sono in scena a Venezia oltre 150 artisti in 89 eventi.
Tra questi è degno di nota MÁM di Michael Keegan Dolan, in prima italiana il 20 e 21 luglio al Teatro Malibran. Lo spettacolo è stato realizzato nel West Kerry Gaeltacht nel 2019 ed è nato dall’incontro di molte persone, sentimenti e fonti d’ispirazione. Il coreografo si rifà ad una sensazione provata mentre il sole tramontava lentamente nel vasto Oceano Atlantico. MAM in irlandese significa passo di montagna, che metaforicamente potrebbe significare come appunto un passaggio, un’esperienza di trasformazione. Quello che è stato rimandato al pubblico però risulta piuttosto confuso e confusionario in quanto dentro gli 80 minuti di spettacolo c’è di tutto. Un tutto visto dagli occhi di una bambina (la giovane figlia del coreografo e di una danzatrice della compagnia) che prima appare un po’ smarrita, ma poi viene coinvolta sempre più in quello che accade sul palco. Il sipario si apre su una strana scena che vede un uomo (Cormac Begley, virtuoso di concertina) con la testa di capro che suona la sua fisarmonica davanti alla bimba in abito bianco sdraiata su di un tavolo. L’uomo toglierà poi questa grossa testa e la bambina scenderà dal tavolino , mentre dietro di loro cade il telo sul fondale che mostra una lunga fila di persone, i danzatori, sistemati su sedie. Anche loro hanno una maschera che toglieranno per cominciare le danze. Danze frenetiche che si rifanno a quelle popolari irlandesi, ma non solo. All’interno del gruppo si leggono passioni, contrasti, amori etero e omo segnati da baci appassionati, abbracci, che spesso si trasformano in pugni e calci. Gli occhi della bimba vedono tutto senza dire nulla. La lettura di questa presenza in scena lascia adito a molte intepretazioni, la mia è quella di una vittima sacrificale (stile Le sacre du printemps), un’anima innocente che si affaccia alla vita fatta di cose belle e meno belle tutte da conoscere e affrontare. Alla fine salirà in alto avvolta da luce e fumi come in una simbolica ascensione.
Di tutt’altro stampo Vanishing Place di Luna Cenere, coreografa napoletana, che nel 2015 ha frequentato il Biennale Collega Danza, per poi lavorare con Simone Forti prima di far parte della compagnia di Virgilio Sieni. Lo spettacolo presentato il 21 e 22 luglio al Teatro Piccolo Arsenale è un lavoro sul sogno, sul ricordo e sull’evanescenza. I danzatori sono nudi avvolti da luci che ne offuscano i contrasti, portano grossi pezzi li legno (o cartone) che ne coprono il volto. I loro movimenti sono impercettibili. Si mettono in ginocchio lentamente posando i loro “fardelli”. Come 5 monoliti, i pannelli vengono poi sistemati sul fondo creando così 5 siparietti dai quali i danzatori, nascosti in due dietro uno stesso pannello, entrano ed escono alterando le loro forme (escamotage già usato da altri altristi come l’attore performer Antonio Rezza). In quesa creazione c’è una grande relazione con lo spazio che diventa palpabile. Luna Cenere vuole i corpi umani relazionati agli oggetti, continuando una ricerca sul dialogo tra il corpo nudo, la postura, e appunto l’oggetto. Diciamo però che trattandosi più di una performance che di uno spettacolo di danza contemporanea vera e propria cinquanta minuti sono troppi, venti sarebbero stati perfetti per una resa migliore.
Split dell’australiana Lucy Guerin si è dimostrata senz’altro la creazione migliore, in quanto davvero innovativa e interessante. Facente parte di un progetto speciale per Biennale Danza 2023 al Teatro del Parco di Mestre, è andato in scena il 22 e 23 luglio. Il lavoro coreografico della Guerin, acuto ed elegante, riflette i dilemmi della relazione con sé stessi e con gli altri in un mondo caratterizzato da una pressione crescente e da risorse ridotte. Sul palco solo due danzatrici, una completamente nuda e l’altra con in dosso un lungo abito azzurro. I loro movimenti, su uno spazio rettangolare circoscritto da un nastro adesivo bianco, partono in sincro su una musica a loop del compositore britannico Scanner. Via via le danzatrici con lo scotch restingono gli spazi continuando a danzare in rettangoli sempre più piccoli. Alla fine la danza si riduce a piccoli movimenti quasi una sull’altra. E’ chiaro che la loro relazione cambia: rabbia e passione si alternano sempre più. Ma possiamo parlare di due persone distinte o in realtà sono i due lati della stessa persona? La coreografa lascia spazio di interpretazione al pubblico. La lettura è libera. Il filo sottile che lega il brano, e che la coreografa tiene a sottolineare, è il tema della dualità.
Split esplora un mondo di divisioni. Nasceva per un gruppo più ampio che poi si è ridotto a due elementi, due danzatrici che la coreografa conosce molto bene. La riduzione dello spazio porta inevitabilmente ad acuire l’intensità della loro relazione, ma vuole significare anche una riflessione che va oltre al rapporto a due: la riduzione delle risorse del nostro pianeta che non ci lascia via d’uscita dalla sua inevitabile tragica traettoria.
Ad aprire la Rassegna Film Danza che si è svolta domenica 23 luglio al Teatro Piccolo Arsenale è stato 6.58: MANIFESTO di Andrea Peña, una pellicola riguardante un trittico coreografico in cui sei danzatori interagiscono con una macchina, una cantante d’opera ( la soprano Erin Lindsay) e una DJ per esplorare i concetti di artificio e artificialità nella realtà sociale dell’era postindustriale. Il tutto si svolge in un capannone che solo alla fine si scoprirà dove situato. I ballerini danzano senza tregua, all’inizio come automi che rispodono ad una voce esterna: devono andare ognuno nel proprio riquadro numerato, eseguendo passi ben precisi e sempre più veloci. Nel secondo brano indossano tute di plastica traparente che inevitabilmente li fanno sudare più del dovuto. Vi è un senso di costrizione anche in questo caso. Passerà un addetto alle pulizie a raccogliere le tute grondanti quando le toglieranno. Asciugato il copioso sudore riprenderanno a ballare, quest’ultima coreografia è totalmente diversa. I movimenti più tranquilli e fluidi li avvicinano amorevolmente gli uni agli altri, coppie di ambo i sessi si abbracciano, si sostengono a vicenda fino all’aprirsi di una grande porta che si affaccia sull’areoporto. La vista delle fusoliere degli aerei dà finalmente un senso di libertà ai danzatori, ma anche al pubblico. Anche in questo caso, il film risulta troppo lungo (81 min.). Se durava la metà era cosa solo apprezzabile.
Luna Cenere e Andrea Peña, sono le vincitrici dei bandi per nuove coreografie destinati ad artisti italiani e stranieri under 35. I bandi, alla seconda edizione per l’Italia e alla prima per l’estero, rientrano nel progetto pluriennale di commissioni e co-commissioni del Settore Danza della Biennale di Venezia, diretto da Wayne McGregor, a sostegno delle nuove generazioni di artisti.