È tempo di ricorrenze, sono cinquant’anni che Pablo è morto. Disegnarne il profilo, al re della matita e del pennello, suona un po’ male. Forse ne verrà fuori un ritratto cubista, una compenetrazione di piani con sovrapposizione di collage. Sì perché, mai come nel caso di Picasso, la vita e l’opera si intrecciano a comporre il portrait di un Ego con tendenza Cannibale, in perfetta sintonia con il mood del secolo breve specializzato in creazione di Io mostruosi, da Stalin a Hitler in giù. Non saltate sulla sedia, Pablo non ha sterminato milioni di persone, si è limitato al giro famigliare e, giudicato con il moralistico metro di oggi, sarebbe impiccato sul Pen(n)one più alto.
Ma, in virtù della compenetrazione cubista, il Cannibalismo di Pablo si è contemporaneamente rivolto all’Arte che ha consapevolmente distrutto inventando il canone della Bruttezza. Come le streghe di Macbeth, “Bello è il brutto e brutto è il bello…”. Fin qui le ombre, avanguardisticamente staccate dalla figura che le anima, ora le luci, altrettanto importanti a comporre il portrait di una delle personalità più ciniche, affascinanti e geniali del novecento.
Ricordo la bellissima mostra alla Fondazione Beyeler, Picasso – Périodes Bleu et Rose, opere dal 1901 al 1906.
In quei pochi anni un ventenne e febbrile Picasso divora, mastica e ribalta tutti i canoni, sopravanzando l’esotismo di Gauguin e l’intellettualismo di Cézanne, su fino al Primitivismo di ispirazione afro-oceanica, alle soglie delle Demoiselles d’Avignon del 1907. Il Maestro poteva fermarsi lì, era già tutto tracciato, la breccia aperta a tutte le avanguardie. Tutto il resto è noia e infatti divorerà ogni declinazione avanguardista e modernista con sorprendente prontezza, spesso facendone il verso, mostrandosi sempre un passo avanti a tutti e creando legioni di picassini dalle infinite variazioni del cubismo in poi. Insomma, per dirla un po’ brutta, un sodomizzatore seriale. Questi i veri “cornuti della vecchia arte moderna”, come amava definirli Salvador Dalí, il solo contraltare a Pablo – e l’unico insieme a De Chirico – a cui Picasso non ha fatto il verso.
Con la fine della seconda guerra il mito di Pablo si rinnoverà con l’engagement politico di cui diverrà l’alfiere con Guernica, forse la sua opera più nota e apprezzata dal grande pubblico e, fra un ritratto di qualche ricca damazza effigiata con il naso a destra e l’occhio a sinistra e svariati arlecchini sempre realizzati con un tocco di maestria, prolungherà la sua prodigiosa vena creativa e sessuale, fisica ed intellettuale, generando un’infinità di infelici cloni. Poi, con l’avvento dell’era americana, verrà cristallizzato nell’Olimpo dei maestri, le quotazioni delle sue opere diverranno stellari, ma la sua potenza fecondatrice perderà via via forza, anche per raggiunti limiti di età.
Ci ha lasciato in eredità un’infinità di opere, disegni, poterie, incisioni, tauromachie, financo una Citroen Picasso e anche qui, precorrendo i tempi, la bulimia di griffare artisticamente la qualunque.
Compenetranti saluti
L.d.R.