«Se tutti i disegni tornassero a casa ripiegandosi l’uno sull’altro e nel guardarsi ripercorressero le trame del tempo; a quale tempo riandrebbero? In quale delle tante geografie della carta individuare i confini?»: sono le domande di Omar Galliani (Montecchio Emilia, Reggio Emilia, 1954) che possono aiutarci a decifrare le assonanze che si riverberano tra le oltre 100 opere, dalla fine degli anni Settanta ad oggi, riunite nella sua personale “Diacronica. Il tempo sospeso” nella sale di Palazzo Reale, a Milano.
La mostra (aperta fino al 24 settembre, con ingresso gratuito), a cura di Flavio Caroli e Vera Agosti, promossa da Comune di Milano-Cultura, prodotta e organizzata da Palazzo Reale e Archivio Omar Galliani, si configura come «un excursus attraverso i lavori di Galliani presentati nelle Biennali di Venezia, Parigi, San Paolo, Praga, Tokyo, Pechino, nell’ambito di mostre museali, con l’aggiunta di una selezione di inediti, realizzati appositamente per l’esposizione milanese. Oltre ai disegni, calati nel nero scintillante della grafite e veicolati nella dimensione intima della carta o nella monumentalità della tavola di pioppo incisa o graffiata, sono presenti in mostra anche alcune opere ad olio su tela che, nonostante la scelta radicale del disegno, l’artista ha dipinto negli anni Ottanta e, a seguire, ogni inverno, dando vita ad una sola grande opera pittorica all’anno, quando la neve cade sulla pianura padana», hanno ricordato gli organizzatori.
«Il titolo della mostra – Diacronica – è mutuato dalla linguistica e si riferisce allo studio delle lingue nel loro sviluppo storico. Il sottotitolo – Il tempo sospeso – allude alla resistenza del fare dell’artista, che in un mondo sempre più digitalizzato e smaterializzato, sostiene la bellezza della fisicità dell’opera d’arte».
L’artista, hanno proseguito, «crede nell’eternità del disegno, che sopravvive al suo creatore e resiste nel tempo. Un “disegno infinitissimo”, che diventa opera unica, assoluta, immensa, che dispone di un proprio tempo, dilatato come le sue dimensioni, che si fa religione e viene “recitato” quotidianamente come un mantra; un disegno che l’artista ha saputo reinventare e rinnovare». Di tutto questo abbiamo parlato con Omar Galliani nell’intervista qui sotto.
Come è nata questa mostra e in che modo racconta il tuo percorso artistico?
«”Diacronica” nasce da un invito del Direttore di Palazzo Reale, Domenico Piraina, di alcuni anni fa e che oggi vede la luce dopo una lunga progettazione, considerando la vastità degli spazi e delle opere da reperire. Non è un’antologica, ma un attraversamento temporale al di là del tempo. Opere recenti di grandi dimensioni messe a confronto con imponenti dipinti o disegni che hanno segnato tappe fondamentali del mio lavoro come Biennali, Triennali, Quadriennali, tra Oriente e Occidente».
Che cosa è per te il disegno e che rapporto hai con questa pratica?
«Ho sempre disegnato. Le mie prime mostre, da Norimberga (Prima Triennale internazionale del Disegno, 1977), a Bologna (Galleria G7, 1977) e Milano (“Nuova Immagine”, Triennale di Milano, 1980), tutte collocabili sul finire degli anni ’70, sono legate al disegno. Negli anni ’80, con le Biennali del 1982, 1984 e 1986, la pittura è subentrata nel mio lavoro con forza, senza escludere il disegno di grandi dimensioni, che dalla fine degli anni ‘80 ha definito, fino ad oggi con “Diacronica”, il mio lavoro, pur mantenendo una sola volta all’anno, in inverno, la realizzazione di un grande dipinto a olio».
Secondo te come si colloca il disegno nell’arte contemporanea?
«Ho riscattato il disegno dalla sua condizione di studio per opere maggiori, restituendogli l’importanza che merita, partendo dalle affermazioni già enunciate nel Rinascimento da Leonardo e altri artisti. Il disegno è fondamento. Il mio disegno di dimensioni ‘spericolate’ gli ha conferito una nuova immagine, traghettandolo dal foglio alla tavola con l’uso di una semplice matita di grafite. Il disegno oggi corre sulla bocca di tutti e di quanti seguono la contemporaneità degli eventi espositivi. Insegnando per tanti anni in Accademia, posso confermarti che la domanda di Disegno da parte dei giovani è in grande aumento».
Hai partecipato a diverse Biennali (tra le quali si contano tre partecipazioni alle Biennale di Venezia e una a quella di San Paolo), hai avuto numerose mostre di livello internazionale e nella tua carriera c’è anche un autoritratto commissionato dalle Gallerie degli Uffizi. Che storia raccontano i tuoi disegni riuniti qui ora?
«Ci sono state anche le Biennali di Parigi, Pechino e Praga. Gli Uffizi, prima ancora della commissione del mio autoritratto da parte del direttore Eike Schmidt, avevano già presentato e acquisito nel 2008 Notturno, un trittico interamente a matita di cm. 300×670, oggi esposto nelle sale antistanti le raccolte dei disegni della Galleria Nazionale degli Uffizi. Il filo di Arianna che unisce questo lungo viaggio è il Disegno, un dipanarsi lento o veloce lungo le geografie del mondo. Il disegno non è mai …finito ma …infinito».
A quali progetti espostivi e non stai lavorando?
«Sta uscendo un nuovo libro Lamberto Fabbri editore che presenteremo a settembre a Palazzo Reale. Uno scambio di domande e risposte con l’amico poeta Davide Rondoni e altri affermati interlocutori sulla permanenza e sopravvivenza del “segno” nell’epoca della digitalizzazione. Ad ottobre, in occasione delle celebrazioni del centenario della nascita di Franco Zeffirelli, nella Fondazione omonima di Firenze realizzerò un’installazione ispirata alla Butterflay di Puccini, un compendio di disegno, musica e luci. A Parigi, nel prossimo mese di marzo 2024, al Grand Palais, presenterò un nuovo ciclo di disegni, Uscite dal bordo, a cui sto lavorando».