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Max Ernst pittore, scultore, filosofo e poeta tedesco. La retrospettiva a Milano

Edipus Rex, 1922 Olio su tela, 93 x 102 cm Collezione privata, Svizzera Album / Fine Arts Images / Mondadori Portfolio © Max Ernst by SIAE 2022
Edipus Rex, 1922
Olio su tela, 93 x 102 cm
Collezione privata, Svizzera
Album / Fine Arts Images / Mondadori Portfolio © Max Ernst by SIAE 2022

Si apre a Milano il 4 ottobre una grande retrospettiva dedicata a Max Ernst (Brühl, Germania, 2 aprile 1891-Parigi, 1° aprile 1976), pittore, scultore, filosofo e poeta tedesco

Non sappiamo se Max Ernst sia stato il più importante pittore del XX secolo, come sosteneva il filosofo Claude Levi-Strauss e neanche se abbia dato «un calcio nel sedere alla pittura e ficcato un dito nell’occhio della storia» come affermava nel 1949 Man Ray per sottolinearne la carica eversiva. Certamente fu uno dei più grandi, spiazzanti, liberi. Un surrealista, passato attraverso il movimento dada. Figlio di un insegnante per sordomuti, aveva studiato filosofia all’Università di Bonn, ma sin dal 1912 si era dedicato all’arte fondando con l’amico August Macke “Das Junge Rheinland” (La giovane Renania). 

Due soggiorni a Parigi, nel 1914 e nel 1920, lo mettono a contatto con i movimenti di avanguardia della capitale, con artisti come André Breton e Paul Eluard. Le sue simpatie per il surrealismo, per il mondo dell’inconscio, in linea anche con i suoi studi filosofici, erano già chiare sin dall’inizio, come notava Marcel Duchamp nel 1950: «Tra il 1918 e il 1921 i suoi dipinti, disegni, collages, che descrivevano il mondo dell’inconscio, precorrevano già il Surrealismo». Ernst minava alla radice il concetto tradizionale di pittura, basata su forma, colore, per sostituirlo con un’idea più ampia di creatività che riesca ad esprimere ciò che ciascuno- l’artista compreso -sente e vuole nel profondo. Niente di studiato o preordinato, ma solo impulsi dall’inconscio, espressi con nuove tecniche come collage, frottage e altro.

Da quelle indagini nello spirito, scavato con tensione, rigore, su linee anticonformiste, non sempre facili da capire, nasce il mondo di Max Ernst, un mondo colorato, nuovo, intrigante, di grande bellezza, che in certi tratti ricorda le “diavolerie di Bosch”, come aveva notato a ragione André Chastel. Lo racconta la mostra milanese, a cura di Martina Mazzotta e Jürgen Pech, con oltre 400 opere tra dipinti, sculture, disegni, collages, fotografie, gioielli, libri illustrati, provenienti da musei internazionali, dalla GAM di Torino alla Tate Gallery di Londra, dalla Peggy Guggenheim Collection di Venezia alla Fondazione Arp di Berlino a tante altre sedi. 

La rassegna ripercorre vita e opera di Ernst, lungo settant’anni, due guerre, amori e matrimoni, in quattro grandi periodi divisi in nove sale tematiche. A corredo si dipana l’ideale biblioteca dell’artista, composta di libri illustrati, manuali per lo studio, fotografie, oggetti e documenti. All’ingresso un capolavoro, l’Œdipus Rex del 1922, che risente di esperienze precedenti come la metafisica di De Chirico, ma soprattutto dell’incontro a Parigi con Paul e Gala Eluard, Tzara e Breton. Un’opera dall’architettura appena accennata, sproporzionata rispetto agli oggetti che contiene: dita, noce, frecce, tubi, spuntoni, frecce, uccelli con significati moralistici proprio come certi quadretti fiamminghi. 

Le nove sale della mostra

Poi le nove sale che ripercorrono la biografia. Le prime: La rivoluzione copernicana; All’interno della visione, riguardano gli anni  1891-1921, della giovinezza in Germania, con la prima guerra mondiale e le esperienze dadaiste;  subito dopo La casa di Eaubonne,  Eros e metamorfosi trattano il  periodo francese con la ricostruzione con frammenti originali della casa in cui l’artista visse il ménage a tre con Gala e Paul Éluard; indagano il ruolo dell’amore e dell’amicizia nell’opera di Ernst, l’affermarsi del surrealismo, i viaggi, la seconda guerra mondiale, la prigionia come “artista degenerato” sino all’ esilio negli Stati Uniti. Le successive, I quattro elementi; Natura e Visione; Il piacere di creare forme-il piacere dell’occhio, ripercorrono il periodo newyorkese,1941-1952, con l’amore per Dorothea Tanning, il trasferimento a Sedona in Arizona, l’interesse per la natura e il paesaggio. Le ultime, 1953-1976, Memoria e meraviglia; Cosmo e crittografie, riportano l’artista in Europa con opere di diversi periodi, che indicano come il ritorno al passato possa diventare fonte di ispirazione anche per un artista dissidente come Ernst, che finisce per far dialogare arte e scienza in nuovi scenari cosmici.

Tra le opere di maggiore impatto, l’olio su tela con L’angelo del focolare del 1937, un dipinto surrealista degno di Bosch. Come il Guernica di Picasso è ispirato dalle atrocità della guerra civile spagnola: «La dipinsi dopo una sconfitta dei repubblicani» dirà Ernst. La potenza distruttrice della guerra è rappresentata da una mostruosa figura allegorica, che si erge minacciosa sull’umanità per distruggerla. Come poi è avvenuto.

 

L’angelo del focolare, 1937
Olio su tela, 114 x 146 cm
Collezione privata, Svizzera Classicpaintings / Alamy Stock Photo © Max Ernst by SIAE 2022

 

Max Ernst

Milano, Palazzo Reale
4 ottobre 2022-26 febbraio 2023

A cura di Martina Mazzotta e Jürgen Pech (catalogo Electa)

Orari: lunedì chiuso, martedì, mercoledì, venerdì, sabato, domenica: 10-19.30; giovedì: 10-22.30
ultimo ingresso un’ora prima della chiusura.

www.palazzorealemilano.it

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