Quale migliore occasione per parlare del lavoro di Christian Tagliavini della mostra che Camera Work di Berlino gli ha dedicato (dal 24/06/23 al 19/08/23), intitolata “Christian Tagliavini: the Photographic Craftsman”: una antologica in cui sono presenti alcuni dei lavori più iconici dell’artista
Il fotografo, che risiede in Ticino, è stato definito un artista-artigiano, infatti Tagliavini è sia lo sceneggiatore che il regista che studia, definisce e realizza in ogni minimo dettaglio scene, costumi e composizioni di cui lo scatto fotografico è la parte conclusiva che immortala anche il lungo lavoro manuale dietro ogni immagine. Un’interpretazione fresca ed elegante che trasporta i soggetti, spesso dallo sguardo insondabile, in atmosfere venate da un surrealismo che prende vita dai viaggi immaginifici di Tagliavini che ha saputo elaborare visioni affascinanti e avvolgenti che portano la sua firma inconfondibile.
“Inizialmente, mi racconta Tagliavini, ho provato a muovermi in diverse discipline legate alla fotografia ma alla fine ho voluto concentrarmi sulla mise en scène affascinato dall’idea di poter quasi congelare con il mezzo fotografico storie che volevo raccontare, che rimanessero aperte all’interpretazione dello spettatore.” Certo queste elaborate scenografie richiedono non poco tempo, e infatti conferma Tagliavini “Quando vengo chiamato per un lavoro di magari 9 immagini, io ci impiego un anno e mezzo, perché il mio lavoro lo costruisco da solo”. Insomma è tutto frutto della sua mente visionaria. Un lavoro sartoriale a tutti gli affetti “Ancora oggi mi chiedono dove trovo i costumi“ ammette l’artista.
Un artista dedito al suo lavoro, che definisce quasi come una “vocazione”, profondamente innamorato del medium fotografico e al contempo molto critico con sé stesso, altro motivo dell’eccellenza delle sue opere, perché, anche se ogni scatto necessita di una lunga preparazione, fino a quando l’artista non è convinto che il suo lavoro sia in linea con quanto aveva progettato, l’opera non vede la luce. Esaminate i costumi e le scenografie, sono esito di un alfabeto espressivo che rende Tagliavini riconoscibile pur nel cambiamento da serie a serie. A tal proposito dichiara infatti “Considero Erwin Olaf un maestro perché ha saputo diversificarsi rispetto a molti altri artisti della mise en scène che dopo il successo di una serie hanno continuato sulla stessa strada: Erwin Olaf ha saputo cambiare anche se non tutte le serie hanno avuto lo stesso successo. Ed è quello che sto cercando di fare anche io, essere riconoscibile pur cambiando sempre, nella difficoltà di spaziare ad esempio dal tema rinascimento al quello del circo. L’impronta di Tagliavini è ben riconoscibile, “Forse, dice lui, perché faccio tutto io, fondi, scenografie, etc per questo comincio ad avere un mio carattere distintivo”. E prosegue “Sono uno vecchia maniera, delegare e far fare agli altri mi toglie il bello, mi toglie il divertimento, mi sarebbe piaciuto molto poter imparare a cucire ad esempio”.
Le prime serie sono ispirate a Erwin Olaf, seguendo esplicitamente le sue tracce, nascono così “Aspettando Freud“ e “Cromofobia” definite dallo stesso artista come propedeutiche. Da quel punto in poi Tagliavini ha affinato il suo stile e intrapreso una strada che lo rende oggi uno degli artisti più raffinati ed eleganti nel vasto panorama della mise en scène. La serie “Dame di cartone” (2008) è nata mentre Tagliavini stava lavorando a “Cromophobia”: in quel momento l’artista si avvaleva della collaborazione di una sarta, perché i costumi di “Aspettando Freud“ erano stati comprati e riadattati. Poi Tagliavini si è reso conto che voleva un quid in più che personalizzasse maggiormente il suo lavoro, “Casualmente, racconta l’artista, avevo visto delle carte da parati su una rivista e mi sono detto voglio farlo anche io! e allora ho cominciato a realizzare le wall paper e anche i primi vestiti, ad esempio i vestiti anni ’50 di “Cromofobia“ sono realizzati ad hoc”. E prosegue “Un giorno avevo comprato del tessuto a caso sul mercato e lo avevo portato da questa sarta che collaborava con me, che mi disse in dialetto “ma non possiamo farci dei vestiti con questo tessuto, è cartone!” da quell’affermazione ho avuto la fulminazione: perché non realizzo costumi e abiti in cartone? Così posso farli io! e da lì, dalla frase “questo tessuto è di cartone”, è nata la serie “Dame di cartone” (2008) in cui Tagliavini realizza da sé gli abiti cartonati delle modelle. Questo progetto si esplicita attraverso una serie di ritratti di donne in posa in cui l’artista si muove tra 17esimo secolo, Cubismo e anni ’50.
Nella seria “Carte”, del 2012, Tagliavini ha voluto realizzare “le sue carte da gioco” (pur non giocando a carte). In questi lavori si incontrano fotografia e grafica, per far intersecare la bidimensionalità dei vestiti con la tridimensionalità dei corpi.
Con “1503” (2010) l’artista rivisita l’atmosfera rinascimentale con una serie di ritratti a dir poco originali, tra pittura, moda, sartoria e fotografia “Dalla mia grossa passione per la pittura, racconta Tagliavini, ho voluto fondere due pittori di epoche diverse che mi piacciono molto, uno è Agnolo Poliziano, detto il Bronzino, nato nel 1503 e Modigliani con i suoi colli allungati. “1503, prosegue l’artista, è la mia serie più riconoscibile, non ho scelto bellezze canoniche, perché quando vedo una persona vado oltre i canoni dell’estetica che prevale al giorno d’oggi, sono un’osservatore. Inoltre non ho fatto uso di photoshop per allungare i colli e ancora oggi mi chiedono come ho fatto! I tessuti per la serie li ho cercati in giro ma non con facilità e dal rinascimento ho tolto tutto quello che era pomposo, l’ho svecchiato, è molto pulito, modernizzato”.
Così anche per la serie “1406”(2017) altrettanto raffinata. L’ispirazione è venta all’artista visitando una mostra di Filippo Lippi e del figlio Filippino Lippi, che vedeva esposti i primi ritratti del 1400 non solo di personaggi della Chiesa ma anche di nobili. E’ di questa serie il primo nudo realizzato da Tagliavini, “Tolemaide”.
Con “Voyages Extraordinaires” (2014) e “ Voyages Extraordinaires-L’attente” Tagliavini esplora il tema del viaggio, ispirandosi ai romanzi di Jules Verne di cui Tagliavini aveva un ricordo di quando era bambino “Per cui, racconta, non ho voluto essere contaminato nel ricordo, e ho riletto i libri solo dopo aver realizzato la serie. Nella mia testa da bambino prendevo un ascensore e andavo al centro della terra e da lì ho creato la mia versione, quanto emergeva dai miei ricordi da bambino che viaggiava con la fantasia. Ho anche coniato dei nomi che non esistono, come la “topofonista” che maneggia questo attrezzo che ho creato rifacendomi al topofono che veniva usato in guerra per ascoltare le linee nemiche e ho fatto come se questa topofonista dal centro della terra ascoltasse cosa ha da dire la terra. Oppure “L’ovomachiniste, che mostra un uomo girato verso la macchina da presa che scruta da un oblò, verosimilmente di un sottomarino. In questa serie ho raccontato molto, altre serie le lascio raccontare allo spettatore, mi piace inserire piccoli dettagli nascosti pur lasciando la storia aperta perché non mi piace rivelare tutto”.
La serie più recente, che ha riscosso successo e consensi, è “Circesque” (2019/2021), nella quale Tagliavini affronta un tema, quello del circo, spesso affrontato da molti autori, che gioca sull’eterna ricerca di equilibrio nell’esistenza, come narra l’artista “Molti numeri del circo sono basati sull’equilibrio, ho tolto elementi come i pagliacci che non mi interessavano. Con la serie “Circesque” ho creato qualcosa slegato dal tempo, ambientato in un’ epoca totalmente fantastica utilizzando un trucco molto forte sulle modelle.” La giocoliera” è sicuramente uno degli scatti più significativi della serie: nel fare il numero con dei boccetti di profumo, fallisce facendone cadere uno, e Tagliavini ha realizzato uno scatto perfetto che è un fermo immagine anche sull’espressione del viso della protagonista, che, in una frazione di secondo, capisce di aver fallito il numero. “Tutte le mie foto sono introspettive, racconta l’artista, questa forse in senso più ampio, come a dire che “ basta un attimo per sbagliare”, e in fondo il gioco della vita è così.
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