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Progetto (s)cultura XXII: Emanuele Stifano, la storia è una finzione

Emanuele Stifano
Nel mondo occidentale, Il fanciullo divino è perlopiù un trovatello abbandonato. Egli corre spesso pericoli straordinari: di essere perseguitato come Eracle, dilaniato come Dioniso, inghiottito come Zeus. In Oriente è tutta un’altra storia. Buddha, il risvegliato, nasce cosciente e con un corpo perfetto e luminoso e dopo appena sette passi afferma: “Per conseguire l’Illuminazione io sono nato, per il bene degli esseri senzienti”. A questa figura si ispira, probabilmente, Natura, il bimbo di Emanuele Stifano rannicchiato su sé stesso, con una sfera tra le mani, in un momento di ascolto e di meditazione. Non dunque una figura narrativa, ma un simbolo. Tutto è già scritto, e la storia è una finzione. Ne parliamo in questa XXII puntata di Progetto (s)cultura.

Nelle tue creazioni recenti ricorrono sovente figure infantili. Nostalgia per l’infanzia perduta?
Non si tratta di nostalgia, ho scelto di scolpire figure infantili perché in esse ritrovo la purezza e l’innocenza che cerco. Sono infatti opere ispirate a un’idea di armonia ed equilibrio tra l’uomo e la natura, quella stessa armonia che cerco nei miei spazi, nel mio laboratorio in campagna, con un’alta montagna alle mie spalle e il mare poco distante, immerso nel silenzio. Vogliono essere inoltre un invito a prendersi cura di sé e di ciò che ci circonda. Sicuramente l’essere padre di quattro figli piccoli è stato fonte di ispirazione.

La spigolatrice di Sapri. Bronzo. H.cm 175

Le tue sculture non sono mai realistiche. Prevale un senso di levigatezza, di astrazione.
Quello che cerco non è infatti il realismo ma un’estetica pulita, quasi spirituale, alla quale mi sforzo di pervenire anche attraverso la levigatura paziente e profonda del marmo bianco. Nelle mie opere l’anatomia è talvolta sintetizzata, a volte le forme sono semplificate e idealizzate per arrivare a una figura la più eterea possibile.

La tua prima opera che mi è capitato di vedere, la Spigolatrice di Sapri, ha sollevato molte polemiche. Cosa pensi del dibattito che ne è derivato?
In seguito alle polemiche sorte e al dibattito che ne è seguito sui media, dal quale mi sono volutamente astenuto, la Spigolatrice è diventata la mia scultura più famosa. Ritengo che l’arte in generale sia la più grande manifestazione di libertà, che non deve conoscere limiti o censure nelle sue espressioni. Va bene quindi il dibattito attorno ad un’opera, ma sarà solo il tempo a stabilirne la giusta rilevanza.

Logos (Verità). Marmo Statuario. H.cm 120

Sei, a quanto si dice, molto lento. Potresti descrivere il tuo modus operandi?
Cerco di prendermi tutto il tempo necessario per portare a termine le mie opere senza preoccuparmi della durata del lavoro. Sono sicuramente una persona molto pacata e riflessiva, e mi approccio alla scultura in maniera quasi meditativa. Lavoro da solo, mi occupo personalmente di tutte le fasi del processo, che svolgo completamente a mano. Prima di approcciarmi al blocco di marmo, realizzo un piccolo bozzetto, che spesso però non è vincolante nella realizzazione dell’opera, ne restituisce solo l’idea; a volte, infatti, mi lascio guidare dall’istinto e dalla materia: nasce così una scultura libera, che prende vita giorno dopo giorno attraverso un rapporto profondo e passionale con il marmo.

Il marmo è il tuo materiale d’elezione. Di recente, però – penso a una scultura, Echoes, in mostra a Maiori sino a ottobre nella mostra Onyria. Omaggio ai Pink Floyd – hai contaminato la sua aulica purezza con le tessere auree: elementi altrettanto nobili ma più decorativi.
Questo tra il marmo e l’oro è un incrocio avvenuto naturalmente: la mia compagna si occupa infatti di mosaico artistico. Ho voluto contaminare la scultura col mosaico e ho scelto le tessere oro, storicamente ricche di una simbologia profonda, poiché ritengo che il mosaico aggiunga fascino alla scultura senza intaccarne essenza; l’oro non prevale sul marmo bianco, anzi lo esalta grazie ai giochi di luce che crea, è come una seconda pelle che interagisce con la luce.

 

Come sei diventato artista? Cosa è stato determinante?
Il mio non è stato un percorso accademico, tutt’altro; ho studiato da geometra e fatto diverse esperienze lavorative, pur coltivando nel tempo libero la passione per l’arte figurativa. Quando ho messo le mani su un piccolo pezzo di marmo per realizzare, con attrezzi di fortuna, un bassorilievo, ho capito che avevo trovato la strada giusta da percorrere. A trent’anni mi decisi ad acquistare un blocco di marmo di otto tonnellate e a cimentarmi nella realizzazione della mia prima scultura: il Martirio di San Bartolomeo. In quegli anni di studio da autodidatta, di sperimentazione e di ricerca, in solitudine e senza il comfort di un laboratorio, ho appreso la tecnica, scoprendo e utilizzando gli attrezzi della tradizione. Questa prima opera, alla quale ho dedicato molto tempo, adesso accoglie i visitatori all’ingresso del mio studio. Se la scultura è diventata il mio lavoro, lo devo alla perseveranza e all’intuizione di quei primi anni appassionati.

Chi sono, tra i classici, maestri che hanno influenzato la tua arte?
Ovviamente ciò che facciamo non può prescindere da ciò che è venuto prima di noi; ho studiato con attenzione soprattutto i “non finiti” di Michelangelo, per comprendere il suo modo di scolpire, i suoi strumenti e il come farne uso; ne sono rimasto fortemente influenzato. Tra gli altri, Adolfo Wildt è stato, e continua ad essere, un faro.

E tra i contemporanei?
Il rapporto che ho con la scultura è molto intimo; mi appassiona osservare ciò che mi circonda e conoscere sempre nuove realtà. Credo di essere influenzato più dalle energie che ritrovo in alcuni scultori contemporanei che da ciò che producono.

Vivi e lavori in Campania. Non ti senti un po’ isolato rispetto al cuore pulsante del sistema?
Vivo e lavoro in un piccolo paese dell’entroterra cilentano, che pur dandomi tanto come tranquillità, serenità e bellezza, mi toglie anche molto dal punto di vista relazionale. Vivendo qui è sicuramente più difficile tessere rapporti con clienti e colleghi, e questo mi mette ogni giorno davanti a una nuova sfida.

Che idea ti sei fatto della scultura italiana di oggi, è viva o morta?
La parola scultura oggi racchiude tante tecniche e materiali. Dal mio punto di vista la scultura rimane l’arte del togliere, essa è viva, praticata ancora da tanti scultori, anche giovani, e va difesa e insegnata.

Quali sono la tua opera e la tua mostra cui ti senti più legato?
Sono due le opere cui sono particolarmente legato: anzitutto il mio primo San Bartolomeo, perché ha rappresentato l’inizio della mia carriera e mi ha accompagnato per diversi anni nella sperimentazione. L’altra opera cui tengo molto è Verità, il mio primo fanciullo, appartenente al trittico “Logos”, che ha aperto la fase più intima della mia ricerca artistica. La scultura è stata esposta al Mart di Rovereto nella mostra Canova tra innocenza e peccato, curata da Beatrice Avanzi e Denis Isaia, ideata dal presidente Vittorio Sgarbi in occasione del bicentenario della morte del maestro. Una mostra che ha messo in dialogo fotografia e scultura contemporanee con capolavori di Antonio Canova. La mia mostra cui sono, al momento, più legato è di sicuro questa.

A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?
Ho due pezzi di marmo che mi aspettano in studio, uno più piccolo che mi rievoca le proporzioni del mio ultimo figlio. Probabilmente, dopo essermi ispirato già ai primi tre, mi concentrerò sul più piccolo, scolpendo così un nuovo bambino.
L’altro blocco, piuttosto informe e di dimensioni più grandi, deve ancora essere ripulito da alcune lesioni; cercherò poi suggerimenti, forme, da quello che mi resta. È mia intenzione mettere insieme le opere realizzate negli ultimi anni in uno spazio unico che possa accoglierle ed esporle al pubblico.

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