“BurriRavennaOro”, ovvero cento opere dagli anni cinquanta ai novanta, mostrando il rapporto con la capitale dell’arte bizantina e del mosaico del grande Alberto Burri
A Ravenna, nel 1988, nel refettorio dell’omonimo complesso di San Vitale si tenne la mostra personale di Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza 1995), a cura Claudio Spadoni, intitolata “Neri a San Vitale”, dove si esposero sei dipinti ad acrilico e in cellotex tutti della stessa dimensione (101×167), che dopo trentacinque anni sono tornati al museo d’Arte della di Ravenna in occasione della retrospettiva intitolata “BurriRavennaOro”.
Prima di addentrarci nel racconto della mostra inagurata a pochi giorni a Ravenna, è necessario ricordare che queste opere fanno parte del progetto di realizzare la serie Il Nero e l’Oro (1991-1992), che doveva includere 10 opere, commissionate da Raul Gardini e dal Gruppo Ferruzzi; un ambizioso progetto nominato non a caso “Ravenna e Bisanzio” (1991). Questo progetto è rimasto nel cassetto, ma la mostra al refettorio di San Vitale ha aperto una riflessione sul dialogo tra Burri sulle grandi decorazioni musive delle basiliche di San Vitale, di Sant’Apollinaire Nuovo, di Sant’Apollinaire in Classe e in altri templi ravennati, e portato Burri alla realizzazione dei dipinti in cellotex ,acrilico e oro in foglia d’oro nella serie Il Nero e l’Oro, dieci opere (169×241,5 cm ciascuna) situate dall’artista in uno degli undici Seccatoi della Fondazione Burri a Città di Castello, dove sono tuttora esposti.
Fatta questa necessaria premessa si comprende il lavoro filologico e storiografico sotteso nella mostra “BurriRavennaOro”, inserita nell’ambito della VIII Biennale di Mosaico Contemporanea, ospitata al MAR Museo d’Arte, a cura di Bruno Corà, dal 2013 presidente della Fondazione Burri di Città di Castello (fino 14 gennaio 2024).
Burri dal 1990 collabora con il Gruppo Ferruzzi, e a Ravenna ha realizzato nella piazza del Palazzo delle Arti e dello Sport Mauro De Andrè, il Grande Ferro R, una scultura ambientale dipinta di rosso minio, accanto all’edificio commemorativo del Danteum di Giuseppe Terragni, dagli archi continui, angolati, a carena di nave su base circolare, come evocazione al porto della città. Ed è proprio con il plastico e i bozzetti di questa scultura che si apre al MAR il percorso espositivo della mostra, organizzata grazie alla sinergia tra enti pubblici e privati (Comune di Ravenna Assessorato alla Cultura e Mosaico, Assessorato al Turismo, Fondazione Palazzo Albizzini Collezioni Burri, MAR Museo Arte città di Ravenna e il sostegno del Ministero del Turismo per la valorizzazione di Ravenna Città Mosaico, della Regione Emilia Romagna, della Fondazione Gardini, della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e di Romagna Acque Società delle fonti ), volta a dimostrare quanto i mosaici di Ravenna hanno inciso sulla pratica artistica di Burri, la sua ricerca extrapittorica e l’universalità del suo operare in rapporto al suo tempo e cultura.
Tornando alla grande scultura, nella prima sala del museo sono esposti bozzetti che documentano l’inserimento della struttura, davvero impattante nella piazza, commissionato da Ferruzzi per l’Arte/ Un progetto A.A.M Architettura Arte Moderna di Roma, di cui avevamo dimenticato finalità e intenzione di legare architettura e arte con il fine di promuovere il rapporto interdisciplinare tra le diverse forme artistiche. Burri grazie Ferruzzi ha realizzato per Ravenna alcuni importanti cicli pittorici, come San Vitale, grandi Cellotex dipinti in acrilico di color nero, e preziose opere grafiche sull’invito dell’amico poeta Emilio Villa, di straordinaria energia cromatica, a creare copertine per il suo componimento 17 variazioni su temi proposti per una pura ideologia fonetica (1955).
Nella stessa sala, è una chicca assoluta la visione del modello architettonico (33x121x116cm) di Ravenna a Bisanzio (1991), il visionario progetto commissionato a Burri per riconfigurare i portici urbani della Ferruzzi Finanziaria di via Diaz e vicolo degli Ariani nel centro storico di Ravenna, con la direzione scientifica di Francesco Moschini A.A.M Architettura Arte Moderna.
La seconda sala è una rivelazione di ricostruzione filologica dell’inserimento di foglie d’oro in progetti di grafica dagli anni ’50 e opere grafiche che hanno consentito a Burri il premio Nazionale dei Lincei per l’opera grafica (1973). La foglia d’oro allude alle caratteristiche musive irregolari che si trovano nelle basiliche ravvenati, e la trama del reticolo delle tessere, suggerisce a Burri la tecnica delle sviluppata nei Cretti.
Nel complesso la mostra comprende cento opere, a partire da progetti di grafica degli anni cinquanta, come una straordinaria Copertina 29 (1953-54) e altre serigrafie che documentano la sua inesauribile vitalità creativa fino alle opere degli anni novanta, quando dimostra attraverso l’uso dell’oro non soltanto il rapporto del maestro con la capitale dell’arte bizantina e del mosaico, ma il suo fare luce, forma, spazio e qualcos’altro, capace com’era di andare oltre la pittura. Il suo fare poliedrico e di progettare grandi sculture e piccole opere di grafica, con la stessa energia e volontà di sperimentare sempre nuove tecniche e orizzonti, Burri trascende il tempo e lo spazio umano. Burri non ha mai realizzato mosaici, ma ha trovato un modo per avvicinarvisi, passando dalla serie dei Catrami (1948.49), Sacchi (1949-50), Combustioni di carte (1953) , Plastiche (1957), Ferri (1958), Legni (1958), le Combustioni di plastiche trasparenti (1962), Cretti acrovinilici (1973) e Cellotex (1952-53), composti lignei dipinti ad acrilico (dal 1973 al 1993), per finire poi con Oro e Nero (1993), una maniera originale di assemblare “tessere” di materiali diversi, quasi collages materici di materie grezze, che per Burri diventa l’Alfa e l’Omega del suo rapporto con o spazio, nonché cifra distintiva del suo dialogo con i mosaici di Ravenna, Giustiniano, Teodora…e con la forma dell’eternità.