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La “Mezza luce” di Mattia Balsamini. Intervista all’artista

Mattia Balsamini
Mattia Balsamini
Giovedì 9 novembre inaugurerà la mostra Mezza Luce di Mattia Balsamini, curata da Andrea Tinterri e Luca Zuccala, presso Lampo – Scalo Farini a Milano. La mostra – organizzata da Galleria Indice – ripercorre la produzione degli ultimi anni dell’artista, individuando alcune possibili chiavi di lettura di una ricerca che sembra insistere sull’ombra come forma di esplorazione e conoscenza.

AD: Quali sono i temi fondanti dei lavori che presenterai nell’esposizione di novembre?

MB: I lavori in mostra riassumono un ciclo sull’ombra e sulla penombra. In Search of Appropriate Images è una serie fotografica realizzata in uno stato di crepuscolo, dove il buio e il suo mistero mirano a trasmettere un senso del luogo, una restituzione di territori casalinghi che esploravo quotidianamente. Passando per Toddler, una breve serie inedita, in cui ho lavorato con alcuni degli oggetti in legno, dei “blocchi fondamentali” già utilizzati per la prima serie citata. Si tratta di blocchi “didattici” del gioco e dell’infanzia, che alludono al bambino e i suoi primi passi. Si conclude tutto con Protege Noctem, un progetto sull’inquinamento luminoso legato alla dicotomia buio-luce, che presenta un risvolto meta-fotografico. In mostra ci sono anche due opere commissionate, legate al mondo dell’architettura, incluse dai curatori Andrea Tinterri e Luca Zuccala.
Sono ricerche viscerali in cui cerco uno stato di sospensione, una sorta di realismo magico, attraverso cui pormi domande e affrontare anche tematiche urgenti come l’inquinamento luminoso. È il caso del progetto Protege Noctem che ho realizzato in collaborazione con il giornalista e collega Raffaele Panizza.

AD: Nella fotografia ricerchi una storia da raccontare attraverso un percorso inedito. Possiamo dire che le tue immagini svelino il dietro le quinte?

MB: Si, è vero nel caso del lavoro commerciale. Per esigenze funzionali ho separato quest’ultimo dalla ricerca personale, poiché le finalità cambiano, ovviamente, la fotografia stessa. Nella mia ricerca non mi interessa svelare il lavoro dietro le quinte, mi interessa reiterare un immaginario, suggerire un certo tipo di atmosfera e sperare che smuova delle corde simili a quelle che smuove in me. È una sensazione infantile che mi riporta a quando ero bambino, una magia che percepisci e che vuoi indagare, ma non vuoi svelare veramente fino in fondo. È un detto non detto. Invece, per la committenza tipica, spesso mi viene richiesta un’estetica accattivante. L’immagine deve rendere e al tempo stesso deve evidenziare il prodotto e l’azione. In questo caso la necessità è quella di svelare, soprattutto quando il racconto si concentra sulla tecnologia. Il pubblico si chiede quali siano le strategie per migliorare la qualità delle nostre vite attraverso la robotica, l’informatica e nei processi produttivi in generale.

Mattia Balsamini, Toddler 2, 2022
In mostra a Lampo – Scalo Farini dal 9 novembre al 3 dicembre 2023

AD: Questa pratica produce una certa precisione, dunque.

MB: La fotografia nella sua metodologia necessita di molto ordine, grafismo e organizzazione. Il 99% degli autori che lavorano come me insegue un equilibrato ordinato dell’immagine. Cercare questo tipo di peso e di organizzazione credo sia funzionale per i lavori personali come per quelli commerciali: bisogna organizzare il caos per farlo funzionare.
Di recente sono stato a Venezia per fotografare l’artista Anish Kapoor e la richiesta, arrivata dalla committenza di un giornale americano, era quella di interpretare il suo lavoro fatto di pittura ad olio, rossi molto materici, forme astratte e geometriche. Ho avuto la fortuna di poterlo fotografare rispettando la mia poetica, e ho deciso di ricorrere a inquadrature, a contrasti e luci molto vicine alla mia prima monografia ISOAI, fatta di toni lividi ed imperfetti.

AD: Ci sono temi che ritornano o che si completano in entrambe le modalità di lavoro?

MB: Voglio essere fedele al mistero. Mi piace l’idea di occultare nell’ombra dettagli, simboli e cerco di farlo in entrambi i campi. Ormai, sempre di più, anche i lettori dei magazine hanno le competenze per leggere immagini più complesse. Da magazine stranieri che hanno un pubblico molto educato all’immagine, come il New Yorker, lo Smithsonian, o il Financial Times, vengono richiesti lavori di qualità, commissionati ad artisti che hanno familiarità con la storia. Mi è capitato, tempo fa, di realizzare dei ritratti per il New Yorker: la storia di un imprenditore Americano, emigrato in Italia, implicato in una pericolosa vicenda di sabotaggi, intimidazioni e gogne mediatiche. Un racconto molto oscuro. Anche qui il photo editor richiedeva una narrazione suggestiva che contenesse le atmosfere dense e misteriose delle vicenda.

AD: Spesso approdi all’editoriale. È una pratica che definiresti essenziale accostata agli scatti e perché?

MB: Si è essenziale, perché nel mondo artigianale della fotografia, dove è necessario produrre costantemente e fare tanta pratica, trovando escamotage nuovi anche in situazioni difficili dove bisogna condensare in poche immagini una storia, la pratica editoriale porta a migliorare la fotografia stessa. Si impara ad essere efficaci ed esaustivi. Ed è anche un mezzo per chiudere un progetto, ma concedendo sempre una possibile apertura alla ricerca.

Mattia Balsamini, Basel 3, 2023
In mostra a Lampo – Scalo Farini dal 9 novembre al 3 dicembre 2023

AD: Chi sono ad oggi i maestri della fotografia o della storia dell’immagine che continuano a segnare i tuoi progetti?

MB: Sono molto vicino alla fotografia americana. Se penso al mondo del ritratto, un nome che mi viene subito in mente è un fotografo che ha immortalato molti artisti: Arnold Newman, che ha lavorato negli anni d’oro del Time Magazine, del New Yorker e di Vanity Fair. Oppure Philippe Halsman. Questi grandi fotografi americani avevano un modo di interpretare il soggetto che, riletto cinquant’anni dopo, è rappresentativo di un’epoca. Il lavoro di Arnold Newman, della New Objectivity Photography americana o di Hein Gorny, per me rappresenta una fotografia che, nata con esigenze commerciali, oggi acquisisce un nuovo significato grazie alla loro capacità di rendere l’immagine magica, densa e che oltrepassa la contingenza della committenza.

C’è anche il mondo dell’illustrazione che mi ispira dall’infanzia. Mi piace l’illustrazione anni ‘50, ‘60, ‘70 e le sottoculture e forse dei rimandi nel mio lavoro si possono trovare. Ad esempio mi è capitato di scattare delle fotografie che riprendessero una pennellata di colla o una macchia nera su un pezzo di carta in uno stabilimento di scarpe: per me quelle tracce diventavano una sintesi. Le raccoglievo, le riproducevo e si trasformavano in opere inconsapevoli di qualcun altro, che io semplicemente valorizzavo. Questo, ad esempio, è il modo di includere, nel mio lavoro, la sensibilità dell’illustrazione. Mi piacciono artisti della cultura punk come Raymond Pettibon, un illustratore e pittore che ha iniziato a dipingere, se così si può dire, “commercialmente” nella cultura underground, realizzando tra le varie opere, molte copertine di dischi punk. È un artista completo che mi ricorda costantemente, con le sue pennellate e la sue parole, la possibilità di coniugare un gesto infantile con una sensazione vagamente sinistra, in un disordine elegantissimo.

La mostra sarà visitabile fino al 3 dicembre e sarà accompagnata da un manifesto / catalogo in tiratura limitata e firmato dall’artista.

Informazioni utili

Mezza Luce
Mattia Balsamini
Dal 9 Novembre al 3 Dicembre 2023
Opening 9 novembre 2023 ore 18.30
Galleria Indice
Lampo – Scalo Farini, via Valtellina 5, Milano
Curatori: Andrea Tinterri e Luca Zuccala

 

Mattia Balsamini, ISS, Saint Barthelemy, 2023
In mostra a Lampo – Scalo Farini dal 9 novembre al 3 dicembre 2023

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