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La narrazione è il messaggio. Andrea Cusumano in mostra in Austria

Andrea Cusumano. Raumdramaturgie, installation view (copyright Karolina Ursula Urbaniak) Andrea Cusumano. Raumdramaturgie, installation view (copyright Karolina Ursula Urbaniak)
Andrea Cusumano. Raumdramaturgie, installation view (copyright Karolina Ursula Urbaniak)
Andrea Cusumano. Raumdramaturgie, installation view (copyright Karolina Ursula Urbaniak)

Artista, performer, drammaturgo, Cusumano racconta i propri 30 anni di produzione al nitsch museum di Mistelbach, in Austria

Il nitsch museum di Mistelbach, in Austria, è lo scenario scelto da Andrea Cusumano per raccontare i propri 30 anni di produzione d’artista. E lo fa con la mostra Raumdramaturgie, una narrazione che ne ricostruisce il percorso dagli inizi degli anni Novanta ad oggi, curata da Giulia Ingarao e Fabio Cavallucci. “Un’installazione in fieri che aspira alla costruzione di un’arte che vuole essere totale”. Artista, performer, drammaturgo, l’opera di Cusumano spazia tra la produzione di installazioni site-specific, disegni, oggetti di scena, ceramica e fotografie, pittura, scrittura, scultura, live-art e teatro. La mostra resta visibile fino al 20 maggio: noi la tratteggiamo con una serie di immagini e con il testo critico gentilmente concessoci da Fabio Cavallucci

Almeno dai tempi di Richard Wagner c’è nelle arti una tendenza alla mescolanza dei linguaggi e alla conquista degli spazi della vita. Se la Gesamtkunstwerk è un punto di arrivo forse mai raggiunto, l’aspirazione a fondere i vari codici in vista di un allargamento dello spazio artistico è presente in tutti i movimenti di avanguardia. Basti pensare alla “ristrutturazione futurista dell’universo”, o alla spinta di tutte le arti verso l’architettura sostenuta dalla Bauhaus.

Fin qui nulla di nuovo, anche a seguire lo sviluppo delle seconde avanguardie. La ragione – come ha mostrato da tempo Marshall McLuhan – risiede nella diffusione delle tecnologie di carattere elettrico-elettronico. Esse sono “fredde”, attivano più canali sensoriali, e pertanto le arti vi si adeguano, mirano alla sinestesia. Il che conferisce una prospettiva di inevitabilità alla traiettoria dell’interdisciplinarità.

 

Andrea Cusumano. Raumdramaturgie, installation view (copyright Karolina Ursula Urbaniak)
Andrea Cusumano. Raumdramaturgie, installation view (copyright Karolina Ursula Urbaniak)

Ma se dalla teoria si passa all’esame concreto dei fatti, le cose sono un po’ diverse. Tutti coloro che hanno teso verso l’unità dei linguaggi finora hanno fallito. La settorialità della conoscenza è così radicata nel nostro sistema – nell’insegnamento, nella suddivisione dei ruoli, nei sistemi di comunicazione originati dai media tradizionali – che la segmentazione ha sempre prevalso. Anche due grandissimi come Hermann Nitsch e Tadeusz Kantor, che pure hanno speso le loro vite puntando alla coesistenza di più forme espressive, vengono riconosciuti perlopiù per una sola delle aree della loro attività. Di Hermann Nitsch si apprezzano i dipinti e le performance ma si sottovaluta totalmente la qualità musicale. Di Tadeusz Kantor si esalta il valore del teatro, ma si considerano poco la pittura e le installazioni, almeno sul piano internazionale.

Andrea Cusumano si è da sempre cimentato in questo ambito complesso di incrocio tra le arti. Difficile dire se perché ha incontrato, in momenti diversi della sua carriera, i due grandi citati sopra, oppure se – come è più probabile – li abbia incontrati proprio perché è questo ciò che stava cercando. Del primo – prima allievo, poi assistente e infine direttore delle sue composizioni musicali – ha raccolto l’idea dell’attivazione totale dello spazio scenico nonché il carattere rituale. Del secondo – che non ha mai conosciuto di persona ma di cui ha studiato a fondo il lascito presso la Cricoteka di Cracovia – la teatralità connessa alla vita, anche nei suoi aspetti di caducità e di decadimento corporeo, caratteri tipici dell’arte polacca.

 

Andrea Cusumano (foto Fausto Brigantino)
Andrea Cusumano (foto Fausto Brigantino)

Per carità, sia dall’uno che dall’altro Cusumano non fa prelievi letterali. Al contrario, rinsalda i nessi del primo con la tragedia classica, del secondo con la cultura dei teatri di marionette, ritrovando così forti legami anche con la propria terra di Sicilia e creando ponti tra culture distanti.

Ma anche Cusumano ha pagato lo scotto di lavorare all’incrocio tra i linguaggi. In più egli sembra sempre sfuggire dalle sue conquiste. Intende la sua attività come una ricerca, senza troppo indugiare a godere dei risultati. Ha attraversato la pittura astratta senza soffermarvisi, l’installazione senza farla divenire il centro del suo operato, la performance producendo relitti e reliquie che hanno poi dato vita a nuove installazioni, installazioni che ha poi fotografato riconducendole alla superficie, per tornare infine, recentemente, persino alla pittura astratta, pur partendo da interventi sulla stampa fotografica. Senza contare le declinazioni più materiali del lavoro: le sculture, le tavole di ceramica, i crateri. O quelle più impalpabili, come la scrittura e la musica.

Raccontato così sembrerebbe uno zibaldone. In realtà l’arte di Cusumano coglie uno dei caratteri fondamentali della nostra epoca: la fluidità, il passaggio inevitabile tra i generi (non solo quelli sessuali) e i linguaggi. Oggi che i parametri tradizionali sono ormai abbattuti, i contenuti escono dai loro recinti, si riversano gli uni negli altri. Come tenerli confinati nei parapetti dei vecchi linguaggi? In un’altra occasione ho parlato di un esercizio di traduzione, di continuo trasferimento di contenuti da un codice all’altro.

I Retablos, ad esempio, che sono un punto fermo della sua produzione recente, attraversano diverse forme di esistenza: come la farfalla è prima uovo, poi bruco, crisalide e infine appunto farfalla che si libra leggera, così i Retablos sono il risultato di molte vite: nascono come performance, diventano installazione e infine si trasformano in lucide fotografie. Ma questo processo non è da intendere come traduzione letterale, che sarebbe un esercizio freddo e meccanico. Nel caso di Cusumano le cose vengono di volta in volta reinventate. La “traduzione tradisce”, dicevo in un testo precedente.

 

Andrea Cusumano. Raumdramaturgie, installation view (copyright Karolina Ursula Urbaniak)
Andrea Cusumano. Raumdramaturgie, installation view (copyright Karolina Ursula Urbaniak)

Tutto ciò non ci deve far trascurare che, a dispetto di generi e linguaggi, l’opera di Cusumano è tenuta insieme da un’idea coerente. Dietro a tutte le sue opere ci sono storie. Ci sono, ad esempio, le storie raccontategli dall’amico Bill Basch scampato a Buchenwald, che da ragazzino fu messo ad ammassare cadaveri in una stanza. C’è la storia di Carl Tanzler che si innamora della giovane Helen al punto da volerne conservare il corpo dopo la morte con balsami e sostituzioni. O ancora le vicende mitiche della tragedia greca, che sono un’altra importantissima fonte della sua ispirazione. Insomma, l’arte di Cusumano, anche quando muta strumenti espressivi, anche quando parla solo per immagini o installazioni, fa leva su un profondo carattere narrativo. È drammaturgica anche quando non è dramma.

È questo un ulteriore aspetto che si rivela in sintonia con l’andamento più generale dell’arte d’oggi. Per decenni abbiamo sostenuto, seguendo anche in ciò McLuhan, che il “medium è il messaggio”. Tutta la linea analitica dell’arte contemporanea si è basata sulla ricerca linguistica. Siamo arrivati addirittura a pensare che il contenuto non valesse nulla, e il valore artistico di un’opera fosse determinato solo dal suo mezzo di espressione, dalla forza innovativa, indipendentemente che essa parli della banalità della vita contemporanea o dell’infinito quantistico. Ma la fluidità attuale, abbattendo le barriere tra i linguaggi, finisce per rinnovare l’importanza del contenuto. Se le storie possono essere travasate da un contenitore all’altro, i contenitori non contano, tornano a valere le storie. Oggi potremmo dire, facendo il verso a McLuhan, la “narrazione è il messaggio”.

 

Andrea Cusumano. Raumdramaturgie, installation view (copyright Karolina Ursula Urbaniak)
Andrea Cusumano. Raumdramaturgie, installation view (copyright Karolina Ursula Urbaniak)

Le storie, si sa, a noi umani piacciono. E se l’arte le aveva per lungo tempo abbandonate a vantaggio dei concetti, dei giochi linguistici, ormai sono tornate a caratterizzare gran parte del panorama attuale. Ciò anche grazie all’avvento di culture finora marginali, un tempo ignorate perlopiù per ragioni razziali. Con la progressiva inclusione di artisti di origine africana o di altre minoranze, insieme alla ripresa di pratiche artigianali, assistiamo a un’ondata di ritorno di narrazioni figurative, anche con un forti risvolti etici, spesso anche politici. A dire il vero, più che un’ondata è uno tsunami. Cusumano su questo è in prima linea. Ovviamente, data la sua formazione culturale, non si occupa di decolonizzazione o di questioni di genere. Ma la matrice umanistica su cui si fondano i suoi lavori, fa della narrazione la base immancabile di ciascuno di essi.

E dunque, quali sono i temi dominanti delle storie di Cusumano? Senz’altro sono vari. Spesso c’è l’incombenza del divino, a volte l’amore, spesso c’è il dolore, talvolta il grottesco e perfino l’ironia. Ma il tema centrale, ricorrente, il tema che si manifesta nei corpi spenti di giovani fanciulle, o nei mascheramenti dell’attore in scena, quasi a rendere eterno, fuori dal tempo, ciò che è fugace e mondano, il tema spesso centrale, talvolta invece sottotraccia, collaterale, ebbene il tema soverchiante, continuo, assillante dei lavori di Cusumano è la morte. Dalla serie delle Installazioni dei morti, fino alle performance recenti, ispirate a celebri tragedie greche, il tema dominante è sempre la morte. Ed è questo ciò di cui parla la grande arte, insieme cognizione dell’ineluttabilità della fine e sfida all’immortalità.

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