Incontro Guerreiro do Divino Amor poco prima di Natale 2023, nel suo studio nel centro di Rio de Janeiro, un piccolo appartamento al 29mo piano a due passi da Largo da Carioca, dove l’artista sta editando il progetto che rappresenterà la Svizzera alla Biennale di Venezia 2024.
Un altro tassello del panorama brasiliano che vedremo in laguna, e stavolta ancora più curioso: Guerreiro, infatti, è nato a Ginevra nel 1983 ma vive e lavora nella metropoli del Cristo Redentore da dieci anni; la sua formazione – come la sua carriera – si è svolta esattamente tra questi due poli, tra la Scuola Superiore d’Architettura di Grenoble e la Scuola di Belle Arti del Parque Lage, vera e propria istituzione per gli studi visuali a Rio.
Com’è nato l’invito a rappresentare la Svizzera alla Biennale di Venezia?
Da quasi vent’anni [il primo episodio fu lanciato nel 2005, ndr] lavoro al Superfictional World Atlas, re-immaginando in forma “esplosa” i luoghi dove vivo, tra tradizioni e contraddizioni. Dopo aver realizzato gli ultimi episodi dedicati al Brasile, includendo Rio, lo stato di Minas Gerais e Brasilia, c’è stato anche il capitolo svizzero, O Milagre da Helvetia – The Miracle of Helvetia, che indaga il Paese alpino partendo dalla figura allegorica di Elvezia, creata nel XIX secolo come Madre e personificazione della patria, investigando anche i concetti di bellezza, ricchezza e perfezione che – nell’immaginario comune – appartengono all’identità svizzera. Con l’arrivo della pandemia, e con maggior tempo a disposizione, il progetto “Superfictional Sanctuaries”, curato da Andrea Bellini al CAC, si è trasformato in una retrospettiva che ha finito, appunto, per essere presentato tra i progetti che avrebbero potuto rappresentare la Svizzera alla Biennale del 2024.
E ha funzionato. Come hai accolto questa opportunità?
Sono rimasto molto sorpreso e felice, chiaramente
Che cosa vedremo, quindi, a Venezia?
Insieme al capitolo elvetico ci sarà anche un nuovo film dedicato a Roma, che volevo realizzare da molto tempo e che ho potuto costruire grazie alla residenza dell’Istituto Svizzero. Il progetto è completamente inedito, con la partecipazione di Ventura Profana, artista con la quale ho molto collaborato negli ultimi anni. In questo momento stiamo editando e doppiando il video…e anche restare un po’ a casa è importante.
O Milagre da Helvetia sarà modificato e allestito in base agli spazi veneziani?
Sì, certo
Stai lavorando da solo al progetto o hai un team?
Di solito lavoro sempre da solo per la parte della ricerca, montaggio e animazione, ma per il resto ho un team favoloso che lavora con me per le statue, i costumi, l’ingegneria meccatronica…
Come nascono i tuoi progetti?
Partono sempre da una ricerca: in questo caso sono stato a Roma molto tempo, cinque mesi. Dopo il lavoro teorico, il lavoro si materializza in pubblicazione, film, grandi installazioni…
Quali sono le tue ispirazioni?
Sono sempre stato attratto dai video istituzionali che riguardano il turismo, di propaganda in generale, dalle estetiche e dai linguaggi pop e corporativi; quei video che trasformano le cose in prodotto. Come architetto osservo lo spazio urbano, l’architettura commerciale, la trasformazione del marketing urbano – unendo analiticamente architettura e arte. Questi prodotti, insieme alla rappresentazione scientifica, sono le mie ispirazioni principali. Mi piace lavorare con questo immaginario al quale tutto il mondo si riferisce e a cui si aggrappa, intendendoli quasi come miracolosi, anche se si tratta di pura fiction.
A Roma hai trovato molti di questi “prodotti”?
Stando all’Istituto Svizzero ho potuto vedere da vicino il turismo predatore di Roma, diviso tra quello religioso e quello degli influencer, i turisti archhelogici che sembrano Indiana Jones, e quello di lusso degli americani. È stato molto interessante osservare come la città diventi una fiction di sé stessa, bevendo questo succo di eternità vetrificata.
Ci sono connessioni tra Brasile e Italia?
Il progetto Roma Talismano è nato dalla figura della Lupa, che in realtà è una figura allegorica che portavo con me dalle varie lupe che ho incontrato a Brasilia e che si vedono in Cristalização de Brasilia, rappresentazione di quello che è stata per il Brasile – anche – la vecchia politica eugenetica per trasformare il Paese in una nazione occidentale, in una vera e propria questione di sbiancamento della popolazione etc. Cristalização de Brasilia era stato registrato prima dell’elezione di Bolsonaro, in un clima molto pesante. La lupa, in Brasile, ha sempre rappresentato la volontà di creare la nazione di domani, il “nord” della pelle bianca è sempre stato idealmente connesso all’idea di Roma. Poi ci sono anche riferimenti all’architettura: lo stile modernista, che caratterizza l’identità di Brasilia, è lo stesso che si ritrova anche in molti edifici a Roma, così come nei padiglioni dei Giardini della Biennale: è quell’architettura che deve farti sentire piccolo. Poi c’è l’idea della colonna come elemento di potere, utilizzata come simbolo in ogni forma di suprematismo, in tutte le politiche che vogliono essere “pure”. A partire dalle colonne che vidi per la prima volta all’inizio del 2020, in un brevissimo passaggio a Roma – e che mi lasciò stupefatto, ha preso forma tutta l’estetica che si vedrà a Venezia.
Con quali gallerie lavori?
Al momento nessuna. L’ultima mostra in galleria è stata da Marilia Razuk, a San Paolo.
Molto interessante il fatto che tu vada alla Biennale senza una galleria che ti rappresenti…
Ho avuto varie proposte dopo questa mostra ma non avevo tempo per produrre lavori per gallerie e inoltre mi serve un po’ di tempo anche per capire come muovermi in questa relazione tra arte e mercato che è sempre abbastanza complicata.
A chi vendi?
Negli ultimi anni, in realtà, si sono interessate al mio lavoro maggiormente collezioni istituzionali, tra cui il FCAC a Ginevra, poi c’è stato il Premio DAAD, il PIPA…
Stai costruendo un percorso internazionale e istituzione senza passare per gallerie…
Nel mio caso, in passato, lavorare per gallerie mi ha causato più mal di testa che altro. Ho avuto tante difficoltà nel mio cammino e a questo punto del percorso non mi strappo le vesti per entrare in una galleria e dover produrre multipli. Inoltre, io “libero” tutti i miei video su youtube, passo le mie immagini per pubblicazioni, tesi, riviste, per le scuole e i dipartimenti educativi dei musei che qui in Brasile sono una referenza per il mondo intero. Questo è un po’ in conflitto con la logica di esclusività nel mercato dell’arte.
Come percepisci il Brasile nella scena internazionale dell’arte?
Credo che – parlando in forma generale – vi sia una scena bellissima, compresa quella più lontana dal polo Rio-San Paolo, nel nord e nord-est…Finalmente, direi, perché in realtà è molto tardi, ma vi sono cose che qui si muovono molto rapidamente, mentre in Europa è tutto più cristallizzato. E ora, per fortuna, anche qui sembra terminata l’epoca del dominio occidentale anche nell’insegnamento dell’arte e della cultura.