La New York art week è alle porte e ArtsLife vi guida attraverso i trenta eventi espostivi da non perdere a Manhattan, Brooklyn, Queens e Bronx, tra gallerie e musei, con proposte in continuo aggiornamento, tra mostre che vanno da artisti storici come Paul Klee a Gustav Klimt, da Joan Jonas a Roni Horn, da Maurizio Cattelan a Giuseppe Penone fino ad Anselm Kiefer passando per giovani proposte come Sarah Crowner e Adam Pendleton e ricchissime collettive.
MOSTRE IN GALLERIA
Gagosian dal 30 aprile al 15 presenta ospita “Sunday”, curata da Francesco Bonami, «la prima mostra personale in galleria di Maurizio Cattelan in oltre due decenni e il suo debutto personale da Gagosian», ha dichiarato la galleria.
«I visitatori della sede di Gagosian sulla 21a strada si trovano immediatamente di fronte a un’imponente parete di pannelli dorati alta 17 metri e larga circa 68 metri. Di fronte ad essa si trova November (2024), una fontana di marmo che raffigura una figura dinoccolata che urina a terra.
Cattelan definisce l’opera “un monumento alla marginalità”, un’immagine di una realtà che abitualmente ignoriamo. Facendo eco al Manneken Pis (1619), una famosa scultura pubblica di un ragazzo che urina in una fontana, presenta allo spettatore una scomoda contravvenzione alle norme sociali. Ma, come chiede Bonami, “se si è liberi di comprare un fucile d’assalto in un grande magazzino, cosa c’è di male nel pisciare in pubblico?”» ha spiegato la galleria.
«Simile ad America – una toilette funzionale in oro massiccio installata al Museo Solomon R. Guggenheim di New York nel 2016 – il nuovo progetto di Cattelan, esposto nella sede della galleria al 522 West 21st Street, sfida ancora una volta le contraddizioni della società e della cultura americana e tocca questioni delicate affrontate dal mondo in generale
In una nuova installazione, Sunday (2024), Cattelan completa la risposta alla disuguaglianza economica incarnata da America (2016), utilizzando il metallo prezioso per decostruire il rapporto del Paese con l’accessibilità delle armi (una condizione contro la quale il privilegio non offre alcuna difesa). Pannelli di acciaio inossidabile, placcati in oro a 24 carati, sono stati “modificati” dagli spari. Le superfici precedentemente lisce dei componenti sono state lasciate piene di crateri e fori, evocando una storia delle armi nell’arte che va da L’esecuzione dell’imperatore Massimiliano di Edouard Manet (1868-69) a Shoot (1971) di Chris Burden e ai dipinti di fucili da caccia di William Burroughs», ha raccontato la galleria
Nella sede al 976 di Madison Avenue, inoltre, è stata appena inaugurata “Punctum” (fino al 3 luglio),«la prima mostra negli Stati Uniti incentrata esclusivamente sulla fotografia di Anselm Kiefer. Punctum sarà visitabile al 976 di Madison Avenue dal 25 aprile al 3 luglio 2024.
La fotografia è stata un aspetto importante ma poco riconosciuto della pratica di Kiefer fin dal 1968, quando iniziò a usare la macchina fotografica da 35 mm del padre. Questo mezzo è alla base dell’evoluzione dei dipinti dell’artista ed è una componente fondamentale dei suoi libri. Punctum offre nuove prospettive sulla sua esplorazione di materiali e processi e sulle potenzialità simboliche ed espressive della fotografia.
Il titolo della mostra fa riferimento a un concetto formulato da Roland Barthes nel suo testo critico Camera Lucida: Reflections on Photography (1980). “Punctum” (che in latino significa “foratura” o “ferita”) indica un dettaglio di una fotografia che suscita un sentimento o un impatto personale al di fuori di quelli formati principalmente dai suoi soggetti culturalmente codificati. Come se raffigurassero il ricordo di qualcosa che non è mai accaduto, le fotografie di Kiefer trasmettono un’aura globale, evocativa e persino malinconica, al di là delle rappresentazioni convenzionali del tempo e del luogo».
Nella sede al 555 West 24th Street Gagosian ha inoltre prolungato la permanenza fino al 15 giugno del murale di Roy Lichtenstein presentato lo scorso settembre: il Bauhaus Stairway Mural. «È la seconda volta che Gagosian espone un murale di Lichtenstein, dopo la replica del Greene Street Mural (1983) nella stessa sede nel 2015.
Negli anni Sessanta, Lichtenstein ha forgiato un nuovo approccio alla pittura fondendo la cultura popolare e la storia dell’arte occidentale. Il suo lavoro affonda le radici nel potere seduttivo della pubblicità ed eleva le immagini grafiche della stampa popolare e le illustrazioni dei fumetti al regno dell’alta arte. Utilizzando un processo artigianale, ha imitato le tecniche di stampa delle riviste e dei giornali, rendendo i punti Benday e i colori vivaci sinonimo di Pop art. Lichtenstein ha realizzato murales per tutta la sua carriera, da Girl in a Window per il Padiglione dello Stato di New York dell’Esposizione Universale del 1964 a Times Square Mural, progettato nel 1994 e installato nel 2002».
Da Hauser & Wirth, in Wooster Street, è in corso una mostra di nuove opere di Roni Horn (fino al 28 giugno): «conosciuta per una pratica che combina il rigore concettuale con una squisita sensualità visiva, la Horn presenterà la sua ultima serie di opere su carta e sculture in vetro fuso mai esposte prima. Evidenziando la sua costante esplorazione dell’identità, del significato e della percezione, queste opere continuano a rivelare l’impegno profondamente coscienzioso di Horn nel rapporto dell’umanità con il mondo naturale.
Il disegno è parte integrante dell’opera di Horn da quasi 40 anni. Descrivendolo come la sua “attività primaria”, l’artista espande il linguaggio del disegno costruendo, decostruendo e ricostruendo immagini e testi. Una meditazione sul significato, il processo unico di Horn di smontare e rimontare le cose mette alla prova i limiti della tecnica del disegno esplorando il suo potenziale scultoreo. Per la sua ultima serie, intitolata “Slarips” (la parola “spirali” scritta al contrario), Horn ha iniziato realizzando spirali ad acquerello in una serie di tonalità. Poi ha ritagliato le immagini dipinte e le ha unite in nuove composizioni a tessere. Ciascuna di esse è intitolata con una deliberata storpiatura della parola “spirals”, a indicare un profondo allontanamento dal materiale di partenza dell’opera», ha spiegato la galleria.
David Zwirner propone due mostre, entrambe aperte dal 2 maggio al 15 giugno nella sede all’indirizzo di 537 West 20th Street, dedicate al lavoro di Paul Klee e di Lucas Arruda.
“Psychic Improvisation” è la terza mostra che la galleria dedica a Paul Klee ed è organizzata in collaborazione con Alain e Doris Klee. «Mentre le mostre del 2019 e del 2020 si sono concentrate sul lavoro di Klee dalla metà alla fine degli anni Trenta, questa presentazione esplorerà il suo uso singolare del colore e della linea, offrendo una panoramica concisa ma esplicativa della sua pratica tra gli anni Venti e Trenta», ha anticipato la galleria.
La personale dell’artista brasiliano Lucas Arruda «comprende dipinti e un’installazione luminosa site-specific della serie Deserto-Modelo, che segna la quarta personale dell’artista con la galleria».
«La mostra “Assum Preto” – ha anticipato la galleria – prosegue l’indagine di Arruda sul mezzo pittorico e sulla sua capacità di fungere da tramite evocativo e trascendentale per lo svelamento della luce, della memoria e dell’emozione. La mostra prende il nome da una specie di merlo nativo del Brasile orientale, il cui canto banale, secondo la tradizione locale, si trasforma in una bellissima melodia se la vista dell’uccello viene oscurata. Come spiega l’artista: “È come se, quando l’uccello ha tutto sotto gli occhi ed è pieno di informazioni e distrazioni, non riuscisse a organizzarsi. Solo quando non è più circondato da immagini, riesce a organizzare tutto nella sua testa. In un certo senso, credo che questo abbia a che fare con la luce…. Per me la luce è legata al ricordo”. Nelle opere in mostra, la luce assume una moltitudine di forme, affiorando in varie manifestazioni fisiche, ideografiche e affettive».
Nello spazio 52 Walker – lo spazio della galleria David Zwirner curato dal direttore senior Ebony L. Haynesm, che prende il nome dalla sua ubicazione a Tribeca – è in corso la personale di Arthur Jafa “BLACK POWER TOOL AND DIE TRYNIG” (fino al 2 giugno), che «porta in superficie questioni di forma, forza e resistenza, oltre alle tensioni che derivano da errori e scivoloni comuni. Il titolo della mostra, “BLACK POWER TOOL AND DIE TRYNIG”, applica strategie di sequenzialità e giustapposizione, incanalando vari significati nel suo gioco di parole – tra cui ideologie politiche, terminologie industriali e lo spettro della morte – mentre fa anche un cenno alla complessità della parola “nero” e alle sue molteplici inflessioni. Privilegiando la disposizione intuitiva rispetto all’uniformità, l’artista si sottrae alle modalità di presentazione tradizionalmente monolitiche per dare coerenza a molteplici eventi simultanei, applicando un punto di vista decisamente nero e non occidentale che si confronta con la storiografia artistica del XX secolo e con il debito della museologia nei confronti dell’estetica africana».
Marian Goodman presenta la mostra dedicata a Giuseppe Penone “Hands – Earth – Light – Colors“, dal 3 maggio al 29 giugno.
Nel percorso espositivo «una selezione di opere fotografiche, sculture e lavori recenti su tela che coprono gli anni 1970-2023, evidenziando un tema concettuale che ha animato la sua pratica e continua a risuonare oggi. Al centro di questo tema c’è la nozione di tatto e la sua importanza per l’artista: “toccare, comprendere una forma, un oggetto è come ricoprirlo di impronte. Una traccia formata dalle immagini che ho sulle mani”, scriveva Penone nel 1969. Al di là delle convenzioni della vista, l’impronta per Penone è il tatto trasformato in un gesto fossile che registra e modella la nostra realtà e le nostre percezioni. Indice dell’individuo, è contemporaneamente unico e “l’immagine più democratica che si possa trasmettere, un’immagine che riconduce l’uomo alla materia, alla natura”. Il tatto e il respiro, forme che appartengono a tutti, trasmettono il tattile al visivo, alla base della nozione di scultura vivente di Penone».
PACE dal 3 maggio presenta le personali di Adam Pendleton, Tara Donovan e Huong Dodinh.
“An Abstraction” (fino al 16 agosto), al 540 West 25th Street, espone dipinti e disegni recenti dell’artista newyorkese Adam Pendleton. «In An Abstraction, i 12 dipinti e i 13 disegni dell’artista saranno appesi all’interno di una monumentale architettura site-specific composta da cinque forme triangolari nere. Queste pareti scultoree riordineranno la galleria in spazi nuovi e inaspettati e amplieranno il linguaggio visivo delle opere esposte».
In galleria Tara Donovan con “Stratagems” (fino a 15 giugno), al 540 West 25th Street, «presenta un gruppo di sculture realizzate interamente con dischi CD-ROM trovati, recuperati e riciclati. La mostra sarà accompagnata da una performance Pace Live della coreografa Kim Brandt.
Conosciuta per il suo lavoro basato su processi e sistemi che spaziano dalla scultura all’installazione, dal disegno alla stampa, Donovan esplora spesso le qualità talismaniche di materiali e oggetti di uso quotidiano, da bottoni, tazze di polistirolo, matite e spilli a schermi pronti e giocattoli Slinky. Attingendo al linguaggio formale del Minimalismo e del Postminimalismo, le opere di Donovan usano e abusano di questi materiali non tradizionali, trasformandoli in composizioni visivamente abbaglianti senza cancellare la loro essenza fondamentale o la loro storia di oggetti della vita quotidiana. Attraverso atti di accumulazione, aggregazione e iterazione, l’artista trasmuta i suoi materiali in opere d’arte mutevoli, che esplorano le possibilità e i limiti della percezione umana».
“TRANSCENDENCE” (fino al 15 giugno), al 540 West 25th Street, è la mostra che segna la prima presentazione personale di Huong Dodinh negli Stati Uniti, «riunisce dipinti e opere su carta realizzati nel corso della sua carriera, dagli anni Sessanta a oggi. Dodinh è nata a Soc Trang, in Vietnam, nel 1945. Costretta a fuggire dal Paese, la sua famiglia si è rifugiata a Parigi nel 1953, dopo lo scoppio della Prima guerra d’Indocina. Da allora Dodinh ha vissuto e lavorato nella capitale francese, coltivando una vita solitaria al servizio della sua attività artistica. Isolandosi dalle tendenze del mercato dell’arte, ha mantenuto un impegno per l’autenticità, la purezza, la contemplazione e la verità nel suo lavoro da quando ha iniziato a dipingere negli anni Sessanta.
Negli ultimi sessant’anni, Dodinh ha dedicato la sua pratica a tre principi centrali – luce, densità e trasparenza – attraverso i quali esplora la fluidità della linea, della forma e dello spazio negativo. Adottando uno stile di vita privato e intensamente regolato, l’artista ha sviluppato un modo di fare distintivo che sfuma i confini tra arte e quotidianità. Lavorando da sola e senza assistenti nel suo atelier parigino, Dodinh si occupa personalmente di ogni fase del suo processo, dall’approvvigionamento delle polveri minerali per i pigmenti in Provenza al montaggio delle tele e all’applicazione dei colori. Creando a mano i propri pigmenti e leganti organici, Dodinh applica più volte strati sottili di pittura per creare superfici trasparenti ma dense. Grazie all’uso di materiali naturali, Dodinh produce effetti visivi vibranti attraverso l’assorbimento e i riflessi della luce nelle sue composizioni eleganti e minimaliste».
125 Newbury, il project space guidato dal fondatore e presidente di Pace Arne Glimcher con sede al 395 di Broadway a Tribeca, dal 3 maggio al 15 giugno presenta la prima personale di Lauren Quin a New York: “Logopanic“, con dipinti nuovi. L’artista, ha spiegato la galleria, «costruisce le sue composizioni metodicamente, strato dopo strato, per poi raschiarle, scavando canali che si intrecciano attraverso il quadro. I suoi dipinti sono palinsesti; passato e presente si mescolano in un’unica superficie, interrompendosi a vicenda. Al tempo stesso sedimentarie e archeologiche, le opere sono tanto scavate quanto dipinte. Costruita da un arsenale di gesti e tecniche ricorrenti, Quin fa spesso uso di segni che definisce “tubi”, insieme a matasse e filigrane di colore che monostampa direttamente sulla superficie dell’opera».
Paula Cooper hai corso tre progetti espostivi: la collettiva “Disparity” e le personali di Dan Walsh e Terry Adkins.
In “Disparity” (fino al 18 maggio), nella sede a 521 W 21st Street, sculture di Terry Adkins, Carl Andre, Lynda Benglis, Bill Bollinger, Luciano Fabro, Robert Grosvenor, Justin Matherly, Joel Shapiro e Jackie Winsor «mettono in evidenza le differenze tra gli approcci degli artisti al lavoro tridimensionale».
Poco distante, al 534 West 21st Street, è in corso una mostra di nuovi dipinti di Dan Walsh (fino al 18 maggio): «espandendo la sua indagine sull’astrazione basata sul sistema, i nuovi dipinti di Walsh appaiono senza sforzo e “inevitabili” nonostante l’impegnativo processo di realizzazione. La composizione di ogni dipinto è basata sul bordo inferiore e impiega un vocabolario di forme unitarie, tra cui linee, cerchi, losanghe e rettangoli, con alcuni strutturati intorno a una forma piramidale libera. Walsh ammorbidisce la geometria della griglia con il movimento, arrotondando i bordi per formare composizioni dinamiche illuminate da colori vivaci».
Al 529 W 21st Street, inoltre, la galleria espone l’opera di Terry Adkins Sermonesque (2003), dedicato a W. E. B. DuBois (1868 – 1963) e combina idee tratte dal lavoro fondamentale dello scrittore e attivista sulla chiesa nera e sulla musica. L’opera è stata esposta per la prima volta in “Darkwater: Recital in Four Dominions, Terry Adkins after W. E. B. DuBois” (2003).
David Nolan presenta “ENRICO BAJ: ALTER EGO AND OTHER HYPOTHESES. Celebrating the Artist’s Centennial” con lavori aggiuntivi di Marcel Duchamp, Man Ray, William Copley, Martin Kippenberger, Nicole Eisenman, Kerstin Brätsch e altri. Il percorso espositivo indaga le relazioni tra Bay e i suoi contemporanei attivi in vari ambiti culturali.
«Quest’anno, a cento anni dalla nascita di Baj, – ha ricordato la galleria – diversi musei italiani rendono omaggio al maestro di Dame e Generali, di Meccano e Ladri di Corpi; il genio irriverente, l’anarchico scanzonato e l’artista patafisico. Da ottobre 2024 a gennaio 2025, Palazzo Reale di Milano presenterà l’arte di Baj attraverso le parole dei grandi scrittori del XX secolo che hanno intrecciato le loro parole con le sue immagini liriche e caustiche, da André Breton a Raymond Queneau, da Marcel Proust a Italo Calvino, da Edoardo Sanguineti a Umberto Eco».
Alla Luhring Augustine, fino al’8 giugno, nella sede di Chelsea, “Tiptoeing Through the Kitchen, Recent Photography“, una mostra di lavori nuovi e recenti di sette artisti: William Eric Brown, Sophia Chai, Kevin Landers, Brittany Nelson, Shaun Pierson, Gonzalo Reyes Rodriguez e Sheida Soleimani.
«Pur nella diversità dei loro approcci alla pratica fotografica, ciò che accomuna questi artisti è l’indagine sulla nostalgia, la cura e il lignaggio – familiare e non – e il modo in cui usano il mezzo e il processo di realizzazione dell’opera come mezzo per impegnarsi con gli altri, con se stessi e per sfidare le aspettative. Generando una conversazione costellata che attinge alla storia della fotografia, ma si rivolge a qualcosa di completamente nuovo, gli artisti inclusi in “Tiptoeing Through the Kitchen, Recent Photography” infondono all’apparentemente sconosciuto lampi di riconoscimento».
Nella sede di Tribeca, inoltre, la galleria propone “Hot Light, Hard Light” (fino al 4 maggio), «una mostra di nuove sculture e dipinti di Sarah Crowner. La mostra segna la prima presentazione personale dell’artista con la galleria e si configura come un’installazione concepita da Crowner nel suo studio di Brooklyn, dove la percezione della forma, dell’ombra e del colore delle opere cambia costantemente durante il giorno in relazione al movimento del sole. Spesso tendenti al monocromo, i dipinti astratti – creati unendo pannelli di tela dipinta e tagliata – sono resi in tonalità decise di arancio, rosso e magenta, interrotte qua e là da momenti di nero notturno e bianco sporco. Una serie di nuove sculture in bronzo si trovano su piedistalli; installate in tutto lo spazio, le loro superfici altamente riflettenti e curve fluttuano a metà tra la potenza dei dipinti e l’apertura della stanza. Così come il colore non è un elemento statico, le opere di Crowner si spostano e si trasformano a seconda dell’ambiente in cui si trovano».
Sperone Westwater presenta le due personali di Joana Choumali e Jim Gaylord, entrambe fino al 15 giugno.
“I am not lost, just wandering” è la seconda personale di Joana Choumali in galleria, «con nuovi collage fotografici ricamati della serie “Alba’hian” dell’artista. Ogni mattina Choumali si sveglia alle 5 e cammina per lunghi tratti interagendo con la terra, gli edifici e le forme che prendono forma intorno a lei. Questa routine, fatta di introspezione, si ripete anche quando Choumali viaggia in altri Paesi. La sua abitudine è quella di fotografare i paesaggi che la catturano ogni mattina. “La serie ‘Alba’hian’ riguarda la mia esperienza di camminare all’alba nella mia città di residenza Abidjan e in altre città come Dakar, in Senegal, Accra, in Ghana, ma anche Essaouira, in Marocco, e Kyoto, in Giappone”, dice Choumali. “In questa selezione, ho ampliato il mio angolo di visuale, le dimensioni dei pezzi e dei personaggi diventano più grandi, come un’evocazione della crescita interiore”».
“Chiaroscuro” (fino al 15 giugno) è la prima personale di Jim Gaylord ed «è composta da otto opere in carta acquerellata pressata a caldo, marmo fuso e resina, abbraccia i temi dell’iconografia, del formalismo e della geometria.
Con questo lavoro, Gaylord si allontana dalla sua pratica pittorica per creare costruzioni di carta che mettono a fuoco le sue immagini. Utilizzando la lama di un coltello X-Acto per tagliare a mano la pesante carta da acquerello (prodotta da St. Cuthberts Mill in Inghilterra), Gaylord definisce un bordo preciso, rinunciando alla sregolatezza della pennellata. “Questo attribuisce una certezza alle forme e la loro costruzione volumetrica crea una presenza materiale nello spazio”, spiega Gaylord».
MOSTRE NEI MUSEI DI MANHATTAN
Il MoMA ha da poco inaugurato la più completa retrospettiva sul lavoro di Joan Jonas negli Stati Uniti: “Good Night Good Morning” (fino al 6 luglio), che celebra gli oltre 50 anni di carriera dell’artista. Nel percorso espositivo, strutturato in modo rigorosamente cronologico, una selezione di opere realizzate dal 1968 a oggi, tra cui video, disegni, fotografie, materiale d’archivio, grandi installazioni e performance, molte delle quali sono state rivisitate e riconfigurate dall’artista in occasione di questa mostra.
Nelle sale del museo anche altri progetti espositivi, tra cui le mostre dedicate a Carolina Caycedo (fino al 19 maggio) a Käthe Kollwitz (fino al 7 luglio).
Al Whitney Museum è in corso l’omonima storica biennale (fino all’ 11 agosto). Questa edizione si intitola “Even Better Than the Real Thing” e «presenta settantuno artisti e collettivi alle prese con molte delle questioni più urgenti di oggi e che operano attraverso vari media e discipline, rappresentando l’evoluzione dell’arte americana» (potete trovare la lista completa degli artisti invitati qui, ndr).
Negli altri spazi espostivi, oltre alla collezione permanente con una selezione di opere dal 1900 al 1965, si possono vistare le mostre “AARON” (fino al 19 maggio), che ripercorre l’evoluzione dell’omonimo programma di Harold Cohen, il primo programma di intelligenza artificiale per la creazione di opere d’arte, e la mostra appena inaugurata “Wanda Gág’s World” (fino al 24 dicembre), che «presenta una selezione di stampe dell’artista, illustratrice e autrice di libri per bambini Wanda Gág (1893-1946). Queste opere registrano il mondo come Gág lo ha vissuto: un luogo in cui i paesaggi si muovono ritmicamente e gli oggetti inanimati ronzano di vita. Sebbene dipingesse anche, le arti grafiche le offrivano il metodo più efficace per esprimere questa visione unica».
Al Metropolitan Museum of Art, tra le numerose mostre, è aperta al pubblico “Hidden Faces: Covered Portraits of the Renaissance” (fino al 7 luglio 2024), la prima mostra che esamina una tradizione intrigante, ma in gran parte sconosciuta, della pittura rinascimentale: ritratti a più facce in cui le sembianze della persona ritratta erano nascoste da un coperchio incernierato o scorrevole, all’interno di una scatola, o da un formato a due facce. Le copertine e i rovesci di questi piccoli ritratti privati erano ornati da emblemi, epigrammi, allegorie e mitologie simili a rompicapi che celebravano il carattere del ritrattato e rappresentano alcune delle immagini profane più inventive e uniche del Rinascimento. Lo spettatore decodificava il significato del ritratto simbolico prima di sollevare, far scorrere o girare l’immagine per smascherare il volto sottostante», ha spiegato il museo.
Il Solomon R. Guggenheim Museum propone un’indagine sui materiali delle opere in collezione con “By Way Of: Material and Motion in the Guggenheim Collection” (fino al 12 gennaio 2025): «una delle caratteristiche più evidenti dell’arte dalla fine del XVIII secolo in poi, in particolare dopo la seconda guerra mondiale, è la tendenza degli artisti a evolvere i metodi tradizionali di produzione artistica al di fuori dei confini dello studio. Questa mostra esamina i modi in cui gli artisti contemporanei hanno messo in atto nuove idee formate dai contesti sociali e storici del loro tempo, spingendo di conseguenza i confini della produzione artistica e dei materiali.
“By Way Of” offre una serie di opere della collezione permanente del museo ispirate al Dono della Collezione D.Daskalopoulos. Importanti artisti del movimento dell’Arte Povera degli anni ’60 e ’70, come Jannis Kounellis e Mario Merz, condividono le gallerie con artisti che lavorano oggi, come Rashid Johnson, Mona Hatoum e Senga Nengudi», ha spiegato il museo.
Il New Museum è momentaneamente chiuso per i lavori di ampliamento della sua sede che raddoppierà la superficie espositiva e sarà inaugurato nei primi mesi del 2025. Il progetto è affidato allo studio di architettura OMA / Shohei Shigematsu e Rem Koolhaas, che firma così il suo primo edificio pubblico a New York.
Tra i grandi musei chiusi per lavori c’è anche la storica sede della Frick Collection sulla 70ma Street, la cui riapertura è stata annunciata per fine 2024.
Alla Neue Galerie New York – Museum for German and Austrian Art, ultimi giorni per visitare l’ampia mostra “Klimt Landscapes“, dedicata «alle rappresentazioni idilliache di Gustav Klimt (1862-1918) nel genere del paesaggio. Il percorso espositivo riunisce dipinti significativi realizzati durante le sue vacanze estive nella campagna austriaca e presenta opere di spicco della Neue Galerie New York, come Park at Kammer Castle (1909) e Forester’s House in Weissenbach II (Garden) (1914), insieme a importanti prestiti da musei e collezioni private in Europa e negli Stati Uniti, tra cui opere dell’Harvard Art Museums, del Museum of Modern Art e del Wien Museum».
«Negli ultimi vent’anni della sua carriera, Klimt dedicò notevoli energie a dipingere paesaggi durante le vacanze estive sull’Attersee, nella regione austriaca del Salzkammergut, nota per i suoi laghi tranquilli. Create per puro piacere personale, queste scene bucoliche divennero tra i suoi quadri più ricercati e molto ambiti dai collezionisti. La maggior parte di essi è stata realizzata in un formato quadrato, riflesso del suo fascino per la fotografia», ha ricordato il museo.
CIMA – Center for Italian Modern Art propone “NANNI BALESTRINI: ART AS POLITICAL ACTION. ONE THOUSAND AND ONE VOICES” (fino al 22 giugno), a cura di Marco Scotini, «la prima mostra retrospettiva negli Stati Uniti di Nanni Balestrini (1935-2019), artista visivo sperimentale, poeta e romanziere italiano noto per la sua pratica artistica rivoluzionaria e per il suo appassionato coinvolgimento nei movimenti socio-politici degli anni Sessanta e Settanta».
MOSTRE NEI MUSEI DI QUEENS, BROOKYLN E BRONX
Al MoMA PS1, ls sede del museo situata nel Queens, sono in corso la prima retrospettiva su Pacita Abad, la prima grande presentazione in un museo di Melissa Cody “Webbed Skies” (entrambe fino al 2 settembre). Negli spazi del museo, inoltre, è da poco stata inaugurata l’installazione di Yto Barrada Le Grand Soir e viene proiettata l’opera di Maria Josè Galindo Tierra, proposta al pubblico per la prima volta dopo la sua acquisizione nelle collezioni del MoMA (vi avevamo dato anticipazione di tutti questi progetti espositivi qui).
Tra esse spicca per rilevanza la prima retrospettiva dedicata a Pacita Abad (filippino-americana, 1946-2004). La mostra, «che abbraccia i 32 anni di carriera dell’artista, comprende più di 50 opere – la maggior parte delle quali non è mai stata esposta al pubblico negli Stati Uniti prima di questa mostra – che mostrano le sue sperimentazioni attraverso diversi mezzi, tra cui tessuti, opere su carta, costumi e ceramiche. In gran parte autodidatta, Abad è nota soprattutto per i suoi trapuntos, dipinti trapuntati realizzati cucendo e imbottendo le tele anziché stenderle su una cornice di legno. Trasferitasi negli Stati Uniti nel 1970 per sfuggire alle persecuzioni politiche del regime autoritario di Marcos, Abad ha cercato di dare visibilità ai rifugiati politici e ai popoli oppressi attraverso il suo lavoro. “Ho sempre creduto che un artista abbia l’obbligo speciale di ricordare alla società la sua responsabilità sociale”, ha dichiarato l’artista.
Organizzata dal Walker Art Center in collaborazione con l’Abad Estate, la presentazione celebra il lavoro multiforme di un artista che attraverso la sua ricerca ha portano avanti dialoghi sulla globalizzazione, il potere e la resilienza. La mostra è accompagnata dalla prima grande pubblicazione sul lavoro di Abad, prodotta dal Walker. Pacita Abbad è rappresentata dalla galleria newyorchese Tina Kim Gallery».
Il Brooklyn Museum presenta la mostra “Hiroshige’s 100 Famous Views of Edo (feat. Takashi Murakami)” (fino al 4 agosto), una mostra che offre al pubblico le stampe di Hiroshige conservate nella collezione del museo. Accanto a esse 121 nuove opere di Takashi Murakami che reinterpretano i capolavori di Hiroshige. Le immagini delle opere di Murakami saranno svelate all’apertura della mostra.
Il percorso espositivo «presenta uno dei più grandi tesori nascosti del Brooklyn Museum, una serie completa di 118 stampe del famoso disegnatore giapponese, in mostra per la prima volta dopo quasi ventiquattro anni. La serie di stampe sarà esposta insieme a una speciale installazione di nuovi dipinti dell’artista giapponese Takashi Murakami, creati in risposta diretta ai disegni di Hiroshige. Murakami ha creato una nuova versione di ogni stampa delle 100 famose vedute Edo di Hiroshige, che vengono presentate per la prima volta al Brooklyn Museum. L’abbinamento delle vedute di Hiroshige con opere contemporanee inviterà gli spettatori a vivere questa celebre serie in modo nuovo», ha spiegato il museo.
Il museo presenta, inoltre, la collettiva “Giants: Art from the Dean Collection of Swizz Beatz and Alicia Keys” (fino al 7 luglio): «Gordon Parks, Jean-Michel Basquiat, Lorna Simpson, Kehinde Wiley e Nina Chanel Abney. Questi nomi incombono sul passato e sul presente dell’arte, così come molti altri nella collezione delle icone musicali e culturali Swizz Beatz (Kasseem Dean) e Alicia Keys. Espansivi nelle loro abitudini collezionistiche, i Dean, entrambi nati e cresciuti a New York, sostengono una filosofia di “artisti che sostengono gli artisti”. Prima grande mostra della Collezione Dean, Giants presenta una selezione mirata del patrimonio mondiale della coppia. La presentazione del Brooklyn Museum mette in risalto le opere di artisti neri diasporici, nell’ambito del nostro costante impegno ad ampliare la narrazione storica dell’arte.
L’espressione “Giganti” si riferisce a diversi aspetti della Collezione Dean: la fama di artisti leggendari, l’impatto di artisti contemporanei che ampliano il canone e le opere monumentali di creatori come Derrick Adams, Arthur Jafa e Meleko Mokgosi. Pezzi immensi – tra cui il più grande mai realizzato da Mokgosi – sono abbinati a opere di spicco come le fotografie fondamentali di Parks, i ritratti rivoluzionari di Wiley e le tele che attraversano il mondo di Esther Mahlangu».
Il Bronx Museum presenta una biennale, meno nota di altre, ma molto attiva nella proposta di nuovi talenti: «una serie di opere nuove e recenti mai viste prima saranno esposte alla Biennale AIM e per molti artisti si tratta della prima opportunità di esporre un lavoro in un contesto istituzionale», ha spiegato il museo.
Organizzata in due parti, la “Bronx Calling: The Sixth AIM Biennial” (la prima parte si è svoltata da gennaio a marzo scorsi, quella in corso sarà aperta fino al 16 giugno) presenta il lavoro di 53 artisti emergenti che hanno completato il programma annuale Artist in the Marketplace (AIM) Fellowship del Bronx Museum nel 2020, 2021, 2022 o 2023. «In risposta agli eventi che hanno sconvolto il mondo negli ultimi quattro anni, i borsisti AIM hanno esplorato questioni urgenti attraverso il loro lavoro, criticando i sistemi di potere attraverso la lente dell’esperienza vissuta e dell’identità culturale e spingendo i confini del linguaggio visivo e della materialità. Alcuni artisti hanno cercato di applicare la lente dell’esperienza vissuta a questioni contemporanee; altri l’hanno usata come trampolino di lancio per immaginare possibili soluzioni e futuri speculativi».