Todi, scrigno del Rinascimento italiano, non va soltanto vista ma ascoltata, perché qui tutto “parla d’arte”, dall’architettura, piazze, strade, botteghe artigianali, alle persone che la abitano e la animano, con mostre di arte contemporanea diffuse in diversi luoghi pubblici e privati, che culmineranno in occasione del Todi Festival 2024 (dal 24 agosto al 1 settembre).
Iniziamo il tour esplorativo delle sue potenzialità espressive e rigenerazione culturale, con la scenografica mostra “Backbone Crossing Ratio” di Robert Gligorov, ospitata nella Sala delle Pietre del Palazzo del Popolo di Todi, a cura di Giusy Caroppo. Si tratta di un progetto ambizioso del Comune di Todi prodotto in partnership con la Galleria Giampaolo Abbondio, storica galleria dell’artista e organizzato da EDOMILA sas.
Robert Gligorov sfugge a qualsiasi etichetta, è poliedrico e multiforme, nato nel 1960 in un piccolo paese della Macedonia, cresciuto in un’isola della Croazia, trapiantato a Milano, e incentra la sua ricerca sul rapporto Uomo-Pianeta-Cosmo, all’insegna dell’estetica sull’ambiguità e devianza della rappresentazione, in cui tecnologia massmediale, mitologia e post classicità coesistono nel suo mondo immaginifico e surreale.
QUALE IDEA DI IDENTITÀ NELLA MOSTRA DI GLIGOROV?
Il titolo della mostra evoca il concetto del più piccolo nodo osservato dalla fisica quantistica, generato in laboratorio casualmente, che può sovvertire l’ordine delle cose, alla base della ricerca di Gligorov che in questa mostra ci invita a riflettere sulla possibilità di un mondo imprevedibilmente perturbante; come e perché si scopre vedendola, attraversando un percorso iniziatico.
Caos, casualità e meraviglia all’insegna di connessioni libere, identità ambigue, animale e umano, per Gligorov tutto è artificio capace di generare sempre nuove visioni e modi, in cui le regole vengono modificate da fattori imprevedibili, come inscena questa mostra onirica che suggerisce cortocircuiti, associazioni e dissacrazioni post-umane, in bilico tra kitsch e sublimi paradossi. L’esposizione instaura un dialogo sotteso tra esterno e interno del Palazzo del Popolo di Todi, un gioiello di architettura medioevale che sembra dipinto da Ambrogio Lorenzetti nell’affresco Effetti del Buon Governo in città (1338-1340). All’esterno brillano sotto i raggi del sole decine di pepite riflettenti incastonate nell’architettura, e per Gligorov sono una metafora di una galassia in cui le stelle nascono e muoiono.
L’esistenza si snoda tra vita e morte, in mezzo c’è la dimora della divinità Nunc Nunc-Dalek (in slavo ‘lontano’), a cui si accede oltrepassando l’installazione QALAQ (parola araba dai molteplici significati), composta da oltre una decina di veli colorati dal rosso al nero, passando per le sfumature delle tonalità dell’arcobaleno. Attraversato questo percorso iniziatico, all’interno del Palazzo, nella Sala delle Pietre, completamente trasformata in scrigno delle meraviglie, incanta Freak, una scultura bianca, luminescente, ermetica, dal corpo palindromo, tagliato da due parti e una metà allo specchio. Questo golem dell’ambiguità è una creatura ibrida chiusa nel suo ermetismo, simbolo del reale e soprannaturale in bilico tra sogno e incubo. In questo essere complesso, narcisista e individualista si palesa il freeze-frame, quel momento che sfugge, come il tempo, in cui il presente si annulla nel passato. E in questo balletto straniante di sospensione spaziotemporale, in bilico tra realtà e finzione, cosa ci resta se non la percezione consapevole dell’istante, l’attimo, l’adesso, il qui e ora del Nunc Nunc in cui viviamo, respiriamo e ascoltiamo lo spazio intorno a noi?
Le scenografie a cura di Maria Teresa Padula, tra specchi e drappi artificiali hanno inscenato dentro e fuori il Palazzo un display della trasformazione, in cui reale e immaginario coesistono. Attenzione, perché ricerca estetica a parte, l’esposizione va oltre l’apologia della mostra in sé, ma diventa l’occasione per trasformare i tessuti impiegati nell’installazione interattiva QALAQ in una opportunità di sensibilizzazione sociale e di eco-sostenibilità, in un’ottica di economia circolare. Infatti, alla chiusura della mostra (6 luglio), è previsto il riutilizzo dei materiali utilizzati da Robert Gligorov, in accordo con il gallerista Giampaolo Abbondio, quando si doneranno i tessuti a due Cooperative sostenute dalla “Fondazione Opes”. Tutti i tessuti saranno riconvertiti nella manifattura ai capi di abbigliamento e accessori prodotti da laboratori artigianali di cooperative che impiegano persone fragili e con svantaggio sociale. Partner dell’iniziativa etica sono la “Cooperativa Alice”, che promuove l’economia carceraria e opera nelle carceri di Bollate e Monza con le detenute donne, e il “Progetto Quid”, attivo a Verona a sostegno e a tutela di donne vittime di violenza e di tratta.
L’INCONSCIO PERTURBANTE DI BALLEN
La seconda tappa a Todi è un viaggio nell’ascolto dell’inconscio perturbante in dialogo con il borgo rassicurante, dove il tempo sembra essersi immobilizzato in un eterno presente, è la mostra BALLEN BALLEN di Roger Ballen (fino al 2 settembre) ancora a cura di Galleria Giampaolo Abbondio, in un elegante palazzo su Piazza Giuseppe Garibaldi, considerata la “terrazza” pubblica affacciata sul paesaggio umbro, davvero mozzafiato. Qui contro la prevedibilità dell’ordine vedrete “psicodrammi esistenziali”, al limite tra maledizione e sublimazione del caos, che sollevano il velo sulle questioni fondamentali della condizione umana, in bilico tra dannazione e salvazione. Le sue fotografie dionisiache e apollinee insieme, insceno sequenze di una ‘danza macabra’ esorcizzante, sospesa tra vita, morte, desiderio e salvazione; una esperienza di sublimazione di un’arte forse scioccante ma ristoratrice.
Roger Ballen (1950) è tra i più importanti fotografi del panorama internazionale che vive e lavora in Sudafrica, dall’estetica post espressionista, surreale, ‘maledetto’, noto per fotografie dell’immorale, del turbare spingendo l’immaginario fino ai limiti dell’eccesso, che vanno oltre la documentazione e si aprono alla contaminazione con la letteratura, il cinema, il teatro, la scultura, l’installazione e il disegno.
L’autore è infaticabile, ha organizzato 50 mostre in tutto il mondo, pubblicato 25 libri e recentemente Thames and Hudson ha pubblicato Ballensque Roger Ballen – A Retrospective, un’importante raccolta delle sue opere che evocano quel lato oscuro e pericoloso dell’arte sempre contemporaneo, contro lo stato delle cose, la bellezza classica, che affonda il coltello nelle pieghe del subconscio e scava nelle origini del desiderio in bilico tra il bene e il male, dove in qualche fotografia, forse per qualcuno sarà possibile incontrarsi e riconoscersi.
LE CINQUANTA “PITTOSCULTURE” DI BRUNO CECCOBELLI
Verso la profezia di Nietzsche in cui il mondo ‘vero’ alla fine diventa favola, verso la moltiplicazione dei desideri, gli universi immaginifici in bilico tra reale e immaginario, nelle profondità di un Altrove, una mostra antologica imperdibile di Bruno Ceccobelli, promossa dall’Associazione Culturale Todi per l’Arte, ospitata nel maestoso Palazzo del Vignola di Todi. “Ceccobelli Anni’80” è il titolo di una esposizione in cui l’opera non è mai merce di consumo, bensì di riflessione spirituale, che raccoglie 50 opere, quasi tutte di grande formato selezionate da collezioni private umbre, vive, realizzate con diversi materiali, in particolare il legno, e ideate come esperienza totale. Queste opere definite ‘pittosculture’ sono state realizzate nel decennio romano dell’artista, protagonista del quartiere creativo di San Lorenzo, attivo nello studio dell’ex Pastificio Cerere, accanto all’università della Sapienza.
Nei mitici anni ’80, Ceccobelli aveva la capacità di stupirsi ancora, a ventotto anni. Travalica il neoespressionismo tedesco in auge in quel periodo e la Transavanguardia, per affondare la sua ricerca nell’esoterismo junghiano, rielaborando in maniera soggettiva l’arte sacra non soltanto umbra, profondamente mirata alla ricerca di una dimensione spirituale astratto-simbolica, misticheggiante in cui il neoplatonismo si mescola con la Teosofia, il Buddismo, l’Induismo, lo Zen e il Taoismo. Per l’artista, arte e vita formano “l’opera e il creatore”; è vittima e carnefice della rappresentazione della condizione umana tesa a ricongiungersi con l’universo, per dissolversi nella creatività espressiva rigenerante dell’arte.
Concludendo, Todi ha investito su tre mostre di autori diversissimi tra loro che non producono immediato consenso commerciale, ma che condividono un’estetica della devianza, contraria al canone della bellezza classica, di un’arte come evento creativo in sé e di trasfigurazione del reale nell’immaginario. Queste mostre dialogano con il territorio e convertono lo spazio in magia, in cui ogni singola opera è un proiettile lanciato contro l’ovvietà delle novità, che fa rumore in questo silente Borgo umbro, dove tutto è pace e armonia. Sono mostre che, ciascuna a suo modo, affondano la ricerca dentro la storia dell’arte, capaci di trasformare la disperazione in un cantiere di speranza e di inquieta bellezza. Se osserviamo le opere con attenzione, ci apriamo all’ascolto di un’estetica del dubbio in bilico tra materialità e spiritualità.