La Galleria Eva Presenhuber di Zurigo ospita dal 7 giugno al 20 luglio «Tree Farm», la quinta mostra personale della galleria con l’artista newyorkese Shara Hughes (Atlanta, 1981).
Hughes arriva a New York nel 2014. Allora il suo repertorio è formato prevalentemente da dipinti di interni, scenari calcolati e oggetti quotidiani carichi di significati personali. L’attenzione per il mondo esterno arriva in un secondo momento, quando inizia a dipingere laghi, paludi, fitti boschi con radure che si aprono su paesaggi bucolici e cieli metafisici. Alcune vedute assomigliano a scenografie, incorniciate da un proscenio di rami o dalla cresta di un’onda. Una mise en scène che deve molto alla suggestione teatrale. Hughes ha descritto questi lavori come una sorta di paesaggi immaginari, in quanto non raffigurano luoghi specifici, bensì ideali. Sono veicoli emotivi, che narrano stati d’animo, tumulti e paesaggi interiori. Hughes parte dal colore e dalle forme primarie per restituire le cose tangibili e la familiarità con esse, che tuttavia cambia in relazione alla sensibilità di chi osserva. I dipinti di Hughes riguardano tanto la pittura quanto la natura, come alberi cresciuti e germogliati. In «Tree Farm» il formato seriale del dipinto viene invaso da un albero che occupa l’intera tela verticale. Ogni dipinto ha una propria fonte di luce, tavolozza e temperatura, evocando atmosfere distinte, simbolo dell’avvicendarsi delle stagioni. Il colore è ovunque saturo e portato al massimo potenziale espressivo.
«Wits End» è una conflagrazione di rossi e arancioni interrotti da pennellate di turchese, lapislazzuli e verga d’oro; al contrario, «Come and get it» è un notturno reso attraverso il viola intenso e l’utilizzo di colori terrosi per le colline, il protagonista sta eretto con dei rami a evocarne gli arti, che terminano in sfere che si mescolano alle macchie celesti. Un lessico in continua evoluzione permette a Hughes di creare continuamente nuove giustapposizioni e composizioni. Piani prismatici e sfaccettati, linee arcuate distanziate o strettamente striate e ordinate, macchie e punti raggruppati, infinite virate stilistiche mai uguali a loro stesse. Hughes scivola quasi magicamente tra l’essenza della vernice e il suo significato: i segni rappresentano delle volte il fogliame, altre volte la neve o la roccia pur rimanendo visibilmente segni.
Hughes riflette anche sulle possibilità visive invertite, ovvero sull’influenza del punto di vista e dello sguardo. Come lo strumento psicologico dell’immagine bistabile (Joseph Jastrow rappresentò un’anatra che è anche un coniglio, ma non un ibrido), i dipinti di Hughes indicano come è organizzata l’esperienza visiva per l’autore quanto per lo spettatore e come la posizione di entrambi sia determinante. Il titolo, «Tree Farm», si riferisce alla fattoria di pini della famiglia Hughes nella Georgia occidentale, dove Shara ha trascorso l’infanzia, crescendo in simbiosi con gli alberi che col tempo sono diventati abbastanza grandi da poter essere abbattuti e ripiantati. In tal modo introduce non solo la prospettiva mutevole del paesaggio segnato dall’attività umana, ma anche il modo in cui la fantasia e la memoria mediano l’incontro. Qui Hughes espone per la prima volta anche un gruppo di ceramiche da tavolo. Queste piccole sculture modellano varietà arboree, nodose e snelle, vivaci e curate, con i loro smalti di volta in volta crepitanti e lucenti. Il boschetto improvvisato che ne risulta invita al movimento per vedere ogni pezzo da molteplici punti di vista e per comprenderli in relazione. Hughes utilizza il soggetto nominale del paesaggio come euristica per esperimenti sulla generazione della forma. Una sorta di regressione classica al concetto di bello, come naturale, ispirato e aspirante alle forme armoniose, proporzionate, vitali e perfette della natura. Ad accompagnare la mostra, sulla scia dei ricordi familiari, è una selezione di dipinti del padre dell’artista, Joe Hughes, esposti in un mobile accanto alla galleria principale. Un tema dunque, quello indagato dalla Hughes, che ha radici profonde, personalissime, legate a memorie d’infanzia gelosamente custodite. Ricordi dei quali si riappropria per visualizzarli sulla tela, compiendo catarsi.