Dialogo, confronto e incontro: questi i tre temi scelti dal Romaeuropa Festival, arrivato alla trentanovesima edizione in grande spolvero, con un debutto affidato a spettacoli di ottimo livello.
Ed è proprio su “un dialogo con il nostro presente basato sul confronto tra generazioni e l’incontro di più pratiche artistiche”—per usare le parole del direttore artistico Fabrizio Grifasi—che il festival si concentra su una programmazione che unisce la scena internazionale con la danza e il teatro italiano, concerti di musica e spettacoli per bambini, in una vitale e dinamica kermesse che occupa ed unisce per due mesi il Teatro dell’Opera con il Mattatoio a Testaccio, l’Auditorium e il Teatro Argentina, Villa Medici e il Teatro Vascello, il Maxxi e il Teatro India, grazie a una rete straordinaria di collaborazioni a Roma, in Italia, in Europa e nel mondo, che è quanto di più prezioso abbiamo in questo momento, sottolinea Grifasi.
Se il buongiorno si vede dal mattino, la settimana inaugurale del festival è stata davvero notevole, a cominciare da Mycelium di Christos Papadopoulos con il Ballet de l’Opéra de Lyon al Teatro dell’Opera, uno spettacolo magnetico e rizomatico, con il corpo di ballo che si muove all’unisono come un organismo vibrante unico che emerge dall’oscurità: “un corpus vivente in costante movimento”, scrive Anna Lea Antonini. Le note maestose di Ryūichi Sakamoto, con Music for Film, vengono eseguite alla perfezione dalla Brussels Philharmonic diretta da Dirk Brossé nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium e prendono così nuova vita pellicole celebri come L’Ultimo Imperatore, Il tè nel deserto, Furyo o The Revenant, a un anno dalla scomparsa del grande compositore giapponese. Nero e beige sono i colori dei ventuno ballerini del Grand Théâtre de Genève, protagonisti con il coreografo Rachid Ouramdane dello spettacolo Ousider nella Cavea dell’Auditorium, arricchito dalla presenza di 4 funamboli, tra i quali Nathan Paulin, celebre per aver attraversato la Senna su un cavo teso tra la Tour Eiffel e il Théâtre Chaillot a Parigi. Qui i corpi non hanno peso, si muovono all’insegna di una leggerezza con le note sincopate di Julius Eastman, come “creature mitologiche per metà donne e uomini, per l’altra metà uccelli sospesi in un limbo”, scrive Valeria Crippa, “in cui compiono rotazioni vertiginose con le braccia tese ad angolo retto”. Nella stessa Cavea, i 100 violoncelli di Enrico Mellozzi accompagnano il racconto di Alessandro Baricco, che narra il brano tratto dalla Guerra del Peloponneso di Tucidide relativo all’episodio di Atene contro Melo, insieme a Giovanni Sollima e alle cantanti Stefania Rocca e Valeria Solarino.
Non movimenti ma parole e musica, in una narrazione densa di senso etico che arriva dall’antichità, interpretata in maniera magistrale da uno dei maggiori cantastorie italiani di oggi. La “opening week” del festival si conclude all’Auditorium Conciliazione con Beethoven 7, lo spettacolo di Sasha Waltz & Guests e Diego Noguera, dedicato alla settima sinfonia di Beethoven. La prima parte, commissionata a Diego Noguera, è un paesaggio distopico, dove i danzatori si muovono avvolti da coltri di fumo al ritmo di musiche elettroniche e techno, mentre la seconda trasforma il capolavoro di Beethoven in un gioco di gesti misurati e morbidi, che ricorda a tratti le coreografie di Rudolf von Laban al Monte Verità nel 1917. Fino al 17 novembre, Romaeuropa Festival aprirà la strada, tra gli altri, ad Amos Gitai, Paolo Fresu, Uri Caine, Claudia Castellucci, Keiichiro Shibuya e Alva Noto: una ventata di energia positiva per rendere più internazionale l’autunno capitolino.